Le ferie di Ex Pip e precari tra diversi dubbi interpretativi - QdS

Le ferie di Ex Pip e precari tra diversi dubbi interpretativi

Michele Giuliano

Le ferie di Ex Pip e precari tra diversi dubbi interpretativi

mercoledì 07 Agosto 2019

La Regione fa chiarezza su quanti giorni concedere al lavoratore che appartiene al bacino. Il periodo di riposo deve corrispondere a quello previsto ai dipendenti dell’ente utilizzatore

PALERMO – Lavoratori precari di lunga data passati dal Comune di Palermo nelle mani della Regione perché l’ente municipale del capoluogo siciliano si è trovato in una condizione finanziaria di default.

Questa la condizione dei cosiddetti Ex PIP “Emergenza Palermo”, per i quali ci sono dubbi, vista la loro condizione anomala dal punto di vista contrattuale, anche sulle modalità di fruizione delle ferie.

Il Dipartimento regionale del Lavoro ha sull’argomento emesso una circolare per indicare agli enti utilizzatori le procedure corrette da adottare per questi soggetti, in attesa della approvazione di una ‘Carta dei Servizi’ che vada a disciplinare il comparto.

A questi lavoratori, quindi, spettano come periodo di riposo un totale di 23 giorni, che corrisponde, in proporzione matematica, ai 28 giorni che spettano ai dipendenti degli stessi enti, con orario settimanale di 36 ore distribuiti su 5 giorni lavorativi.

La stessa cosa vale per quegli enti e associazioni, diversi dall’amministrazione regionale, che utilizzano gli ex Pip o gli Lsu. Rimane in sospeso la problematica delle festività soppresse, che verrà valutata, dicono dal dipartimento, in fase di approvazione della ‘Carta dei Servizi’.

Gli ex Pip fanno parte del progetto “Emergenza Palermo”. Stiamo parlando di un esercito che a suo tempo era formato da oltre 3 mila lavoratori, che costano 36 milioni di euro l’anno alla Regione: si tratta di precari di lunga data, che fruiscono fattivamente da anni di sussidi, lavorando all’interno della pubblica amministrazione senza aver mai fatto un concorso. E per i quali sorgono, periodicamente, polemiche su polemiche. Spesso sulla reale condizione economica di questi “svantaggiati”, che presentano in alcuni caso redditi che oscillano dai 20 ai 35 mila euro, in qualche caso anche qualche migliaio di euro in più. Ipoteticamente questo lavoro, da 832 euro mensili, dovrebbe spettare a chi vive in stato di indigenza. Molti di questo ex Pip, infatti, hanno protestato vibratamente sostenendo che vivono in casa dei genitori e che il reddito Isee presentato è composto esclusivamente dalla pensione del genitore.

L’Ars, quindi, in occasione dell’ultima Finanziaria, ha introdotto una norma che toglie l’indennità di 832 euro al mese agli ex Pip con un reddito Isee cumulativo di 20 mila euro l’anno. In effetti la norma è un po’ stringente perché, ad esempio, una famiglia con due figli dove un coniuge lavora e il secondo è un ex Pip non si può certo considerare ricca con 20 mila euro annui di reddito Isee. E in circa un centinaio sono stati esclusi e, in questa platea, sono diversi che superano la soglia dei 30 mila euro. Se ne contano in questo caso ben 10 a cui si devono aggiungere altri 4 lavoratori che addirittura superano quota 40 mila.

Tanto per rendere l’idea, se magari non si può considerare “ricco” chi ha un reddito che arriva attorno ai 20 mila euro lo stesso non si può dire per chi arriva ai 30 mila e oltre. E di questi, tra gli espulsi, ce ne sono quasi il 20%. Per altri 26 le ragioni dell’esclusione andrebbero ricercate in un’altra norma, inserita sempre nella Finanziaria 2013: un piccolo comma che vieta l’erogazione del sostegno al reddito per i “responsabili di azioni contrarie all’ordine pubblico, al patrimonio e alle persone”.

Per quanto concerne la seconda tranche di estromessi la cosa si complica ulteriormente sul piano giuridico: in molti hanno considerato il provvedimento assurdo e inutilmente giustizialista, soprattutto se si pensa che il bacino è nato anche per dare una seconda possibilità a chi ha avuto problemi giudiziari.

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