Sicilia, Giustizia lenta e spesso schizofrenica - QdS

Sicilia, Giustizia lenta e spesso schizofrenica

Paola Giordano

Sicilia, Giustizia lenta e spesso schizofrenica

sabato 21 Settembre 2019

Le troppe criticità minano la fiducia dei cittadini. Il calvario della famiglia Cavallotti, il figlio Pietro al Quotidiano di Sicilia, “Mio padre e i miei zii assolti dall'associazione mafiosa ma tutti i nostri beni sono stati confiscati”

PALERMO – Le vicende che hanno coinvolto la famiglia Cavallotti sono iniziate ventun anni fa, quando il padre di Pietro e due zii, tutti imprenditori nel campo della metanizzazione, vengono arrestati con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso.

È il 1998. Inizia un calvario che a livello penale si è risolto con un’assoluzione definitiva nel 2010 ma che prosegue sul fronte patrimoniale. Perché per gli stessi fatti, nel 1999, la Sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo ha disposto il sequestro del patrimonio, affidandolo ad un amministratore giudiziario.

“Quella che doveva essere una misura provvisoria – spiega al Qds Pietro, figlio di uno dei tre imprenditori accusati – è durata dodici anni. E si è conclusa con la confisca dei beni e l’applicazione della misura di prevenzione personale. In Appello la Procura Generale ci riconosce vittime e chiede alla Corte di restituirci i beni ma il secondo grado conferma la confisca. Ricorriamo in Cassazione che rigetta il ricorso nel dicembre 2015. Facciamo ricorso alla Corte europea che ha dichiarato ricevibile il nostro ricorso: siamo in attesa della decisione. Presentiamo un’istanza per la riapertura del processo, che viene rigettata in primo grado. Abbiamo fatto Appello, aspettiamo la data dell’udienza”.

Nel frattempo però, a seguito della confisca diventata definitiva, l’Agenzia dei Beni sequestrati e confiscati – nel luglio del 2017 – ha eseguito lo sfratto.

Questo è uno dei tanti casi che richiama molte delle storture del sistema giuridico italiano da anni note a tutti ma ancora irrisolte: errori giudiziari, ingiusta detenzione, durata irragionevole del processo, per citare i più eclatanti.
La riconferma di Alfonso Bonafede nel ruolo di Ministro della Giustizia dovrebbe garantire, quanto meno in via teorica, continuità, e avvantaggiare, quanto meno da un punto di vista della tempistica la riforma di un settore che paga ancora oggi conseguenze di annunci rimasti tali.

La riforma che Bonafede ha nel cassetto da mesi parte dalla consapevolezza – emersa anche nel corso del primo incontro fra il Guardasigilli e il vice segretario del Pd Andrea Orlando, avvenuto pochi giorni fa – di quanto sia prioritaria la drastica riduzione dei tempi del processo civile e penale.

Altro punto che non può più aspettare è la riforma del Csm, finito nel caos dopo il “caso Palamara”.
All fine dell’incontro con Orlando, Bonafede ha assicurato che, entro settembre, saranno pronte la riforma dei processi civili e penali e quella del Csm. Staremo a vedere.

 


 

Caso “Why Not”, dopo 12 anni la Cassazione assolve i due magistrati Murone e Favi
Non ci fu abuso d’ufficio ai danni dell’ex pm Luigi De Magistris

ROMA – “Ci sono voluti dodici anni per fare giustizia, una giustizia in cui ho sempre creduto anche se, vedendo certi comportamenti, pure di certi colleghi, ho tentennato”: queste le parole dell’ex procuratore aggiunto di Catanzaro, Salvatore Murone, dopo la decisione della Corte di Cassazione, che ha scagionato lui e l’ex avvocato generale Dolcino Favi.

