Giustizia lenta e iniqua, vittime i cittadini - QdS

Giustizia lenta e iniqua, vittime i cittadini

Paola Giordano

Giustizia lenta e iniqua, vittime i cittadini

sabato 27 Ottobre 2018

Secondo Salvo Fleres, già garante dei diritti dei detenuti,  le storture del sistema giudiziario italiano affondano le loro radici anche nell’eccesso di protagonismo e autoreferenzialità. Il giornalista "prigioniero politico" della sua fonte. Tra i rimedi separazione delle carriere e responsabilità civile per i magistrati

“Applicazione acritica e terza della legge, senza rinunziare né alla ragione, né al buonsenso”: questa la definizione di Giustizia secondo Salvo Fleres, ex deputato regionale, ex senatore e Garante dei diritti dei detenuti per la Sicilia dal 2006 al 2013.
Lungaggini processuali, errori giudiziari, gogna mediatica, verità televisiva che si sovrappone a quella processuale: l’elenco delle storture della Giustizia italiana è lungo.
 
Abbado, un contenzioso col Fisco lungo 40 anni
MILANO – Si è concluso il lunghissimo contenzioso tra il celebre maestro d’orchestra e senatore a vita Claudio Abbado e il fisco italiano.
I fatti risalgono al 1976, quando il famoso direttore della Scala ricevette un avviso di accertamento di rettifica del reddito per 77 milioni di lire dall’Agenzia delle Entrate, presumendo che egli avesse guadagnato più di quanto avesse dichiarato. Nel 2011 la Commissione tributaria centrale della Lombardia confermò che il reddito presunto fosse stato correttamente determinato.
A distanza di “soli” quarant’anni, la Cassazione ha accolto il ricorso della difesa del maestro, annullando la sentenza che confermava quanto disposto dall’Agenzia delle entrate. Abbado è però scomparso prima di poter gioire della vittoria.
 
Falso e accesso abusivo a credito: archiviazione per Boschi
AREZZO – Archiviato anche il penultimo fascicolo che pendeva a carico di Pier Luigi Boschi, ex vice presidente di Banca Popolare d’Etruria e padre della più nota Elena, ministro per le riforme costituzionali del governo Renzi prima e, a seguire, sottosegretario di Stato durante la breve era di Paolo Gentiloni.
I capi d’imputazione contestati al genitore della piddina riguardavano il falso in prospetto e l’accesso abusivo al credito. Dopo un’indagine durata un anno, i magistrati di Arezzo hanno firmato il decreto di chiusura delle indagini sulla carenza informativa ai clienti relativa agli effettivi rischi nell’acquisto di obbligazioni obbligazioni escludendo la responsabilità del padre della Boschi.
Resta ancora in piedi l’accusa di bancarotta fraudolenta.
 
Non fu bancarotta fraudolenta, assolto il giornalista Emilio Fede
MILANO – Lo storico volto del TG4, Emilio Fede, non sapeva di “concorrere nella sottrazione dei beni” ai creditori della società del noto agente dei vip, Lele Mora.
A scriverlo, nero su bianco, è la Corte d’Appello di Milano che, lo scorso maggio, ha ribaltato la condanna in primo grado a tre anni e mezzo di carcere inflitta a Fede, assolvendolo dalla pesante accusa di bancarotta fraudolenta in concorso con Mora.
Il celebre giornalista, direttore della testata di Rete 4, era finito a processo perché accusato di aver intascato 1,1 dei 2,75 milioni di euro versati da Silvio Berlusconi, otto anni fa, per salvare la società di Mora. I magistrati hanno stabilito che i prestiti concessi dal Cavaliere all’ex talent scout “erano di per sè del tutto leciti”.
 
Fratelli Caputo, i giudici: “Gli arresti furono illegittimi”
PALERMO – Tornano in libertà i fratelli Caputo: secondo il Giudice del Riesame, non c’erano “elementi tali da fondare un positivo giudizio di gravità indiziaria” e, dunque, non c’erano i presupposti per la custodia cautelare.
L’accusa mossa a Salvino e Mario Caputo è quella di attentato ai diritti politici: l’ex sindaco di Monreale ed ex deputato regionale di Alleanza nazionale era risultato incandidabile alle scorse regionali a causa di una condanna per tentato abuso d’ufficio. Al suo posto si decise di far presentare il fratello Mario, sfruttando, secondo l’accusa, il nome del più noto Salvino.
Al procuratore e al pm che si occupano del caso spetterà decidere se impugnare in Cassazione la decisione.
 
Accuse a Centorrino e Albert, Scilabra ritratta dopo 4 anni
PALERMO – La vicenda che ha visto come protagonista, suo malgrado, il professor Mario Centorrino, docente di Economia politica dell’Università di Messina ed assessore regionale alla Formazione durante l’era lombardiana, nasce dalle accuse lanciategli dal suo successore allo scranno assessoriale, Nella Scilabra.
In un’intervista pubblicata sul Sole 24 ore nel 2014, Scilabra definì l’unità di costo standard, voluta dal suo predecessore e dall’allora Dirigente Generale della Formazione Professionale, Ludovico Albert, “un modo per legalizzare una truffa”. A quelle dichiarazioni seguirono le querele dei due professionisti.
Dopo quattro anni, per chiudere la partita, l’ex assessore Scilabra ha ritrattato pubblicamente.
 
