Epatite C, sono quasi 180mila i pazienti trattati in Italia - QdS

Epatite C, sono quasi 180mila i pazienti trattati in Italia

redazione

Epatite C, sono quasi 180mila i pazienti trattati in Italia

sabato 20 Aprile 2019

ROMA – Epatite C in Italia: avanti verso l’eradicazione come obiettivo perseguibile. Arriva dal Senato il forte appello all’unità in un confronto tra esponenti politici , specialisti, pazienti, economisti organizzato per fornire risposte concrete a una priorità assoluta: lo stato di avanzamento del Piano per l’eliminazione dell’epatite C nel nostro Paese.
Quasi 180mila pazienti trattati. In carcere un detenuto su 3 è viremico, contro i 2 casi su 3 finora emersi dalle analisi.
Significativo il ritorno degli investimenti per migliorare la salute. “La facilità nella somministrazione del test orale per epatite, veloce e non invasivo, ha fatto sì che sia stato ben accolto da tutti. Se prima, infatti, si pensava che fosse di circa il 70% la percentuale dei viremici, i dati finora raccolti parlano di una considerevole riduzione pari al 30%”, ha spiegato Sergio Babudieri, direttore scientifico della SimsPe- Società italiana di Medicina e Sanità penitenziaria.
Il carcere si conferma un concentratore di patologie: dalle malattie psichiatriche all’Hiv, dal diabete all’Hcv, senza dimenticare neoplasie e malattie cardiovascolari. Questi primi dati preliminari sembrano indicare una riduzione dei pazienti viremici da sottoporre alle terapie rispetto all’atteso.
“Quello che ha colpito maggiormente durante questa fase iniziale di screening è che i detenuti sono maggiormente informati e sono disposti a farsi aiutare in caso di malattia”, ha aggiunto Babudieri, ricordando che “l’Hcv è una malattia che produce malattia”.
“Abbiamo trovato una tendenza – ha detto – e quindi non ancora un dato scientificamente valido, che trova però riscontro anche con altre ricerche in corso. Sembrerebbe che molte persone che vengono a contatto con il virus lo eliminano in maniera spontanea. Questo trend, se venisse confermato dalle successive fasi di screening, abbasserebbe di fatto l’allarme su questa malattia, e quindi renderebbe possibile l’obiettivo previsto per il 2030, anche prima di questa data. Rimangono però da combattere gli altri gruppi maggiormente a rischio: parliamo dei tossicodipendenti, di quelli dediti a tatuaggi e piercing, dei giovani sessualmente attivi con partner multipli”.
“Occorre dare l’ultima spallata alla malattia e permettere di completare quest’ultimo miglio contro il virus. Il rischio è di retrocedere come dimostrato dal calo di accesso alle terapie – ha evidenziato Massimiliano Conforti, vicepresidente EpaC onlus.
Ad oggi, l’Italia segna importanti traguardi raggiunti, oltre 176.810 i pazienti sono in cura, e ne restano diverse decine di migliaia che spesso non sanno nemmeno di essere portatori del virus. “A loro e ai medici di famiglia, si rivolge la comunità scientifica di infettivologi e epatologi, e questo network messo in campo deve coinvolgere le stesse famiglie perché possano spingere i loro cari, siano i pazienti ignari o coscienti, alla cura nei centri prescrittori, cura gratuita tramite somministrazione orale efficace e risolutiva della durata di poche settimane. Il criterio mostrato dagli economisti delle coorti suddivise per anno di nascita, i parametri evidenziati per gli scenari di screening graduati e non graduati, e l’importanza degli investimenti che generino un miglioramento della salute, mettono in luce una storia di successo in Italia. Il caso di regioni virtuose come il Veneto, la Campania e la Sicilia, evidenzia il grande lavoro che è stato fatto e quanto resti da fare entro la fine del 2019”, ha concluso Salvatore Sciacchitano, capo della segreteria del sottosegretario alla Salute Bartolazzi.

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