Quaranta soluzioni per la Sicilia, una per ogni anno del Qds - QdS

Quaranta soluzioni per la Sicilia, una per ogni anno del Qds

redazione

Quaranta soluzioni per la Sicilia, una per ogni anno del Qds

venerdì 20 Dicembre 2019

In occasione del nostro quarantesimo compleanno il Qds propone 40 soluzioni per far uscire la Sicilia dal baratro economico in cui si trova

1- Riorganizzazione degli Enti locali

I Comuni siciliani, molto più di quanto accade nel resto d’Italia, sono in crisi. Più volte i rappresentanti degli Enti locali hanno chiesto maggiore attenzione da parte di Governo nazionale e Regione, ma nonostante un costante dialogo la situazione sembra essere in una fase di stallo. Occorre dunque una riorganizzazione degli Enti locali che punti sul contenimento dei costi, sulla riorganizzazione degli uffici e sul miglioramento dei servizi. Tutto ciò, per esempio, a partire dall’emblematico “caso Province”. Quella degli Enti intermedi, infatti, è rimasta una riforma monca, capace soltanto di creare confusione, in particolare per ciò che concerne le competenze in tema di strade e scuole. Occorre definire una volta per tutte questo processo di riorganizzazione.

2 – Processo di formazione dei dipendenti pubblici

Tra i passaggi fondamentali per migliorare l’efficienza degli Enti locali siciliani, la formazione dei dipendenti ha un ruolo chiave. Più volte, infatti, sia a livello regionale che comunale è stata denunciata l’assenza di profili professionali utili, per esempio, a redigire i progetti necessari per intercettare le risorse messe a disposizione della Sicilia tramite fondi nazionali e comunitari. Un iter formativo ha già preso il via in questi anni grazie ad Anci (Associazione nazionale dei Comuni italiani) e Ifel (Istituto per la finanza e l’economia locale). Nel 2018 sono stati realizzati in tutta Italia 250 incontri di formazione in presenza e 102 seminari di aggiornamento a distanza, con il coinvolgimento complessivo di 45.823 utenti. Questa è la strada da seguire.

3 – Ridimensionamento dei costi della politica

La classe politica siciliana, forse più di quella nazionale, ha bisogno di riconquistare credibilità. Lo scollamento fra istituzioni e cittadini, come visto anche in occasione di numerosi fatti di cronaca, ha raggiunto livelli preoccupanti. Alla politica spetta dunque un compito non facile, quello di riacquistare fiducia. Tagliare i costi per indennità, gettoni di presenza e simili potrebbe essere un primo, importantissimo segnale da dare. Occorre chiarirlo, però: non sono questi gli enormi sprechi da tagliare ma, come già detto, è indispensabile dare un segnale concreto alla comunità.

4 – Garantire ai cittadini servizi efficienti

Se le province siciliane si piazzano annualmente in fondo a tutte le classifiche sulla qualità della vita, è soprattutto colpa dei servizi scadenti offerti dalla Pubblica amministrazione locale, incapace di prendersi cura degli utenti che si affidano a essa. Qualche amministratore ha cercato di suggerire la tesi secondo cui con più dipendenti è possibile assicurare servizi migliori, ma i fatti hanno sempre smentito questa teoria. La realtà è che senza Piano aziendale, non può esserci un’organizzazione produttiva. Lo dimostrano tutti i report che hanno messo gli Enti siciliani a confronto con Nord Italia ed Europa, da cui l’Isola è sempre uscita con le ossa rotte. La strada da percorrere è quindi quella del cosiddetto efficientamento: taglio degli sprechi, ridimensionamento delle spese e miglioramento delle performance da parte dei dipendenti (magari inserendo dei premi per il raggiungimento di obiettivi certi). Per i Comuni in particolare il processo appena accennato potrebbe essere complesso e lungo, ma come detto si tratta di una necessità non più rinviabile.

