“Intanto aspettavamo i fondi dal bilancio di previsione. Il parco è diviso in tre zone, la zona rossa nel cui sottosuolo sono state ritrovate le sostanze più pericolose per la salute dell’uomo (sabbie vulcaniche conseguenza di operazioni di sverniciatura, copertoni, materiali elettrici, plastica, inerti da demolizione edile, nda), la zona verde a cui abbiamo accesso perché considerata meno a rischio (si fa per dire, dato che le analisi hanno rilevato metalli pesanti, zinco, rame, piombo, fibre di amianto e tetracloro etilene, nda) e la zona gialla che funge da cuscinetto. In questa prima fase gli interventi si concentreranno sulla zona verde e saranno di due tipi: la rimozione del cemento amianto e degli altri rifiuti speciali. L’approvazione del bilancio di previsione e il conseguente via libera dei piani di gestione da parte della giunta (atti che rendono effettive le azioni del bilancio, nda) ci consentiranno di avviare la bonifica del cemento amianto con uno stanziamento di 150 mila euro”.
“Piuttosto che ricorrere a un bando di gara che allungherebbe i tempi, avvieremo una procedura d’urgenza per l’affidamento diretto. Non dico a dicembre ma già a gennaio dovremmo essere in grado di partire”.
“La situazione in questo caso è diversa. Serve un piano di trattazione studiato con l’Arpa e con il Dipartimento regionale per le Acque e i rifiuti. Ci vorranno mesi, diciamo buona parte del 2015. Quanto ai costi, si aggirano intorno ai 500 mila euro”.
“Certamente. Le sostanze sono le stesse, è stata classificata con un colore diverso solo per motivi di prudenza. Insieme, gialla e verde costituiscono una 55-60% dell’estensione totale del parco, circa 15 ettari su 28. Appena avremo rimosso il cemento amianto non escludo, ma il condizionale è d’obbligo, che la Procura possa accordare la parziale riapertura al pubblico”.
“Quella è sempre rimasta interdetta sia ai giardinieri che alla vigilanza, tanto che è diventata terreno di caccia per i ladri. Alcune attrezzature dei magazzini le abbiamo messe in salvo, ma tante sono state rubate insieme ai tubi di rame. Purtroppo lì non possiamo mettere piede, quindi è impossibile indicare i tempi di recupero. Bisogna considerare che, da quello che hanno scoperto i periti, l’intera area del parco ha funto da discarica abusiva per decenni, soprattutto per le ditte che andavano a depositare gli scarti dell’edilizia”.
“Assolutamente sì, anche se non era facile. Basti pensare che giardinieri e potatori potevamo entrare solo per un numero limitato di ore. Ma le maestranze del Coime e i dipendenti del Cassarà sono riusciti comunque a garantire la potatura, l’innaffiatura e la rasatura dei prati”.
“No, lì purtroppo no. Il divieto di accesso è molto rigido, non abbiamo potuto neanche innaffiare le piante. È facile prevedere che in quella parte del parco ci siano dei danni, ma senza un’attenta analisi non è possibile quantificarli”.
Le indagini preliminari sono affidate al procuratore aggiunto Dino Petralia e al sostituto Alessandro Clemente, che, oltre ad accertare le responsabilità, da mesi portano avanti le trivellazioni sotterranee per verificare se l’inquinamento abbia intaccato le falde acquifere.