Etna, ricostruito il funzionamento dell'ascensore del magma - QdS

Etna, ricostruito il funzionamento dell’ascensore del magma

redazione

Etna, ricostruito il funzionamento dell’ascensore del magma

martedì 10 Settembre 2019

In uno studio dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e dell'Ogs. Si tratta di un complesso meccanismo giocato sul movimento e l'organizzazione delle faglie

Ricostruite le immagini del sottosuolo dell’Etna per capire dove sono le faglie, come si muovono e sono organizzate: grazie a questo lavoro i ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) e dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (Ogs) sono riusciti a determinare le possibili condizioni che hanno permesso al magma di risalire in superficie, come spiegano sulla rivista Scientific Reports.

L’area in cui sorge l’Etna si sviluppa in una zona di faglie “trascorrenti” (cioè con movimenti orizzontali).

“Attraverso i dati sismici, gravimetrici e magnetici – precisa Marco Firetto Carlino, ricercatore dell’Ingv – siamo riusciti a ottenere le immagini per ‘vedere’ il sottosuolo dove si trovano le faglie e come sono organizzate”.

A partire da almeno 500.000 anni fa, continua Firetto Carlino, “l’attività tettonica di un’ampia zona di faglia nella parte meridionale del vulcano (tra Acireale e i dintorni di Adrano) ha portato alla formazione di zone di ‘apertura’ della crosta terrestre”.

Queste sono state le vie preferenziali per la risalita dei magmi attraverso fessure eruttive diffuse lungo la faglia.

Tali fessure, individuate tra Aci Trezza e Adrano, hanno caratterizzato le prime fasi dell’attività etnea.

La continua deformazione lungo la stessa zona di faglia e poi anche più a nord, nonché la loro reciproca interazione, “ha portato alla migrazione delle zone di eruzione dei magmi e alla chiusura repentina dei condotti eruttivi precedentemente attivi”.

Ciò spiega il processo di migrazione del vulcanismo dal versante meridionale (attivo da almeno 500.000 a circa 200.000 anni fa), fino all’area della Valle del Bove (da circa 100.000 a 70.000 anni fa) e agli attuali centri eruttivi (da circa 60.000 anni fa ad oggi).

La deformazione indotta dalle faglie “sul substrato su cui poggia il vulcano – conclude il ricercatore – ha inoltre influenzato anche lo scivolamento del fianco orientale dell’Etna, caratterizzato da elevata sismicità, come dimostra il terremoto dello scorso dicembre”.

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