5 – Vere azioni di contrasto. All’evasione dei tributi

I Comuni devono fare cassa. Non soltanto scovando gli evasori fiscali – vale a dire quei soggetti che sono del tutto sconosciuti all’Ente, nonostante usufriuscano comunque dei servizi – ma anche mettendo sotto torchio i morosi, quei contribuenti già noti agli uffici ma che continuano a non dare il proprio contributo alle spese della Cosa pubblica. Inoltre, se da una parte i Municipi operano per conto proprio – con risultati come detto insoddisfacenti – per fare pagare tutti i cittadini, dall’altra lo fanno in sostegno all’attività nazionale. Lo Stato, dal canto suo, ricompensa i Municipi per la compartecipazione. Ma sono soldi che diminuiscono sempre più con gli anni, tanto che per il 2018 in Sicilia sono stati racimolati 11,4 milioni di euro, con un calo del 14,1% rispetto all’anno precedente. La questione deve essere affrontata in modo deciso, ma finora la maggior parte delle Amministrazioni locali si è dimostrata troppo morbida nei confronti di morosi ed evasori. Il perché è presto spiegato: vale sempre, infatti, il detto secondo cui “anche gli evasori votano”…

6 – Digitalizzare totalmente gli uffici degli Enti locali

Alzi la mano chi non si è mai disperato all’idea di dover passare un’intera mattinata in fila davanti a qualche sportello comunale, per ritirare questo o quel documento o per chiedere semplicemente un’informazione. Un’esperienza a volte traumatizzante e che nessuno vorrebbe ripetere. La soluzione per evitare ai cittadini questo strazio c’è ed è già operativa e funzionante in altre parti del Paese e d’Europa. In una parola soltanto: digitalizzazione. Si tratta dell’ennesimo punto debole della Pubblica amministrazione locale siciliana, che deve necessariamente aumentare gli investimenti per l’innovazione tecnologica degli uffici. Basta scuse: il tempo della carta è finito.

7 – Approvare i Bilanci entro i termini di legge

Ogni anno è sempre la stessa storia. I Comuni siciliani – ma non solo, viste le grosse difficoltà finanziarie che sono costretti ad affrontare gli Enti locali di tutto il Paese – deliberano con enorme ritardo i Bilanci di previsione e i Rendiconti. Come recita il Tuel (Teso unico degli Enti locali) all’articolo 162, “gli Enti locali deliberano annualmente il Bilancio di previsione finanziario riferito ad almeno un triennio”, stabilendo che (articolo 151) l’approvazione avvenga entro il 31 dicembre dell’anno precedente. In caso contrario, si deve procedere (articolo 163) alla gestione finanziaria dell’Ente “nel rispetto dei principi applicati della contabilità finanziaria riguardanti l’esercizio provvisorio o la gestione provvisoria”. Il Rendiconto di gestione, invece, è atteso entro “il 30 aprile dell’anno successivo” (sempre come previsto dall’articolo 151 del Tuel). Scadenze costantemente disattese in Sicilia e con esse anche le proroghe periodicamente concesse dal Governo nazionale. Il tempo dell’improvvisazione è finito. Per i Comuni è il momento di programmare con anticipo, nel segno dell’efficienza.

8 – Trasporto pubblico locale competitivo ed efficiente

Tra i compiti più difficili per gli amministratori siciliani c’è quello di convincere i cittadini a lasciare l’automobile a casa per circolare con i mezzi pubblici. Le abitudini, come si sa, sono dure a morire, soprattutto quando l’alternativa proposta non è poi così allettante. Il sistema del trasporto pubblico locale siciliano, infatti, non regge certamente il confronto con quello virtuoso di città del Nord Italia come Milano e Torino e, anche se negli ultimi anni molto è stato fatto per colmare questo gap, la strada da percorrere è ancora molto lunga. Potenziare al massimo il Tpl, puntando su mezzi moderni, puntualità e marketing, deve di conseguenza essere una priorità per gli amministratori locali siciliani.

9 – Sicurezza in primo piano. Più controlli sul territorio

Il tema della sicurezza resta molto sentito sia a livello nazionale che locale. Quando se ne parla, però, è necessario uscire dai luoghi comuni e dai discorsi da campagna elettorale, ampliando la questione a ciò che accade tutti i giorni sulle nostre strade, dove il sommarsi di tante piccole violazioni produce situazioni sgradevoli e spesso pericolose, capaci di mettere a rischio la salute e l’incolumità dei cittadini. Il tema è molto ampio e va dalle irregolarità in tema di rifiuti, basti pensare alle mini discariche abusive che nascono nel giro di una notte nelle strade dei nostri comuni, al mancato rispetto delle più basilari regole del Codice della strada. Senza dimeticare, per esempio, l’abusivismo commerciale e la concorrenza irregolare nei confronti di chi porta avani un’attività produttiva. Come cambiare? Assicurando un costante presidio del territorio schierando in prima fila i componenti dei Corpi di Polizia municipale. Tenere questi operatori di pubblica sicurezza chiusi all’interno degli uffici non serve a nulla; al contrario, impiegarli sulle strade aumenterebbe il livello di sicurezza in tutte le città.

