Sicilia inquinata, Ue pronta a multarci ancora - QdS

Sicilia inquinata, Ue pronta a multarci ancora

Rosario Battiato

Sicilia inquinata, Ue pronta a multarci ancora

mercoledì 13 Marzo 2019

Commissione Ue deferisce l’Italia alla Corte di Giustizia per due procedure d’infrazione già esistenti. Coinvolta anche l’Isola sia per la mancata depurazione delle acque che per l’aria avvelenata. Dal 2012 l’assente trattamento dei reflui ci costa 97 mila € al giorno: una stangata da 250 mln

PALERMO – Depurazione dei reflui e aria urbana, la Sicilia sempre più giù. Lo conferma la notizia di giovedì scorso, che arriva direttamente da Bruxelles, con la Commissione europea che ha deferito l’Italia alla Corte di Giustizia comunitaria per due cause distinte che riguardano la legislazione comunitaria. Passi in avanti per procedure di infrazione avviate diversi anni orsono e che coinvolgono direttamente la Sicilia.
 
 
DEPURAZIONE
Non c’è una nuova procedura, ma l’avanzamento di una vecchia. Secondo quanto riportato dalla Commissione Ue, l’Italia non garantisce che tutti gli agglomerati con una popolazione di oltre 2.000 abitanti dispongano di reti fognarie per le acque reflue urbane, e che le acque che confluiscono nelle reti fognarie siano trattate in modo adeguato prima dello scarico, come prescritto dalla direttiva 91/271/Cee. Nel mirino ci sono 620 agglomerati in 16 regioni diversi, tra queste figura ovviamente la Sicilia.
La procedura di infrazione di riferimento, che coinvolge 176 agglomerati isolani, risale a cinque anni fa (numero 2014/2059) e si lega agli agglomerati con carico generato superiore a 2 mila abitanti equivalenti. Questa nuova fase, nell’iter di vita della procedura, potrebbe avviare anche le sanzioni pecuniarie nei confronti dell’Italia e quindi della Sicilia, inclusi comuni e altri enti, su cui il governo nazionale si rivarrebbe. Le altre tre procedure di infrazione sono la 2004/2034, che è la più antica, e coinvolge agglomerati con carico generato superiore a 15 mila abitanti equivalenti. Quest’ultima si trova già in sentenza di condanna (19 luglio 2012) e riguarda 110 agglomerati isolani, praticamente il 63% di quelli coinvolti a livello nazionale.
 
In sentenza di condanna anche la procedura 2009/2034 che coinvolge gli agglomerati con carico generato superiore a 10 mila abitanti equivalenti che scaricano in aree definite “sensibili”. La sentenza di condanna (10 aprile 2014) riguarda 41 agglomerati nazionali, di cui 5 siciliani (5% del totale). L’ultima in ordine di arrivo, si tratta della quarta, è la 2017/2181 e, pur non essendoci dati di dettaglio a livello regionale, coinvolge 15 regioni e 276 agglomerati sopra i 2 mila abitanti.
 
ARIA
Anche sulla cattiva qualità dell’aria non c’è niente di nuovo, ma soltanto il pericoloso avanzamento di una procedura che risale a quattro anni fa e che adesso potrebbe essere alle porte delle sanzioni comunitarie. In particolare, si fa riferimento alla mancata protezione dei cittadini dagli effetti delle emissioni di biossido di azoto, in rapporto ai valori limite stabiliti dalla legislazione comunitaria (art.13 della direttiva 2008/50/Ce), che avrebbero dovuto essere rispettati già dal 2010.
 
Nel mirino ci sono importanti città nazionali, tra cui Catania, e poi siti particolarmente esposti all’aggressione come l’area industriale siciliana. Si tratta della procedura (2015-2043) che comunque non è l’unica che riguarda la Sicilia. L’Isola patisce anche un’altra procedura legata al superamento dei valori del limite di PM10 (2014-2147).
 
CHI E QUANTO SI PAGA
A fare luce su questi aspetti, ci hanno pensato i tecnici dell’Assessorato ai Servizi di Pubblica Utilità che hanno realizzato una relazione, in allegato a una deliberazione per il finanziamento per l’adeguamento delle rete e per la depurazione. Gli esperti hanno spiegato che le sanzioni comunitarie per la mancata depurazione costano alle casse regionali, dato il diritto di rivalsa esercitato dallo Stato, 97 mila euro al giorno dal 2012. Stimando questo dato per tutti gli anni di ritardo, si avrebbe qualcosa come 247,8 milioni di euro.
Sanzioni che potrebbero essere ulteriormente ispessite dalle ultime notizie in materia di avanzamento dell’iter procedurale delle altre infrazioni. A pagare, comunque, non saranno gli italiani, ma i siciliani. È sempre la Regione a spiegare che le sanzioni vengono determinate su “scala nazionale e vanno poi ripartite, ai fini della valutazione delle responsabilità connesse al diritto di rivalsa, in funzione della consistenza territoriale degli agglomerati fuori norma”. In questo senso, l’Amministrazione statale ha già “manifestato ufficialmente l’intenzione di esercitare il diritto di rivalsa nei confronti di Regioni o di altri Enti pubblici responsabili di tali infrazioni”.
 