Il procedimento nel confronti di Murone e Favi scaturì a seguito delle denunce presentate dall’ex pm Luigi De Magistris, oggi sindaco di Napoli, il quale sosteneva gli fossero state illegittimamente sottratte le indagini ‘Why Not’ e ‘Poseidone’. La sentenza di primo grado aveva assolto i magistrati catanzaresi legittimando i provvedimenti adottati ma la Corte d’Appello di Salerno ribaltò la decisione, dichiarando il non doversi procedere per intervenuta prescrizione per i reati di abuso d’ufficio a loro contestati. Dopo dodici anni la Cassazione scrive quello che probabilmente è l’ultimo capitolo della vicenda: l’annullamento senza rinvio della sentenza di secondo grado, che comporta la piena efficacia dell’assoluzione stabilita in primo grado. “Tutte le mistificazioni, le bugie, le cattiverie – dice Murone – sono finite”. Che prosegue con un affondo alla categoria dei giornalisti: “La sentenza della Cassazione è un risarcimento per l’indegna campagna mediatica nei miei confronti e nei confronti dei miei coimputati, tutti assolti. È una vicenda lontana nel tempo, che non tutti ricordano ma che a mio avviso segnò uno dei punti più bassi della vostra categoria, quella dei giornalisti, tutti schierati indistintamente a favore delle tesi di De Magistris. Venimmo linciati per mesi in tv e sui giornali, venimmo additati come la peggiore espressione della magistratura, non riuscimmo, tranne rarissime eccezioni, a rispondere ad una macelleria mediatica (prima ancora che giudiziaria) che ha distrutto la nostra onorabilità, le nostre carriere, le nostre famiglie”.

Poche invece le parole di Dolcino Favi: “La decisione della Cassazione chiude una vicenda assurda, incredibile. È talmente tanta l’amarezza e la sofferenza patita che non ho niente da commentare perché i fatti si commentavano da soli già 12 anni fa”.

Immediata la reazione di De Magistris, che spiega di voler attendere la motivazione “perché ci possono essere tante ragioni per l’annullamento” e sostiene che “La Cassazione non può entrare nel fatto. La sentenza della Corte d’Appello di Salerno in cui si parla di condotte, seppur prescritte, di abuso d’ufficio, è un fatto storico acclarato e la storia non può essere cambiata”.

 


 

 

Quel vergognoso permesso al killer di Napoli per i suoi 18 anni

NAPOLI – Nel marzo del 2018, insieme a due amici, uccise a sprangate un uomo, il vigilante Francesco Della Corte, davanti alla metro di Piscinola, quartiere nella periferia nord di Napoli, e ha ottenuto ben cinque permessi per uscire temporaneamente dal carcere minorile di Airola (Bn): uno per sostenere un provino per una società calcistica del Beneventano, un altro per pranzare con la famiglia, un altro ancora per festeggiare il suo diciottesimo compleanno, con tanto di foto diffuse sui social network. È questo un altro, forse il più crudele, dei volti della malagiustizia, che premia un giovane che ha freddato un uomo.

“Si sostengono sempre di più i diritti dei detenuti, – commenta la figlia di Della Corte, Marta – ma dove sono finiti invece i diritti delle vittime e delle famiglie di chi è stato ucciso, di quelli a cui è stato negato il diritto alla vita?” , e in una lettera indirizzata ai giudici chiede “il massimo rigore ricordando il dolore che proviamo ogni giorno”.

 


 

Assoluzione Sindaco Cateno De Luca: “Nel tritacarne mediatico per 9 anni”

MESSINA – Cateno De Luca resterà al suo posto, nel ruolo di primo cittadino peloritano. La Corte d’Appello di Messina ha infatti confermato l’assoluzione stabilita dal primo grado di giudizio, in relazione al procedimento penale legato al “sacco edilizio di Fiumedinisi”, scongiurando così la sospensione del mandato, prevista dalla Legge Severino per i casi di corruzione, concussione, abuso d’ufficio, peculato.