10 – Efficientamento energetico

Eliminazione degli sprechi, contenimento delle spese e riduzione delle emissioni. Sono questi gli obiettivi che hanno iniziato a porsi, seppur con una certa lentezza, gli amministratori siciliani. Sempre più Comuni hanno iniziato un importante rinnovamento della pubblica illuminazione, sostituendo i vecchi e meno efficienti corpi illuminanti con nuovi elementi di ultima generazione, più performanti ed economici. Questo trend deve però coinvolgere sempre più Enti locali, anche con l’ausilio dei cosiddetti energy manager, figure professionali indispensabili per la razionalizzazione delle spese in tema di energia. Le Amministrazioni locali devono comprendere che investire adesso nelle nuove tecnologie produce notevoli risparmi a lungo termine.

11 – 162 incompiute da sbloccare con i fondi Ue

“In Sicilia ci sono opere da sbloccare per 10 miliardi, buona parte di competenza di Anas e Rfi. I fondi saranno revocati se gli appalti non saranno affidati entro il 2021” – dichiarava pochi mesi fa Fulvio Bellomo, dirigente generale del dipartimento regionale Infrastrutture, all’incontro di Ance Sicilia sul Bim, nuova metodologia informatica.
Dal censimento delle opere cantierabili prodotto da Ance (aggiornato a dicembre 2018) emergono 268 cantieri senza appalto, ma per cui ci sono somme disponibili per la costruzione. Ogni provincia siciliana ha il suo piccolo patrimonio da spendere e la sua opera generosamente finanziata e ferma. Dalle scuole materne ai palazzi sede dei Comuni, dagli impianti sportivi alle opere per la messa in sicurezza antisismica degli edifici, fino alle strade interne determinanti per collegare i piccoli borghi della Sicilia. La più grande regione d’Italia è un cantiere aperto, è un territorio di opere incompiute (162, secondo l’ultimo rilevamento del Mit, del 2017). Per far ripartire l’economia, dunque, occorre sbloccare i cantieri, spendere i fondi Ue e rimettere in circolo liquidità.

12 – Creare competenze contro la disoccupazione

Tanti soldi spesi per la formazione, tanti buchi neri rimasti nel mercato del lavoro. La Sicilia piange oggi per i suoi governi regionali che nei decenni sono stati poco lungimiranti. Suona come una vera e propria beffa il fatto che negli ultimi 15 anni si siano spesi quasi 3 miliardi di euro per poi avere come effetto la mancanza di quei necessari profili professionali da inserire nel mondo del lavoro siciliano. Le professioni più difficili da reperire in Sicilia sono “installatori e riparatori di apparati elettrici ed elettromeccanici”, con una difficoltà di reperimento del 49,7% delle assunzioni, seguita da “montatori di carpenteria metallica” con il 42%, da “tecnici della vendita e della distribuzione” con il 39,5%, da “meccanici e montatori di macchinari industriali e assimilati” con il 36,3%. Molto ricercate anche le professioni legate al “digitale e all’Ict”. Ma sono in pochi a saper svolgere queste professioni e la Formazione, così com’è oggi, è pressoché inutile. E così la disoccupazione galoppa e resta oscillante tra il 20 e il 21%, quasi al 40% quella giovanile.

13 – Fondi Ue, fare i progetti, spendere e certificare

Al 21 novembre, secondo quanto ci ha riferito la Commissione europea, la Regione siciliana aveva certificato solo 12.100.404,58 di euro a valere sui fondi Fesr 2014/2020 per l’anno in corso. Poco più di un milione al mese dunque, su una dotazione complessiva – lo ricordiamo – di 4,27 miliardi (senza contare gli altri programmi e i fondi nazionali per un totale di 11,5 miliardi di euro). Ma il problema resta sempre lo stesso. Mancano le idee, mancano i progetti. La Regione è stata costretta a certificare progetti “vecchi”, i cosiddetti progetti retrospettivi. E quando ha speso, la Regione ha certificato all’ultimo minuto (gli ultimi giorni del mese di dicembre) costringendo così l’Ue a sbloccare i fondi in ritardo, che dopo essere rimasti tre mesi sui conti correnti della Regione, finalmente vengono girati ai beneficiari.

