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Coronavirus, i ginecologi, favorire l’aborto farmacologico per decongestionare gli ospedali

redazione web

Coronavirus, i ginecologi, favorire l’aborto farmacologico per decongestionare gli ospedali

mercoledì 08 Aprile 2020

I ginecologi italiani favorevoli a un maggior ricorso all’aborto farmacologico durante l’emergenza Covid-19, a tutela della salute e dei diritti delle donne, così come previsto dalla Legge 194 del 1978.

Le società scientifiche di Ginecologia e Ostetricia si dichiarano favorevoli a un impiego maggiormente estensivo dell’aborto farmacologico perché consentirebbe in questa fase di pandemia di decongestionare gli ospedali, alleggerire l’impegno degli anestesisti e l’occupazione delle sale operatorie.

“In questo momento storico riteniamo doveroso tutelare la salute e i diritti delle donne, attuando le procedure ritenute giustamente indifferibili, e al contempo ponendo in essere tutte le misure utili a contenere e contrastare il diffondersi della pandemia”, dichiara Antonio Chiantera, Presidente della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (Sigo), ricordando il decreto ministeriale del 3 marzo che ha ribadito che tra le attività indifferibili, insieme al Percorso nascita, deve essere tutelato e garantito quello dell’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg).

Nicola Colacurci presidente dell’ Associazione Ginecologi Universitari Italiani Agui) sottolinea che in questo momento di emergenza “il percorso tradizionale dell’aborto chirurgico, che prevede numerosi accessi ambulatoriali espone la donna a un numero eccessivo di contatti con le strutture sanitarie, che sicuramente non contribuiscono alla riduzione del rischio di contagio”.

Non solo: le maggiori difficoltà che le donne incontrano ad accedere ai servizi di interruzione volontaria di gravidanza, rischiano di determinare il superamento dei limiti temporali previsti dalla legge rischio maggiore per le donne che vivono in condizioni di alta marginalità e vulnerabilità, quali violenza domestica, condizioni precarie di salute o positività a COVID-19.

Gli esperti sottolineano la necessità di rivedere alcuni aspetti delle procedure vigenti, dichiarandosi favorevoli prima di tutto a spostare il limite del trattamento da 7 a 9 settimane; eliminare la raccomandazione del ricovero in regime ordinario dal momento della somministrazione del mifepristone a momento dell’espulsione; introdurre anche il regime ambulatoriale che prevede un unico passaggio nell’ambulatorio ospedaliero o in consultorio, con l’assunzione del mifepristone, e la somministrazione a domicilio delle prostaglandine, procedura già in uso nella maggior parte dei Paesi europei. Per i ginecologi inoltre bisogna prevedere una procedura totalmente da remoto, monitorizzata da servizi di telemedicina, come è già avvenuto in Francia e nel Regno Unito.

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