A Catania il laboratorio che testa le mascherine - QdS

A Catania il laboratorio che testa le mascherine

Liliana Rosano

A Catania il laboratorio che testa le mascherine

sabato 18 Aprile 2020

Intervista a Salvatore Baglio, coordinatore del progetto “Anti-Covid Lab” basato sulla collaborazione tra Università di Catania e Laboratori nazionali del Sud

CATANIA – Una task force interdisciplinare nata da un gruppo di ingegneri fisici, chimici, microbiologi ha dato vita all “Anti_Covid-lab”, un laboratorio per la verifica delle qualità funzionali di tessuti destinati alla realizzazione di mascherine e altri dispositivi di protezione individuale.

Il progetto, basato sulla collaborazione tra Università di Catania e Laboratori nazionali del Sud, è già stato avviato e fornisce assistenza tecnico-scientifica alle aziende che potranno richiedere di testare tessuti per realizzare mascherine. Proprio nei giorni scorsi, il laboratorio ha ricevuto disco verde dall’Istituto superiore di sanità per il rilascio delle relazioni tecniche necessarie per la certificazione di mascherine chirurgiche ad uso medico. Ne abbiamo parlato con il professore Salvatore Baglio, delegato alla Ricerca dell’Unict, coordinatore del progetto Anti-Covid Lab sviluppato insieme con i professori Giacomo Cuttone (fisico, Laboratorio nazionale del Sud), Nunzio Tuccitto (chimico) e con la professoressa Stefania Stefani (Microbiologa) dell’Ateneo catanese.

Professore, il laboratorio che lei coordina ha l’obiettivo di verificare le qualità funzionali di tessuti destinati alla realizzazione di mascherine e di altri DPI. Ad oggi, quante sono state le aziende che si sono rivolte a voi e quali sono i primi riscontri?
“Ad oggi abbiamo ricevuto oltre duecento richieste da tutta Italia e da aziende di tutte le dimensioni. Nella quasi totalità si tratta di aziende che hanno convertito o che intendono riconvertire la loro produzione. Alcune provengono dallo stesso settore o settori vicini, altre da settori diversi. Tutte utilizzano materiali ‘alternativi’ rispetto a quelli tradizionalmente impiegati nelle mascherine e tramite il laboratorio abbiamo avuto modo di apprezzare diverse soluzioni ‘originali’ (a volte anche molto efficaci per la realizzazione delle stesse). Una serie di considerazioni ci hanno portato a identificare nella caratterizzazione dell’Efficacia di Filtraggio Batterico (BFE, Bacterial Filtering Effect) di un materiale o della mascherina il parametro di principale importanza per la qualificazione delle mascherine chirurgiche e quindi strategico in questa emergenza. La strategia scelta si è rivelata vincente, visto il grande numero di aziende che hanno già fatto richiesta del servizio. Mi preme sottolineare che l’Unict in questa emergenza ha reso gratuito l’accesso al laboratorio per i test preliminari sui materiali. Le aziende selezionate potranno poi proseguire il processo di qualificazione delle mascherine dopo apposita stipula di convenzione. Il riconoscimento delle nostre procedure da parte dell’Iss è il coronamento degli sforzi di tutto il gruppo e la dimostrazione dell’importanza strategica di un centri di eccellenza come Brit (Bio-Nanotech Research and Innovation Tower)”.

Come si è sviluppato il progetto?
“Facendo squadra tra ingegneri, chimici, fisici e microbiologi abbiamo realizzato un sistema che, seguendo le indicazioni della norma di riferimento nel settore, la norma UNI 14683 del 2019 “Requisiti maschere facciali uso medico (cd “chirurgiche”)”, sottopone la mascherina sotto esame ad un flusso d’aria contenente un aerosol con una carica batterica nota. Il flusso d’aria con l’aerosol è applicato con una pressione che simula quella imposta attraverso uno starnuto. La misura della differenza tra la carica batterica dell’aerosol e quella osservata a valle della mascherina, considerando particelle di aerosol fino alla dimensione di milionesimi di metro (micrometri), determina la capacità filtrante della mascherina. Il laboratorio è stato reso operativo in meno di una settimana includendo i tempi per la progettazione e la realizzazione delle apparecchiature e la messa a punto delle procedure microbiologiche”.

Quali sono le competenze tecnico-scientifiche che ognuna delle discipline coinvolte ha messo in campo?
“Gli ingegneri si sono occupati della progettazione meccanica e della strumentazione di controllo. I fisici ed i chimici hanno messo a punto i meccanismi di funzionamento della produzione dell’aerosol, della gestione dei flussi, della separazione del particelle di aerosol (droplet) e dei gas. I microbiologi hanno realizzato il protocollo di preparazione del ‘brodo di coltura’ per la produzione dell’aerosol con la carica batterica nota, hanno definito la procedura di misura ed infine sono quelli che eseguono i test sui materiali e le mascherine. Stiamo adesso lavorando per uniformare le procedure con gli altri laboratori nati in altre università italiane con simili finalità in modo da offrire alla collettività un servizio ancora migliore”.

Dal punto di vista scientifico quali sono i suggerimenti che lei si sente di condividere sull’utilizzo delle mascherine?
“L’efficacia delle mascherine nel ridurre la dispersione delle particelle che trasportano il virus è stata ampiamente dimostrata con numerose evidenze sperimentali, simulazioni numeriche e prove scientifiche. Credo che le indicazioni da parte degli esperti siano chiare: vanno usate in questo periodo da tutti ogni volta che ci si trova in ambienti chiusi o comunque a stretto contatto con altri”.

Ci sono procedure di disinfezione casalinga delle mascherine che non pregiudicano del tutto l’efficacia della barriera?
“Anche questo è un argomento controverso. Noi non abbiamo dati sulla permanenza delle proprietà delle mascherine dopo lavaggi o peggio dopo lavaggi ripetuti. Stiamo lavorando anche su questo aspetto per qualificare i campioni che ci vengono portati, ma ci vuole tempo”.

Il Center of Disease Control and Prevention, ente sanitario americano, ha suggerito in un tutorial come fare in casa una mascherina, nel caso in cui fosse difficile reperirne una. Se dovessimo, per necessità, optare per una soluzione domestica, quale tessuto è il più efficace per una mascherina fatta in casa?
“In generale bisogna sovrapporre strati idrorepellenti con strati filtranti, ma ottenere il giusto equilibrio tra traspirabilità e poter filtrante non è semplice. Comunque in generale, come anche consigliato dall’autorevole Cdc, coprire naso e bocca va sempre e comunque bene ed è un segno di rispetto per gli altri in ambienti chiusi”.

In che direzione sta andando la ricerca scientifica di rami come l’ingegneria, la chimica, la fisica e la microbiologia a servizio della lotta contro il Covid-19?
“C’è stata un’esplosione di attività. Ciascuno di noi vuole sentirsi utile e si sta impegnando a fare la propria parte ed aiutare i medici nella loro opera e la società. Parlando di mascherine e materiali spero che si possa trovare presto una soluzione che non preveda l’uso di materiali plastici, altrimenti dopo aver fatto tanti sforzi fino a vietare stoviglie, posate e cannucce di plastica ci troveremo invasi da tonnellate di rifiuti plastici provenienti da mascherine che sono già per loro natura microstrutturate e quindi pericolose. Quindi la messa a punto di mascherine biodegradabili sarebbe sicuramente un importante risultato”.

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