14 – Turismo, grandi eventi durante tutto l’anno

Nel 2018 la Sicilia ha registrato 15,1 milioni di pernottamenti, dato in crescita rispetto all’anno precedente ma lontanissimo rispetto ad altre concorrenti affacciate sul Mediterraneo (Malta, 80 volte più piccola, ha registrato oltre 16 milioni di pernottamenti, le Isole Baleari oltre 80 milioni) e ad altre regioni italiane, primo il Veneto con oltre 60 milioni di visitatori. Per migliorare il livello di permanenza, occorre agire con proposte di soggiorno differenziati per segmenti di mercato e più accattivanti, intervenendo sulla programmazione degli eventi con grande anticipo e mettendoli online per renderli visibili a tutti e a tutte le latitudini. Gli eventi sull’Isola in estate ci sono, ma spesso sono poco pubblicizzati o messi in vetrina in sole due lingue come accade nel portale ufficiale regionale dedicato al turismo. In Veneto il portale “parla” quattro lingue. Occorre poi “spalmare” questi eventi durante tutti i mesi dell’anno, non solo da giugno a settembre. Il sole, il mare, la ricchezza e la varietà dei nostri beni culturali sono già un punto di forza, ora occorre programmare con largo anticipo e comunicare le nostre bellezze con opportuni investimenti.

15 – Formazione professionale legata al mercato del lavoro

L’esercito che non si sfianca mai. Incrollabili, impassibili, sempre presenti. è la schiera dei dipendenti degli enti di formazione e degli oramai defunti Sportelli multifunzionali. Nonostante le rivoluzioni che hanno investito entrambi i fronti, e il blocco del settore per lungo tempo ancora nulla è cambiato e, se ultimamente è stata varata la riforma del settore, resta identico il “parco” dei docenti. Dall’ultima ricognizione fatta dalla Regione, nell’albo dei formatori e dei servizi formativi, risultano essere iscritti 8.205 dipendenti. Per far sì che la formazione torni (o meglio, diventi) utile al mercato del lavoro, occorre uno svecchiamento di questo bacino. A poco serviranno i corsi di aggiornamento previsti dalla riforma della Formazione: sono centinaia i docenti con qualifica bassa, già in là con gli anni, non più adeguati alle necessità richieste dai nuovi corsi di formazione. Prepensionamenti prima e nuovi docenti per nuovi corsi (incentrati sulla tecnologia, sul turismo, sull’agricoltura innovativa, ecc) devono essere il pilastro per far ripartire un settore che da troppi anni è inutile ai giovani.

16 – Agricoltura da svecchiare e innovare con i fondi Psr

Rilanciare l’agricoltura in Sicilia partendo dai giovani, questo l’obiettivo della Regione Sicilia con il Psr 2014-2020. Ma “A poco più di un anno dalla scadenza del periodo di programmazione del Piano di Sviluppo Rurale – dichiarava Giovanni Gioia presidente di Confagricoltura-Anga Sicilia, in un’inchiesta pubblicata poco tempo fa – l’avanzamento di spesa del Psr è ad uno stato preoccupante. Per il sistema agricolo, il successo scaturirebbe dall’erogazione effettiva delle somme alle imprese e sicuramente non ha aiutato il susseguirsi di governi regionali di diverso indirizzo politico. Dobbiamo cambiare strategia”. Rispetto al 2010 l’incidenza dei giovani in agricoltura è diminuita (erano il 7,5% nella Ue ed il 5,1% in Italia). “Ci sono solo nove Paesi in Europa – scriveva Comegna, economista ed esperto di politica agraria – che registrano una percentuale di giovani agricoltori inferiore al dato italiano e 17 che sono meglio posizionati su tale parametro”. E la Sicilia non è certo messa meglio. Svecchiare il settore, spendere i fondi del Psr 2014-20 e puntare sull’agricoltura innovativa (tra le quali l’idroponica) per rilanciare il settore.