Morte ambulante a Catania: prosciolti due vigili urbani
CATANIA – Nessuna responsabilità è imputabile ai due ispettori della Polizia municipale etnea, Antonino Raddusa e Giuseppe Tornatore, per la morte del venditore ambulante abusivo Salvatore La Fata.
A stabilirlo è la Quinta sezione della Corte di Cassazione, che ha confermato il “non luogo a procedere” espresso dal Gip Marina Rizza, rigettando il ricorso della moglie di La Fata.
I fatti, che risalgono a quattro anni fa, sono tristemente noti: a seguito delle verifiche effettuate dai vigili urbani sugli ambulanti abusivi presenti in piazza Risorgimento, La Fata si diede fuoco, riportando su oltre il 60 per cento del corpo ustioni gravissime che lo condussero alla morte pochi giorni dopo.
 

 
L’intervista del Quotidiano di Sicilia a Salvo Fleres, ex deputato regionale e Garante dei diritti dei detenuti in Sicilia dal 2006 al 2013. La sua ricetta per la riforma del sistema Giustizia in Italia
 
Per tentare di districare la matassa del complicato mondo della giustizia, abbiamo interpellato l’ex senatore ed ed deputato regionale siciliano Salvo Fleres, Garante dei diritti dei detenuti in Sicilia dal 2006 al 2013.
Cos’è, per Salvo Fleres, la Giustizia in tre parole.
“Applicazione acritica e terza della legge, senza rinunziare né alla ragione, né al buonsenso”.
 
Durata irragionevole dei processi, errori giudiziari, ingiusta detenzione, fuga di notizie coperte dal segreto istruttorio, gogna mediatica e verità “televisiva” che si sovrappone a quella processuale: sono questi alcuni dei tanti volti della cosiddetta malagiustizia italiana. Come correggere le storture del sistema Giustizia?
“Non è semplice fornire una risposta sintetica su questi argomenti. Mi limito a dire che le storture segnalate sono spesso figlie dell’eccesso di protagonismo, dell’autoreferenzialità e dell’ipocrisia, che vorrebbe si attribuissero tutte le responsabilità degli episodi che lei cita ai giornalisti, soprattutto se fanno bene il loro lavoro, evitando di diventare i passivi portavoce delle loro fonti. Mi pare chiaro che non si possa dimenticare che esistono i magistrati, la polizia giudiziaria, gli avvocati difensori, ecc. La verità è che il giornalista di questo delicatissimo settore è un ‘prigioniero politico’ della sua fonte. Non credo sia necessario aggiungere altro”.
 
Quali sono i punti chiave che, a suo avviso, sarebbe opportuno inserire in una riforma della giustizia?
“Anche in questo caso bisognerebbe rispondere in maniera molto articolata. Mi limiterò a dire: assoluta separazione delle carriere, responsabilità civile dei magistrati, Consiglio Superiore della Magistratura composto per sorteggio tra i magistrati che hanno maturato i requisiti stabiliti, riforma del sistema penitenziario.
Mi permetto di aggiungere che la politica dovrebbe fare meglio la sua parte, evitando di scrivere leggi, spesso confuse, sotto la spinta emotiva di singoli episodi di cronaca, lasciando così troppo spazio ad interpretazioni diverse, e talvolta persino fantasiose o contrastanti tra loro, in base ai Tribunali o ai singoli giudici a cui sono affidate le varie sentenze, nei tre gradi di giudizio”.
 
Per quanto tempo ha ricoperto il ruolo di garante dei diritti dei detenuti in Sicilia? E cosa può dirci di una realtà che ha potuto constatare in prima persona?
“Ho svolto le funzioni di Garante dei diritti dei detenuti per sette anni (dal 2006 al 2013, ndr), anche se, in virtù degli incarichi che ho ricoperto nella Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo, mi occupo di carceri da circa trent’anni.
La situazione che ho riscontrato è drammatica, l’articolo 27 della Costituzione è strutturalmente e permanentemente violato, le attività rieducative intramurarie sono nulle o molto generiche, le carceri sono sovraffollate e male attrezzate, al loro interno si studia e si lavora poco o niente, l’assistenza sanitaria è molto carente, il contrasto alle dipendenze è minimo, le relazioni interpersonali sono curate male, i mezzi a disposizione sono insufficienti, il personale penitenziario è insufficiente, male assortito, demotivato e stressato.
Un grave aspetto negativo riguarda l’alto numero di suicidi, uno positivo riguarda il volontariato, che colma, come può, i vuoti di un’amministrazione vecchia, sorda, malconcia e trascurata.
Bisognerebbe spiegare bene a tutti, politici in testa, che il criminale non è un marziano che viene da un altro pianeta. Egli ha avuto una vita sociale prima del delitto, durante la quale, forse, non ci siamo accorti di quello che gli stava accadendo, ha una vita durante la pena, che deve avere come obiettivo la rieducazione, e avrà una vita dopo che avrà scontato il suo debito con la società. Trascurare anche una sola di queste tre fasi significa perdere un’opportunità per realizzare un modello civile più sicuro e legale.
I migliori antidoti contro il crimine sono tre: la scuola, il lavoro, l’inclusione sociale. Se le cose resteranno nel modo in cui sono adesso, in Italia, il carcere continuerà a coltivare l’odio verso lo Stato, non certo il recupero ed il reinserimento sociale. Come diceva il grande Fabrizio DeAndrè in una sua famosa canzone: “Anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti”. Non dovremmo mai dimenticarlo, qualunque sia il nostro ruolo nella società.
Ovviamente, per fortuna, ci sono alcune rare positive eccezioni come la Casa di Reclusione di Bollate, le Colonie agricole della Sardegna o della Toscana e poco altro”.

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