Sicilia, natalità in picchiata lontane l’Ue e anche il Nord - QdS

Sicilia, natalità in picchiata lontane l’Ue e anche il Nord

Fabrizio Margiotta

Sicilia, natalità in picchiata lontane l’Ue e anche il Nord

sabato 18 Ottobre 2014

Controtendenza: nel 1980 la media sicula era di 2,22 nati, sopra la soglia di sostituzione. Ministero Lavoro: nell’Isola il tasso di fecondità è di 1,41 figli per donna

PALERMO – Se dovessimo interrogarci sui motivi della “crescita zero” in Europa e, soprattutto, in Italia, dovremmo chiederci prima di tutto cosa spinga una donna del XXI secolo a rinviare la maternità nel proprio ciclo di vita. Attesa la congenita aspirazione dell’essere umano alla genitorialità -più amore, forse, che istinto- occorre individuare le cause di una complessiva e prolungata riduzione della fecondità che interessa il nostro continente da almeno sessant’anni.
Il progresso sociale e industriale è forse il principale artefice di questa parabola discendente che interessa la fecondità: un prezzo da pagare, probabilmente, per il crescente livello di benessere che interessa la popolazione mondiale, ma anche, tuttavia, un paradosso da approfondire e da spiegare. Come mai, se si vive meglio, i figli diminuiscono? L’elevato tasso di istruzione femminile, tra le grandi conquiste del secolo passato, è –ad esempio- un importante fattore di crollo della fecondità, dal momento che le risorse economiche vengono investite principalmente nell’istruzione e cresce il desiderio di autonomia rispetto al partner e alla famiglia d’origine.
 
Questo significa poche risorse da dedicare a eventuali figli, considerando l’alto tasso di precarietà economica che caratterizza la prima età adulta. Cambiano le condizioni di accesso al mercato del lavoro, ma non cambiano le leggi della biologia, ragion per cui si assiste a una compressione inevitabile del periodo riproduttivo. L’Italia, secondo i dati forniti dal ministero del Lavoro nell’ambito del progetto LaFemme, si colloca nella fascia medio-bassa della classifica europea sui tassi medi di fecondità: circa 1,4 figli per donna contro una media comunitaria di 1,6 (in Francia la proporzione è di due figli per donna).
Passando dal genus alla species notiamo che, tra le regioni italiane, sono quelle del Nord a fornire il contributo maggiore al ricambio della popolazione, anche grazie alla rilevante presenza di stranieri: 1,63 figli per donna in Trentino e 1,51 in Lombardia. Se la maggior parte delle regioni meridionali si trova ben al di sotto della media nazionale (Basilicata e Molise chiudono la classifica con la Sardegna), stupisce trovare la Sicilia all’ottavo posto, con un tasso di fecondità di 1,41 figli per donna, appena dopo il Piemonte e prima della Toscana. Un dato incoraggiante, considerando la media nazionale (1,43), ma quasi tragico a voler considerare il range di variazione degli ultimi trent’anni: se le regioni settentrionali hanno visto crescere i propri modesti tassi di fecondità dal 1995 in poi, in Sicilia si è passati dai 2,22 figli per donna del 1980 (addirittura al di sopra della cd. soglia di sostituzione) alle attuali, deprimenti, percentuali.
Una picchiata senza precedenti che non manca di generare ripercussioni sulla complessiva economia dell’Isola: poche nascite, emigrazione, popolazione che invecchia, interi paesi spopolati…sappiamo bene come la demografia possa incidere sulla produttività di uno Stato e, quindi, sul benessere di chi vi abita. Eppure, non è il caso di scoraggiarsi! I siciliani continuano a dimostrare il loro amore per la vita nonostante l’andamento generale delle statistiche.
L’età media al parto delle donne siciliane, sempre negli ultimi trent’anni, ha subito un aumento non trascurabile, ma neanche tragico: 27 anni circa nel 1980, poco più di 30 anni nel 2012, in controtendenza rispetto alle regioni del Centro e del Nord (vedi Lazio, 32 anni, e Veneto, 31.6). Dall’analisi di questi dati statistici, forse un aspetto emerge con più chiarezza: non è facile assecondare le proprie nobili aspirazioni in un periodo di forte recessione, in cui molte persone non vedono la luce in fondo al proprio tunnel di precarietà, ma di sicuro c’è bisogno di più coraggio, di tenacia, di apertura alla vita per invertire questa triste realtà. Coraggio delle coppie, senz’altro, ma anche coraggio delle istituzioni, a cui spetta di promuovere una cultura della vita non solo a parole, ma con i fatti: maggiore stabilità occupazionale (ma senza le false promesse delle logiche clientelari), sostegno economico, incentivi alla maternità, politiche del lavoro efficienti e di lungo periodo.

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