17 – Sicurezza delle scuole, accertamenti urgenti

In Sicilia il 56,2% degli edifici adibiti a funzioni scolastiche è privo di certificato di collaudo, come appurato dalla stessa Regione, e il 65,6% non è adeguato alle normative antisismiche. Il 45,8%, invece, risulta costruito tra il 1946 e il 1975, il 37,6% necessita di interventi di manutenzione urgente; il 40% è privo del certificato di agibilità; il 38,4% si trova in aree a rischio sismico e il 60% non ha il certificato di prevenzione incendi. Mettendo a confronto i dati di Cittadinanzattiva degli anni passati si scopre che nulla è stato fatto in questo lasso di tempo nonostante i segnali allarmanti. è necessario che il governo regionale faccia accertamenti urgenti, con investimenti immediati di fondi tra Stato e Regione per invertire la rotta. La Regione, come ci diceva tempo fa l’assessore Lagalla, “ha già costituito un’unità di crisi per avere una fotografia fedele delle carenze effettive, dei reali deficit strutturali e non solo delle carenze delle documentazioni burocratiche”.

18 – Politiche di Coesione per i Beni confiscati

Il valore stimato per i beni immobili in Italia in gestione all’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc) e quindi non destinati, è pari a circa due miliardi di euro; il dato per la Regione Siciliana è di quasi 700 milioni. Il 35% della “ricchezza” nazionale è dunque da esprimere nell’Isola. La Sicilia guida le classifiche, aggiornate al 30 giugno 2019, per procedure in gestione, per immobili destinati, per numero di comuni destinatari e anche per immobili in gestione. Un patrimonio ingente che il direttore dell’Agenzia, Bruno Frattasi e i suoi collaboratori puntano a rendere fruibile attraverso un processo di “costruzione della macchina dell’amministrazione” e attraverso “l’attività di reddito”. L’obiettivo è anche quello di usare le politiche di Coesione per valorizzare i beni confiscati.

19 – Trasporti: Tpl, ferrovia e continuità territoriale

La Sicilia può contare su una rete ferroviaria lunga 1.490 km e dei 1.379 chilometri della rete Rfi, ne possiede solo 190 a doppio binario ed elettrificati e i restanti 1.189 a binario semplice (di cui 611 elettrificati e 578 non elettrificati). Un turista che volesse raggiungere Trapani in treno, partendo da Siracusa, impiegherebbe più di 12 ore con ben 4 cambi in un percorso di circa 360 Km. Il trasporto su gomma è troppo spesso affidato a (costosi) privati. Non c’è un collegamento diretto tra Catania e la Valle dei Templi o tra Palermo e Taormina.
L’indicatore relativo alla presenza di reti urbane di trasporto per 100 kmq resta tra i più bassi d’Italia al punto che un quarto delle famiglie isolane, circa 500mila, ha denunciato molta o abbastanza difficoltà per raggiungere negozi alimentari e/o mercati.
Per risollevare lo stato dei collegamenti in Sicilia occorre riaprire i cantieri, chiedere (fatto) la continuità territoriale per i voli aerei, potenziare il trasporto pubblico su gomma (magari con corsie preferenziali e scontistica ad hoc) e completare il prima possibile l’adeguamento dei binari della rete ferroviaria.

20 – Fondi per la ricerca da incrementare

Per le università siciliane c’è un aumento dei fondi per gli investimenti nella ricerca ma siamo ancora lontani dai numeri degli altri Paesi europei e oltreoceano. In generale la Sicilia ha speso nel 2015 (ultimi dati Anvur 2018) l’1% del Pil in ricerca e sviluppo contro il 2,15 del Piemonte, in testa alla classifica.
Le imprese e le istituzioni sembrano ottimiste: le previsioni elaborate e condivise con Istat segnano per il 2019 un ulteriore aumento della spesa in R&S intra-muros sul 2018: un +5,7% fra le istituzioni private non profit, un +2,7% fra le istituzioni pubbliche e un +0,8 fra le imprese, che ricordiamo rappresentano la fetta più grossa della spesa.
Il punto è che si tratta di investimenti disequilibrati: il 70% della spesa in R&S – 16,2 miliardi di euro – si concentra nelle regioni del Centro-nord Lombardia, Lazio, Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto. Se consideriamo solo le imprese, si sale al 75% di investimenti in queste sole cinque regioni.
Purtroppo la Sicilia resta legata ad una spesa non produttiva quando invece è la Ricerca ad essere il seme dello sviluppo.

