Gogna mediatica, la riabilitazione impossibile - QdS

Gogna mediatica, la riabilitazione impossibile

Paola Giordano

Gogna mediatica, la riabilitazione impossibile

sabato 04 Maggio 2019

Grasso (Anm): “La distinzione fra processo reale e mediatico dovrebbe essere più rimarcata, la giustizia non sia emotiva”. Mattarella ai magistrati: “Sobrietà nei comportamenti”. Indagati sbattuti in prima pagina ma se prosciolti o assolti hanno scarsa risonanza

La situazione sta sfuggendo di mano e il copione è sempre il medesimo. Da una parte, personaggi più o meno noti all’opinione pubblica raggiunti da informazioni di garanzia, dall’altra fughe di notizie, virgolettati dei pm che parlano di “ammissione di colpa” (vedi il caso Siri), quando sulle indagini dovrebbe essere garantito il maggiore riserbo, a tutela dell’indagato e delle stesse indagini.

I continui richiami del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, alla sobrietà dei comportamenti non sortiscono gli effetti sperati.

E in più, sono tanti i media che non perdono l’occasione di cavalcare l’onda della cattiva informazione. Tutto ciò a danno della giustizia, della credibilità della magistratura e soprattutto degli stessi cittadini per i quali, in caso di assoluzione, la riabilitazione agli occhi dell’opinione pubblica appare impossibile.

“Vengo considerato ancora una persona controversa con degli scheletro nell’armadio: un assassino agli occhi del popolo”.

A parlare è Raffaele Sollecito, assolto insieme ad Amanda Knox dall’accusa dell’omicidio di Meredith Kercher. I due ex fidanzati sono innocenti per la giustizia – sono stati assolti in Cassazione “per non aver commesso il fatto” – ma non per l’opinione pubblica, fortemente influenzata dal “processo” tenutosi nei salotti televisivi e sulle pagine dei quotidiani.

Questo è solo uno dei casi – nelle fotografie sottostanti riportiamo altri esempi – in cui ad influenzare l’opinione pubblica è la malainformazione: pur essendo stato assolto in un vero processo – quello sui banchi del tribunale – per molti Sollecito resta un assassino.

In relazione a “spinte emotive” di questo tipo si è espresso il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, in occasione dell’inaugurazione dell’anno formativo della Scuola superiore di magistratura a Castelpulci, è tornato a bacchettare le toghe: “La magistratura non deve mai farsi suggestionare dalla pressione che può derivare dal clamore mediatico alimentato intorno ai processi perchè le sue decisioni non devono rispondere all’opinione corrente o alle correnti di opinione ma soltanto alla legge”.

Secondo il Capo dello Stato un ruolo fondamentale è quello giocato dalla formazione professionale dei magistrati, che “non può prescindere da un profondo rispetto della deontologia professionale e da sobrietà dei comportamenti”.

Sulla stessa scia anche l’intervento del vicepresidente del Csm, David Ermini, secondo cui la magistratura “è tanto più legittimata quanto più competente e integra” e “la domanda di giustizia e le crescenti attese da parte dei cittadini devono poter trovare risposte efficaci e tempestive e ciò chiama ciascun magistrato a compiti onerosi. è una sfida impegnativa”.

Che il sistema giustizia presenti numerose storture non è una novità: secondo gli ultimi dati resi noti da errorigiudiziari.com – per citarne una – i casi di ingiusta detenzione sono stati 895 nel 2018 e i risarcimenti hanno pesato sulle casse dello Stato per 33.373.830 euro.

E non è una novità neanche che la malagiustizia si intrecci sempre più spesso con un’informazione che, di fronte ad una vicenda giudiziaria, fatica a restare obiettiva: “La distinzione fra il processo reale e il processo mediatico – ha dichiarato il neo presidente dell’Anm, Pasquale Grasso, in un’intervista a La Stampa – dovrebbe essere più chiara e rimarcata. Da tutti. Perché il processo mediatico, cui partecipa la politica, si distacca completamente dalla realtà dei fatti”.
Di fronte a tutto questo – aggiunge “un magistrato deve restare indifferente”. Non è sempre così. Purtroppo.


Odg, 27 gennaio 2016
Testo unico doveri Giornalista

Con cadenza ormai quotidiana, molti giornali sbattono in prima pagina personaggi noti e meno noti, trattandoli da colpevoli per presunti reati ancora tutti da accertare.
Eppure, il Testo Unico dei Doveri del Giornalista – approvato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti il 27 gennaio 2016 per armonizzare i precedenti documenti deontologici al fine di consentire una maggiore chiarezza di interpretazione e facilitare l’applicazione delle norme che regolano la professione – non lascia alcun dubbio riguardo alla presunzione di innocenza.
Se l’art. 2, relativo ai “Fondamenti deontologici”, precisa infatti, al punto 2, che il giornalista deve rispettare i diritti fondamentali delle persone e osservare le norme di legge poste a loro salvaguardia”, è soprattutto l’art. 8 che mette in chiaro come è deontologicamente corretto comportarsi nei casi di cronaca giudiziaria. Nel suddetto articolo è stabilito infatti che il giornalista “rispetta sempre e comunque il diritto alla presunzione di non colpevolezza. In caso di assoluzione o proscioglimento, ne dà notizia sempre con appropriato rilievo e aggiorna quanto pubblicato precedentemente, in special modo per quanto riguarda le testate online” (punto 1); e “osserva la massima cautela nel diffondere nomi e immagini di persone incriminate per reati minori o condannate a pene lievissime, salvo i casi di particolare rilevanza sociale” (punto 2).
Le disposizioni deontologiche sono chiare ma tra il dire e il fare c’è di mezzo – ancora oggi – il mare.

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