Il voto come sentenza ma l’elettore si astiene - QdS

Il voto come sentenza ma l’elettore si astiene

Carlo Alberto Tregua

Il voto come sentenza ma l’elettore si astiene

venerdì 14 Giugno 2019

Cittadini disgustati dalla politica

La democrazia funziona se tutti i componenti di una Comunità hanno la consapevolezza che la propria volontà, tramutata in voto, contribuisce ad eleggere una classe dirigente e politica che governerà la Comunità stessa. Quando manca la consapevolezza del proprio ruolo, per cui l’elettore disgustato, si disinteressa del momento cruciale per la stessa democrazia che è quella di esprimere la propria volontà, di fatto, attribuisce ad altri il potere di decidere.
È comprensibile che fra tutti i partiti che si presentano a una competizione elettorale, un elettore non ne voglia scegliere alcuno, ma in questo caso non deve disertare l’urna e recarvisi esprimendo il proprio dissenso nei confronti dell’intera classe politica con una bella croce sulla scheda che la annulli.
Nelle ultime elezioni europee, il 44% degli italiani non è andato a votare: quasi uno su due. In Sicilia, quasi due su tre.
Recarsi alle urne è la sintesi della legislatura trascorsa e terminata, per cui l’elettore, come un giudice, emette una sentenza sulle circostanze che si sono verificate.


Ora, non è accettabile che un giudice si rifiuti di emettere una sentenza perché qualunque controversia deve finire in modo che si sappia quale sia il suo epilogo.
Si comprende che molti cittadini-elettori, quando continuano a vedere il malfunzionamento della Cosa pubblica e le porcherie che combinano le classi politica e burocratica, ha voglia di dimettersi da questo Paese e magari andarsene via, tuttavia il dovere dell’appartenenza a una Comunità comporta che bisogna dedicare una parte del proprio tempo e della propria intelligenza (quando c’è) per tentare di rimettere sui binari la locomotiva che ha deragliato.
Non ci si può esimere da questo dovere, per nessuna ragione, anche perché continuando ad andar male le cose, la platea degli astenuti diventa sempre più vasta, il che comporta la seguente conseguenza.
Chi resta a votare? Quel gruppo di elettori che ha interesse personale e che dal successo del suo candidato pensa di ottenere vantaggi. Si dirà che si tratta di un piccolo tornaconto deprecabile, che però si estende sempre di più, fondandosi sull’egoismo, che cresce giorno dopo giorno.

La Democrazia è un sistema che ha moltissime pecche, tuttavia non ve n’è un altro, fino ad oggi, che risulti migliore. Ciò non significa che molte di tali pecche non potrebbero essere eliminate. Per esempio, in nessun testo, da duemila e quattrocento anni ad oggi, risulta che indistintamente tutti i cittadini possano essere candidabili.
Come in tutti i versanti della Comunità, anche in quello della candidabilità dovrebbero essere messi paletti di ordine generale, in modo da consentire ai migliori di approdare nei posti di responsabilià istituzionale. Chi sarebbero i migliori? Coloro che hanno acquisito esperienze e competenze, che hanno studiato, che hanno letto e che hanno la maturità per sapere come si debba guidare uno Stato.
È vero che la nostra Costituzione consente l’eleggibilità di cittadini alla Camera con un’età di 21 anni e al Senato con 25 anni, ma ciò non significa che quelli relativamente giovani non possano essere colti e competenti.


L’età per essere eletti è già un limite. Nulla esclude nella valutazione di una democrazia di inserire un altro limite: aver letto almeno mille libri, aver lavorato, aver accumulato esperienza di vario tipo. Requisiti certificabili e certificati.
Nel nostro Paese, invece, accade che vengono nominati ministri, viceministri, sottosegretari, assessori regionali, presidenti di Regione, sindaci e via elencando, solo capaci di rastrellare consensi. Altrettanto dicasi della scelta di candidati al Parlamento, alle assemblee regionali e comunali. Anche in questo caso, in relazione ai voti che portano in dotazione.
Quasi mai, per conseguenza, personalità di rilievo si rendono disponibili a tali candidature. Ciò perché i partiti non cercano i migliori cittadini cui delegare il potere-dovere di amministrare la Comunità, ma altri che abbiano il requisito primario per loro, che è quello della fedeltà.
Così la Democrazia non funziona e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Resta comunque il punto centrale che riguarda il cittadino, incapace di assegnare il suo voto e di protestare con la scheda nulla.

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