 

21 – Burocrazia, pene certe per chi si mette di traverso

La lotta alla burocrazia in Sicilia è molto più che un problema: è “una tragedia” che il Presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci (sì, ha usato la parola “tragedia”), vive “quotidianamente a proprie spese”.

Malafede o incapacità degli addetti ai lavori, poco importa: la malapianta della burocrazia che ostacola la crescita e lo sviluppo della nostra Isola è un male che va estirpato, subito.
Facile a dirsi ma non a farsi, tant’è che la riforma della macchina burocratica è stata una priorità di tutti i governi ma si è sempre tradotta in un nulla di fatto.

Musumeci è impegnato, in qualità di Presidente della Regione siciliana, nel tentativo di portare a termine una impresa a dir poco ardua. Ma senza una digitalizzazione dei processi amministrativi, senza trasparenza e senza la previsione di sanzioni per i dirigenti che non controllano, per la Sicilia non ci sarà speranza.

22 – Pagamenti tracciabili nemici degli evasori

Dei 7,2 miliardi di euro che il Governo giallorosso conta di poter recuperare dalla lotta all’evasione fiscale, buona parte dovrebbe derivare (almeno nei piani) dalla drastica diminuzione della transazioni in contanti in favore degli e-pagamenti).

Il contante, si sa, è amico degli evasori, grandi e piccoli e, certamente, una riduzione del suo utilizzo in favore dei pagamenti elettronici, porterebbe non pochi benefici.

Al di là delle possibili ipotesi e delle misure adottate del Governo, una cosa è certa: la lotta al contante sarà dura. Agli italiani e ai siciliani in particolare, infatti, i contanti piacciono. Fin troppo. Secondo Bankitalia, la percentuale dei pagamenti in contante effettuati in Sicilia copre circa 85-87% delle transazioni totali. I pagamenti elettronici e, dunque, tracciabili, sconosciuti nella nostra Isola dove, sul fronte economia non osservata, si rileva la terza incidenza più alta d’Italia. (fonte: Cgia Mestre)

23 – Made in Sicily, ghiotta opportunità per l’export

Sace Simest, Polo dell’export e dell’internazionalizzazione di Cassa Depositi e Prestiti, nel suo rapporto, descrive un quadro di ghiotte opportunità per l’Isola sul fronte del brand made in Sicily, prodotti sui quali bisognerebbe piuttosto puntare per uscire dall’eterna schiavitù del petrolio che contraddistingue la nostra economia: per alimentari e bevande, tanto per fare un esempio, le destinazioni più interessanti sono Polonia e Brasile.

Sace Simest ha individuato, per ciascuno dei settori traino dell’export regionale, diversi mercati emergenti che offriranno nei prossimi anni ottime opportunità alle imprese siciliane: per l’export degli apparecchi elettronici, buone potenzialità sono offerte da Filippine e Cina (entrambi hanno registrato importanti tassi di crescita). Per il settore dei prodotti chimici, mercati interessanti sono Indonesia e ancora una volta la Cina: quest’ultima rappresenta uno dei mercati più appetibili per l’export nostrano su scala sia regionale sia nazionale, grazie ad un’economia sempre più orientata allo sviluppo dei consumi.

24 – La politica torni ad essere “servizio”

Lo scollamento tra politica e cittadini è ormai sotto gli occhi di tutti. I siciliani non si fidano più e a testimonanza di ciò, vi sono le altissime percentuali di astensionismo che si registrano puntualmente ad ogni tornata elettorale.
La disaffezione è frutto delle mancate risposte alle esigenze e ai problemi dei cittadini. Al fine di recuperare la fiducia dei suoi elettori, la politica siciliana ha il dovere di tornare ad essere “servizio”, anteponendo l’interesse generale a quello privato e personale.
L’Autonomia in Sicilia ha ridotto alla fame i cittadini, divenendo il simbolo insopportabile di privilegi e clientelismo: lo Statuto speciale, che ha prodotto solo assistenzialismo con la complicità della classe politica, va riformato e reinterpretato affinché diventi strumento di sviluppo al servizio della Sicilia e dei siciliani.

