La Sanità siciliana costa 9,1 miliardi di euro ma lo Stato copre oltre la metà della spesa - QdS

La Sanità siciliana costa 9,1 miliardi di euro ma lo Stato copre oltre la metà della spesa

Raffaella Pessina

La Sanità siciliana costa 9,1 miliardi di euro ma lo Stato copre oltre la metà della spesa

sabato 21 Aprile 2018

Intervista all’assessore all’Economia Armao, che ci spiega tutte le anomalie legate ai trasferimenti statali. Roma sborsa il 50,9%: questa dipendenza di fatto limita i margini di autonomia regionale 

PALERMO – La Sicilia è l’unica regione a Statuto speciale che non finanzia da sé la sua spesa sanitaria: lo Stato contribuisce a coprirne oltre la metà (50,9%).
 
Questa dipendenza dai trasferimenti statali restringe i margini di autonomia regionale: se lo Stato fornisce le risorse ha il diritto di imporre alla Regione come utilizzarle e come realizzare le economie di spesa, ed in diverse occasioni i risparmi conseguiti attraverso i tagli alla sanità siciliana sono stati dirottati fuori dal territorio regionale e destinati al risanamento della finanza pubblica nazionale. La soluzione sarebbe quella che la Sicilia provveda da sola ai costi della propria sanità.
 
La Corte costituzionale, infatti, ha chiarito che le leggi statali non possono imporre come risparmiare sulle spese, né come utilizzare le risorse risparmiate alle regioni che provvedono autonomamente ed integralmente al finanziamento dei propri sistemi sanitari.
Se sono le regioni a pagare lo Stato, questo non può decidere come debbano essere spese le risorse. Ed i tributi versati dai siciliani dovrebbero essere spesi nel territorio regionale.
 
Inoltre, la Costituzione riconosce alle regioni che dispongono di un gettito tributario più basso della media nazionale il diritto ad ottenere trasferimenti di solidarietà (cosiddetti perequativi) a carico delle regioni più ricche, per garantire livelli essenziali di assistenza sanitaria pari al resto del territorio nazionale.
 
Abbiamo chiesto all’assessore regionale all’economia, Gaetano Armao, un parere sui costi della Sanità. Qualche settimana fa alcune testate giornalistiche hanno affermato che il costo della sanità in Sicilia ammonta 4 miliardi e mezzo di euro. “Magari – ha risposto Armao – Il costo della sanità in Sicilia è molto di più. è pari a 9,1 miliardi di euro circa”.
 
L’assessore Armao ha spiegato che 4,5 miliardi è la quota che la regione Sicilia versa come compartecipazione. “Si tratta – ha detto Armao – di una cifra enorme perché le altre regioni non versano nulla”.
 
Inoltre, lo Stato avrebbe dovuto girare alla Sicilia una cifra pari a 600 milioni di euro soldi che provengono dalle accise e che avrebbero dovuto essere accreditati ogni anno. “A partire da quest’anno – ha aggiunto Armao – come segno di confronto e di protesta stiamo mettendo i 600 milioni di euro in entrata nel bilancio. I 4,5 miliardi l’apporto che il bilancio siciliano dà al cosiddetto Fsr, fondo sanitario regionale. In un sistema di finanza regionale completo, dovremmo pagarcelo tutto noi, ma le imposte le dovremmo tenere noi in Sicilia” Invece Armao ha spiegato che lo Stato incassa dalla Sicilia 285 milioni di euro ogni anno, che non sono altro che il risultato di una parte dell’Iva di imprese e professionisti che operano in Sicilia pur non essendovi residenti. Prima ai professionisti venivano pagati l’Iva compresa, ora l’Iva la trattiene l’amministrazione che lo paga.
 
“I nostri predecessori hanno concordato che dal totale che la Sicilia incassa sull’Iva, una parte la deve restituire allo Stato (285 milioni di euro). Se un professionista milanese fa un’operazione in Sicilia, dovrebbe essere la Sicilia a trattenere l’Iva, a che titolo la Regione deve invece dare dei soldi allo Stato?”
 
Armao ha concluso parlando dei programmi futuri: “Abbiamo già chiesto l’annullamento di questo patto che si può considerare una norma veramente vessatoria nei confronti della Sicilia. In un sistema di fiscalità regionale compiuta possiamo farci carico anche dell’intero sistema fiscale, ma lo Stato ci deve riconoscere le accise. Non ce le danno pur avendo una norma nazionale che prevede. Abbiamo aperto con lo Stato la rinegoziazione degli accordi finanziari”.

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