La sentenza riguarda, vicende risalenti agli anni tra il 2004 e il 2010. Nel mirino degli inquirenti i lavori di costruzione di un albergo a Fiumedinisi con centro benessere, ad opera della Dioniso srl. Oltre all’albergo anche 16 villette e la realizzazione di un muro di contenimento del torrente Fiumedinisi, tutte opere che secondo l’accusa avevano favorito società dell’allora sindaco di Fiumedinisi, Cateno De Luca.
Le accuse rivolte a De Luca erano tentativo di concussione, abuso d’ufficio e falso in atto pubblico. Il primo grado stabilì l’assoluzione dalle ultime due, mentre dichiarò prescritta la tentata concussione, perché riqualificata in induzione indebita. L’Appello ha confermato quanto stabilito in primo grado.

“Sono soddisfatto di questo esito” ha commentato De Luca appena uscito dall’aula: “Onestamente ci ho sempre sperato. Ho sempre cercato di dimostrare la mia estraneità ai fatti, non fuggendo dai processi ma difendendomi negli stessi, presentandomi ad ogni udienza e confidando sempre nella magistratura che ha fatto il proprio lavoro al meglio. Noi avevamo fatto anche il ricorso incidentale perché avevamo chiesto su qualche capo di imputazione dove era stata sollevata la prescrizione di entrare nel merito, per ottenere l’assoluzione da tutte le ipotesi di reato. Abbiamo di fatto rinunciato ad avvalerci della prescrizione in quanto sicuri della mia innocenza”.

Dopo la gioia per l’esito incassato, arrivano anche le scuse alla magistratura, “formulate nella consapevolezza che la giustizia vera esiste. Stare nel tritacarne mediatico e giudiziario per quasi un decennio non è piacevole e non lo auguro neanche al mio peggior nemico. Auspico che per il futuro ci sia una maggiore celerità di giudizio perché, se avessi ascoltato le sirene che mi chiedevano di farmi da parte, sarei stato al capolinea per tanti anni, in attesa di essere riabilitato nella dignità sia pubblica che privata”.

 


 

 

Alcuni dati sulla malagiustizia in Sicilia e in Italia

PALERMO – La malagiustizia continua a mietere vittime in Italia e in Sicilia: l’archivio online di errorigiudiziari.com segnala che sono un migliaio i casi di ingiusta detenzione ogni anno nella Penisola: danni irreparabili non solo per chi viene ingiustamente accusato, ma anche per le casse dello Stato. Che dal 1992 (anno da cui parte la contabilità ufficiale delle riparazioni per ingiusta detenzione presso il ministero dell’Economia e delle Finanze) al 30 settembre 2018 (ultimo aggiornamento disponibile) ha sborsato 740 milioni di euro in indennizzi: vale a dire, mediamente, 27,4 milioni all’anno.

I dati siciliani si fermano al 2017 ma sono altrettanto allarmanti: soltanto nelle tre città siciliane più popolose – Palermo, Catania e Messina – i casi di ingiusta detenzione indennizzati nel 2017 sono stati 139, con in testa la città etnea (60), seguita dal capoluogo di Regione (43) e da Messina (36). E sono costate allo Stato oltre 5 milioni di euro.

 

 

I DATI PARLANO
895
sono i casi in Italia di ingiusta detenzione registrati nel 2018

33 mln di €

è quanto lo Stato ha sborsato nel 2018 a titolo di risarcimento
per ingiusta detenzione

27.200
sono i casi di ingiusta detenzione registrati in Italia dal 1992 al 2018

740 mln di €
è quanto lo Stato ha sborsato per i risarcimenti dei casi di ingiusta detenzione dal 1992 al 2018

236 €
è l’indennizzo percepito in media da un innocente
per ogni giorno trascorso in custodia cautelare in carcere

118 €
è l’indennizzo percepito mediamente da un innocente per ogni giorno trascorso in custodia cautelare agli arresti domiciliari

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