25 – Conti in rosso Regione, basta con gli sprechi

La finanziaria regionale 2020 si preannuncia “lacrime e sangue”.Sulla situazione finanziaria della Regione, proprio qualche giorno fa è intervenuto il Presidente, Nello Musumeci che, senza mezzi termini ha spiegato che sarà necessario operare tagli per uno o due anni e che non si può pensare di risolvere i problemi senza sacrifici o rinunce.
Il governo regionale, alle prese con un debito monstre da 15 miliardi di euro, avrà oggettivamente margini di manovra ristrettissimi e a pagare, come al solito, saranno i cittadini siciliani.
La gestione dissennata delle casse regionali registrata in Sicilia negli ultimi vent’anni ha prodotto disastri e l’azione di risanamento avviata dal governo Musumeci non ha ancora prodotto risultati concreti.
Alla Sicilia servono interventi “shock”. Se non si “ripuliscono” i conti regionali dagli sprechi e dall’enorme spesa corrente, la Regione siciliana non sarà mai in grado di liberare risorse per gli investimenti, di cui invece la nostra Isola ha disperato bisogno.

26 – Gogna mediatica, deontologia al centro

Che il sistema “giustizia” presenti numerose storture non è una novità: ingiusta detenzione, errori giudiziari, durata irragionevole dei processi, uso distorto delle intercettazioni, fuga di notizie coperte dal segreto istruttorio sono tutte facce della stessa medaglia, la malagiustizia. La quale troppo spesso va a braccetto con un altro grave vulnus rappresentato dalla malainformazione, cioè indagati o imputati “processati” sui media o sui giornali ancora prima che nelle aule dei tribunali.
Gogna mediatica e processi su stampa, web e tv minano garanzie e diritti dei cittadini ma mettono soprattutto a repentaglio la credibilità stessa del sistema Giustizia.Sarebbe auspicabile un “ritorno” ai sani principi della deontologia giornalistica, troppo spesso dimenticati da molti colleghi.

27 – Aste immobiliari, senza quotidiani è flop

L’analisi dei dati delle quattro Corti d’appello dell’Isola, relativi alle aste immobiliari e pubblicati dal Quotidiano di Sicilia, ha ampiamente documentato le criticità legate alle nuove modalità telematiche di vendita introdotte dalla legge n. 119/2016.

Senza la pubblicazione delle esecuzioni immobiliari nei quotidiani, infatti, si evidenziano chiare difficoltà nel raggiungimento dei potenziali acquirenti.

Anche l’indagine condotta dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ha sottolineato il sostanziale flop del canale telematico.

In un documento congiunto di avvocati, commercialisti e notai, è stato chiesto a gran voce il ripristino dell’obbligo della pubblicazione cartacea insieme ad altre misure volte a sbloccare un mercato, quello immobiliare per l’appunto, che ha potenzialità di crescita enormi.

28 – L’Ars migliori qualità e quantità delle leggi

Nonostante siano stati ripristinati i tetti agli stipendi dei dipendenti Ars e nonostante la spending review abbia ridotto le spese della politica in Sicilia, Palazzo dei Normanni resta ancora oggi una sorta di torre d’avorio inespugnabile e per nulla scalfita dalla grave situazione finanziaria e sociale che attanaglia la nostra Isola, dove troppo spesso una occupazione non trova e ci si vede costretti ad emigrare verso altri lidi.

Il Parlamento siciliano rinunci ai privilegi e smetta di essere un santuario sordo ai bisogni dei siciliani.
Sui costi del Palazzo si intervenga non con la forbice ma con l’ascia. Sul fronte produttività, poi, sarebbe opportuno che i deputati regionali lavorassero di più e meglio: troppi i disegni di legge che giacciono sotto la polvere nei cassetti dell’Ars e troppo frequenti, invece, le impugnative da parte del Consiglio dei ministri sulle leggi regionali approvate.

