Green economy, Sicilia innovativa ma senza fondi - QdS

Green economy, Sicilia innovativa ma senza fondi

redazione

Green economy, Sicilia innovativa ma senza fondi

giovedì 07 Maggio 2020

L'European Green Deal però mobiliterà in dieci anni mille miliardi di investimenti in imprese "transitional", disposte all'adeguamento. E nella classifica Ue per l'Italia tra le prime dieci province ci sono Agrigento, Ragusa e Caltanissetta

di Oriana Sipala

PALERMO – La spinta verso una conversione green del sistema produttivo europeo si fa sempre più forte. In questo senso, l’Unione europea ha promosso di recente lo European Green Deal, un piano volto a mobilitare più di 1.000 miliardi di euro di investimenti sostenibili nei prossimi 10 anni.

Per gestire i flussi finanziari, la Commissione ha stabilito una tassonomia, ovvero una classifica di quelle attività economiche che continueranno a sopravvivere nel contesto di un’economia a zero emissioni nette nel 2050 e per le quali, se soddisfatte determinate condizioni, è prevista l’ammissibilità a tali finanziamenti, il cui principale obiettivo è la mitigazione del cambio climatico.

Tra queste attività una buona percentuale è definita come “transitional”. Si tratta di imprese caratterizzate da alti livelli di emissione e che, per questo, si sono impegnate in un riadeguamento dei loro modelli di business al fine di azzerare il loro impatto ambientale.

Secondo un’analisi del Cerved, le imprese italiane che rientrerebbero in tale tassonomia sono 203.023 (il 27,5% delle società di capitale italiane), contano 1 milione 800 mila addetti (17,5%) e generano un fatturato di oltre 400 miliardi di euro (15,1%). Tra queste imprese, la gran parte (ben il 73%) opera in attività transitional: si tratta di 148 mila aziende che impiegano 840 mila addetti (il 53,5% degli addetti della tassonomia).

Sono relativamente più specializzate nei settori transitional le imprese più piccole e quelle del Mezzogiorno. Una parte consistente della riconversione energetica riguarderà quindi le piccole attività, caratterizzate da maggiore flessibilità e capacità di adattamento, ma anche da maggiori difficoltà a reperire fondi per affrontare la trasformazione.

Disaggregando i dati per provincia, la quota di addetti nelle imprese rientranti nella tassonomia è maggiore a Taranto (31,2%) e Aosta (30,3%), le cui percentuali sono molto più alte della media italiana (17,5%). Tra le prime dieci province, tre sono siciliane: Agrigento (29,1%), Ragusa (28,6%) e Caltanissetta (25%). In generale, in tutta l’Isola i dati sono superiori alla percentuale nazionale: Enna (22,9%), Catania (21,4%), Palermo (21,1%), Messina (20,5%), Siracusa (19,9%), Trapani (18,1%).

Anche per quanto riguarda le imprese transitional, Ragusa (18,6%), Agrigento (17,6%) e Caltanissetta (15,9%) si riconfermano nella top ten delle province con la maggior quota di addetti. Questi i numeri nel resto dell’Isola: Enna (12,9%), Messina (12,7%), Siracusa (11,9%), Catania (11,1%), Trapani (10,7%), Palermo (8%).

Numeri che parlano di un peso importante delle attività produttive siciliane attente alla sostenibilità. Purtroppo, però, questo non basta. L’analisi Cerved rivela, infatti, che “molte delle province che figurano ai primi posti in termini di incidenza occupazionale nei settori transitional sembrano non disporre di un margine di indebitamento necessario per investire e riorientare il sistema produttivo verso parametri più ecologici”.

Solo Enna figura tra le prime 10 province italiane che contano con imprese transitional in grado di investire senza assumere grossi rischi di indebitamento. Qui gli investimenti potenziali sul totale dell’attivo della provincia sono pari al 15,8%. Nelle altre province siciliane i numeri sono molto più bassi: Catania (6,3%), Palermo (5,6%), Caltanissetta (5,6%), Siracusa (4,5%), Trapani (4,5%), Messina (4,5%), Agrigento (4,2%), Ragusa (3,8%).

La media siciliana si mantiene bassa anche quando si considera la totalità della tassonomia: tra le percentuali più alte figurano Enna (11%), Catania (9,2%), Siracusa (7,1%). Nulla a che vedere, per esempio, con Torino (21,3%) e Vercelli (15,5%), prime province d’Italia per investimenti potenziali sul totale dell’attivo delle loro imprese.

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