Parolai della politica professionisti del Nulla - QdS

Parolai della politica professionisti del Nulla

Carlo Alberto Tregua

Parolai della politica professionisti del Nulla

sabato 10 Febbraio 2018

Basso tasso di credibilità

Gene Gnocchi, nel programma Di martedì, con grande ironia ha lanciato il Partito del Nulla, sollecitando i telespettatori a iscriversi perché, sostiene, è la migliore scelta di questa campagna elettorale.
Confrontando l’ironia di Gnocchi con la seriosità di chi sta facendo campagna elettorale, la prima risulta vincente perché quanto meno iponizza una realtà, quella dei parolai, capace di promettere ad libitum, sapendo che non potranno mantenere ciò che dicono.
Per esempio, la questione della Flat tax, ovvero dell’aliquota piatta uguale per tutti, sembra una bufala. Ma la diatriba sulla sua opportunità ha spostato il campo dell’analisi, perché non è di per sé l’aliquota fiscale che avvantaggia o svantaggia il sistema economico, ma quella miriade di contributi e detrazioni, la maggior parte dei quali dati a pioggia a categorie, caste, privilegiati e consorterie varie.
Si capisce che chi fa campagna elettorale parla in base ai suggerimenti dei professionisti della comunicazione, per cui usa slogan e frasi preconfezionate, in modo da colpire l’immaginazione e la pancia di radioascoltatori e telespettatori, nonché quella parte minoritaria degli elettori che ancora legge libri e giornali.
 
Si potrebbe obiettare: in qualunque campagna elettorale i protagonisti devono parlare. Sarebbe auspicabile che fossero sinceri, ma così non acquisirebbero il consenso perché spesso chi ascolta o chi legge vuole sentirsi dire cose che gli piacciono piuttosto che cose serie che comportano impegni e sacrifici.
Insomma, la politica è un teatro di divertimenti più che un Agorà serio dove discutere i problemi e trovarvi le soluzioni d’interesse nazionale. In teatro è lecito divertirsi, nell’Agorà, no.
Quanto precede è conseguenza del fatto che i cittadini non hanno la consapevolezza dei propri doveri, ma sono invece urlatori dei propri diritti, non riflettendo che ad ogni diritto corrisponde un dovere. L’egoismo fa prevalere il diritto sul dovere.
Promettere di dare mance a destra e a manca è un modo di usare le parole a vuoto con la conseguenza di disgustare chi ascolta.
 
È vero che “la speranza è l’ultima a morire”, ma è anche vero che “chi di speranza vive, disperato muore”. Sperare è lecito ma bisogna tentare di individuare le soluzioni piuttosto che confidare nella Manna.
Tutti i protagonisti di questa campagna elettorale, che per fortuna tra 21 giorni finisce, si sono trasformati in illusionisti. Da destra a sinistra fanno a gara a chi le spara più grosse.
Ma c’è un minimo comune denominatore tra tutti: la credibilità. Per cui gli italiani, che hanno il diritto/dovere di andare a votare, e ci devono andare, dovrebbero scegliere non tanto fra le cose che dicono i leader politici e i loro seguaci, quanto in base al tasso di credibilità che ha ognuno di essi.
Ed è qui che casca l’asino. La credibilità deriva dal curriculum: chi ha detto balle in passato non è credibile, chi non ha mantenuto gli impegni non è credibile, chi ha gabellato il popolo non è credibile.
 
Facciamo una breve disamina dei protagonisti della campagna elettorale. La borgatara Giorgia Meloni, una furbetta di notevole portata, sta cercando di radunare tutti gli ex che in questi venti anni hanno formato partiti di destra di vario genere. Ma il suo peso, forse del 5%, risulterà ininfluente.
Il Mandrake della comunicazione, alias Silvio Berlusconi, ripropone le stesse ricette del ‘94. Ma nei suoi quattro governi non ha saputo cuocere il relativo cibo.
Il duro e puro Matteo Salvini tenta di radunare lo scontento dei cittadini contro qualunque cosa. Siccome lo scontento è elevato, non è escluso che possa arrivare all’agognata soglia del 14%.
La quarta gamba del centrodestra è formata dai residuati di formazioni che tentano di sopravvivere (sic!).
Passando al centrosinistra, rileviamo la presenza di dinosauri come Casini insieme all’ex rottamatore Matteo Renzi ritornato democristiano e non più rottamatore. Poi c’è il nuovo Bertinotti, alias Pietro Grasso, che spera di radunare il 7% dei voti.
Ma la vera incognita è il fuoricorso Luigi Di Maio, faccia pulita, nessun curriculum che ha il vantaggio di non avere alcun passato. Viene dal nulla. Dove andrà?

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