Il percorso è molto semplice: le sanzioni andrebbero a incidere sul “bilancio regionale, ma dovrebbe essere poi ripartito pro-quota nei confronti degli altri enti le cui inadempienza hanno contribuito, e contribuiscono tuttora, a determinare le procedure di infrazione”.
 

 
Ance: “Impegnati 400 milioni di euro, ma gli altri 700 sono ancora bloccati”
 
PALERMO – Nella nota che annuncia il deferimento alla Corte comunitaria, la Commissione Ue non lesina i commenti sulle conseguenze delle leggerezze italiane sul fronte ambientale. “L’inquinamento atmosferico provoca direttamente malattie gravi e croniche come asma, problemi cardiovascolari e cancro ai polmoni. In termini economici, le malattie imputabili all’inquinamento atmosferico costano miliardi di euro in giornate di lavoro perdute”.
 
Oltre all’Italia sono stati coinvolti altri Stati membri accusati di aver omesso di prendere misure appropriate per ridurre al minimo i periodi di superamento dei limiti alle emissioni di NO2 che erano state adottate contro Francia, Germania e Regno Unito nel maggio 2018. Anche sul fronte della depurazione, lo stato dell’arte è molto grave. La situazione d’infrazione in queste regioni “dura da oltre 13 anni, con notevoli rischi per l’ambiente e la salute umana”, ha ricordato la Commissione.
 
Intanto si lavora nel tentativo di spendere i fondi che il Cipe, ne lontano 2012, aveva destinato all’Isola, poco più di un miliardo. L’avanzamento dei cantieri è nelle mani del Commissario nazionale, Enrico Rolle, che sta procedendo a tappe forzate. Intanto, nei giorni scorsi è arrivata la nota durissima dell’Ance Sicilia, proprio sulla spesa dei fondi. Secondo l’associazione regionale dei costruttori, è stato avviato l’iter per “impegnare 400 milioni ma gli altri 700 sono fermi”.
 
A questa denuncia ha replicato l’assessore regionale all’Energia, Alberto Pierobon, che ha sottolineato come, al momento dell’insiediamento, lui e il Commissario Rolle hanno trovato “un quadro di grande sofferenza” con diverse criticità da rimuovere. “L’ultimo incontro con la struttura commissariale di Rolle è avvenuto a febbraio – ha spiegato Pierobon – la buona notizia comunicata è che tutti gli interventi sono stati avviati. C’è però ancora tanto da fare. Stiamo intervenendo per rimuovere gli ostacoli di natura tecnica e burocratica che sono stati riscontrati a diversi livelli”.
 

 
Legambiente: in questi anni il Paese non ha fatto nulla
“Serve un Piano nazionale contro l’inquinamento”
 
PALERMO – In seguito alla notizia dell’avanzamento delle due procedure di infrazione sull’acqua e sulla depurazione, non sono mancati i commenti da parte delle associazioni ambientaliste. Per Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, la notizia “non ci sorprende affatto, anzi è la conferma di quanto poco il nostro Paese abbia fatto in questi anni su questi due fronti sui quali, invece, è urgente intervenire”. A partire dall’inquinamento atmosferico, ha proseguito il presidente dell’associazione del Cigno, che continua ad “essere un’emergenza cronica nella Penisola non più giustificabile con le avverse condizioni meteo-climatiche della pianura padana o legate alla sola stagionalità invernale”.
 
La proposta è un “Piano Nazionale contro l’inquinamento, penalizzare economicamente il traffico motorizzato privato investendo sul potenziamento del trasporto pubblico locale, pendolare e su ferro; ridurre le emissioni industriali e quelle prodotte dal riscaldamento; dall’altro lato velocizzare al più presto la messa a norma di quei sistemi fognari e depurativi su cui l’Europa, sempre attenta all’ambiente e alla salute dei cittadini, da anni ci chiede di intervenire”.
 
Nessuna meraviglia nemmeno da Greenpeace. Luca Iacoboni, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia, ha sottolineato che nelle “nostre città occorrerebbe mettere in campo delle roadmap ben definite per bandire i diesel dalle strade, solo così inizieremmo a migliorare la qualità dell’aria che respiriamo”.
L’associazione, in particolare, ha denunciato la grave situazione delle quattro città italiane con il maggior inquinamento da NO2: Torino, Milano, Roma e Palermo. E se “a Milano è stata avviata una programmazione per lo stop ai diesel, sia pure per una data tardiva come il 2030, non si hanno ancora notizie di iniziative a Torino e Palermo”.

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