Rdc, i percettori incassano mentre i Comuni attendono il loro aiuto - QdS

Rdc, i percettori incassano mentre i Comuni attendono il loro aiuto

Michele Giuliano

Rdc, i percettori incassano mentre i Comuni attendono il loro aiuto

venerdì 12 Giugno 2020

Ancora non partono i Puc, i lavori di pubblica utilità a cui i fruitori dovrebbero prestarsi. A distanza di 14 mesi dalle prime erogazioni mancano alcuni passaggi burocratici

PALERMO – Più di un anno dall’attivazione del Reddito di cittadinanza, e ancora il sistema non riesce a decollare in tutte le sue fasi. Si tratta di migliaia di persone, che percepiscono un emolumento mensile, ma che ancora non sono state chiamate a svolgere le ore di pubblica utilità. Uno spreco di risorse ed energie, che potrebbero essere utili soprattutto per i Comuni che lottano sempre con la carenza di soldi per poter offrire al meglio i servizi necessari.

Ne ha parlato Vito Rizzo, sindaco di Balestrate e componente del consiglio regionale dell’Anci, l’associazione nazionale dei Comuni italiani: “In tanti mi hanno scritto per chiedermi se i percettori del Reddito di cittadinanza saranno obbligati a prestare servizio presso i Comuni con i cosiddetti Progetti di Utilità Collettiva, come previsto dalla legge. Purtroppo ancora non è possibile, mancano alcuni step burocratici dall’alto. Inoltre – conclude Rizzo – a causa del covid le attività legate al Rdc, quindi colloqui, convocazioni e altre cose similari, sono tutte bloccate fino a luglio”.

Unica novità, la possibilità per i Comuni di avviare la progettazione e definire le attività che i beneficiari del sussidio “anti povertà” voluto dal Movimento 5 stelle andranno a svolgere.

“I Puc possono essere svolti in ambito culturale, sociale, artistico, ambientale, formativo e di tutela dei beni comuni, contribuendo alla costruzione di una comunità migliore”, si legge in una nota della ministra del Lavoro Nunzia Catalfo. I percettori di Reddito di cittadinanza, comunque, “non possono svolgere attività in sostituzione di personale dipendente dall’ente pubblico proponente o dall’ente gestore nel caso di esternalizzazione di servizi o dal soggetto del privato sociale”. Ancora, “non possono ricoprire ruoli o posizioni nell’organizzazione del soggetto proponente il progetto e non possono sostituire lavoratori assenti a causa di malattia, congedi parentali, ferie ed altri istituti, né possono essere utilizzati per sopperire a temporanee esigenze di organico in determinati periodi di particolare intensità di lavoro”.

Sono ben oltre un milione le domande di reddito e pensione di cittadinanza accolte; in totale 1,5 milioni di nuclei hanno presentato una domanda, per 2,28 milioni di persone coinvolte (di cui 1,47 milioni tra Sud e isole), con un importo medio mensile pari a 482,36 euro. E’ quanto si evince dalle tabelle che accompagnano i dati dell’Inps. Al contrario, da aprile 2019 ad oggi 39 mila nuclei sono decaduti dal diritto: i motivi di decadenza sono la rinuncia del beneficiario (5% dei nuclei), la variazione della situazione reddituale del nucleo (10%), la variazione della composizione del nucleo ad eccezione di nascita e morte (37%) e infine la variazione congiunta della composizione e della situazione economica del nucleo (48%).

Di questi grandi numeri solo 50mila persone finora hanno firmato il patto per l’occupazione. A dimostrazione di come la cosiddetta “fase 2” del Reddito di cittadinanza (quella tesa a facilitare l’ingresso o il reingresso nel mondo del lavoro) non decolla e si è incagliata sulla parziale attivazione al lavoro. A quasi sette mesi dal primo assegno, infatti, solo 200mila “occupabili” sono stati contattati dai Centri per l’impiego e, di questi, solo 70mila hanno sostenuto almeno un primo colloquio. Ma solo 50mila hanno sottoscritto il patto per il lavoro, vale a dire il 7% degli aventi diritto. Se rifiuteranno le tre proposte di lavoro previste, vedranno decadere il loro diritto al reddito di cittadinanza.

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