29 – Questione meridionale, subito investimenti

Quella della forbice che si allarga sempre più è l’immagine che ricorre con puntuale insistenza ogni volta che si dibatte del gap tra Nord e Sud d’Italia.
Volendo restare nella metafora, potremmo dire che a forza di allargarsi, la forbice alla fine si è rotta: il divario che separa le due Italie appare ormai incolmabile e non è solo un fatto di “percezione” da parte dei cittadini della qualità della sanità, dei servizi della pubblica amministrazione, del benessere economico ma sono anche i numeri a certificare l’abisso. Affossata da assistenzialismo e clientelismo, il Mezzogiorno soffre un livello di investimenti pubblici pro-capite al Sud che è al di sotto di quella soglia del 34% che rappresenta il livello di popolazione del Sud.
“Occorre una strategia credibile per il Mezzogiorno – ha detto al QdS il Direttore della Svimez, Luca Bianchi – Manca una strategia complessiva che valorizzi le potenzialità del Sud, pensiamo alla Sicilia che ha una dotazione di capitale produttivo naturale e soprattutto un capitale umano su cui si potrebbe costruire una strategia-Paese”.

30 – Sanità, migliorare la qualità dei servizi

Nonostante i numerosi passi in avanti compiuti sul fronte della qualità dei servizi offerti ai cittadini, la Sanità siciliana non scoppia certo di salute. Spesa sociale, liste d’attesa, livelli essenziali di assistenza, infezioni ospedaliere post-chirurgiche, copertura vaccinale, screening prevenzione tumori, cure palliative, tempi di attesa presso gli uffici Asp e donazioni: sono questi alcuni degli ambiti che il Quotidiano di Sicilia ha approfondito in molte inchieste, rilevando non poche criticità.
“Le criticità sono sempre state significative e molto spesso legate a questioni di natura strutturale, che provengono da molto lontano – ha spiegato l’assessore regionale alla Salute, Ruggero Razza, in esclusiva al QdS – . Le eccellenze iniziano a diventare tante e questo fa immensamente piacere per un sistema che, non dimentichiamolo, offre milioni di prestazioni ai suoi cittadini e lo fa potendosi fregiare di personalità assolutamente competenti”.
La Sanità siciliana costa la bellezza di 9,1 miliardi. Dunque la nostra regione spende su questo fronte, e anche parecchio. Di certo serve lavorare ancora per migliorare la qualità della spesa: spendere sì, ma spendere meglio.

 

31 – Energia dai rifiuti, basta munnizza a cielo aperto

Nell’Isola si producono 2,2 mln di tonnellate di rifiuti-carburante: il 70% finisce in discarica, di fatto un “crimine” contro l’ambiente. Ogni singolo kg di rifiuto residuale, infatti, possiede circa 10 mega joule di energia che con termovalorizzatori di ultima generazione, detti “termocombustori”, ad impatto quasi zero e sicuramente molto inferiore a quello di un normale bus cittadino (pensate che a Copenaghen addirittura ci sciano sopra), potrebbero essere trasformati in elettricità o calore. Fantascienza? No, realtà in tutti i più grandi Paesi Europei (in Germania viene recuperato energeticamente il 30% dei rifiuti, nella Svezia di Greta Thunberg addirittura il 50%) e nelle principali città del Nord Italia. A Bolzano, per esempio, circa 118 mln di kg di rifiuti sono trattati per produrre ogni anno energia termica pari a 62.363 Mwh ed elettrica per 81.680 Mwh. La quota di vapore che non viene convertita in elettricità fornisce energia termica alla rete di teleriscaldamento altoatesina: ad oggi sono allacciate 3.500 abitazioni e 100 esercizi commerciali. Non solo energia: dalla spazzatura si ricavano materie prime quali legno, vetro, plastica, metallo e, dall’umido, prodotti per l’agricoltura. Ciò che non viene prelevato va usato in altri processi che generano biogas, biodiesel, prodotti per sottoasfalto, oltre che come detto per produrre energia.

32 – Boschi in fumo, puntare sulla filiera del legno

PALERMO – Il legno dei boschi è una risorsa pulita e rinnovabile che, se protetta e valorizzata all’interno di filiere sostenibili, può rappresentare un business milionario. Peccato che in Sicilia va in fumo. Dopo un miglioramento nell’estate 2018, l’ultima stagione ha visto di nuovo l’Isola attorniata dalle fiamme: secondo i dati della Protezione civile, su oltre 800 richieste di soccorso aereo il 40% ha riguardato la nostra regione. E tra giugno e agosto, i roghi sono stati quasi 15 mila. Si parla di centinaia di ettari di vegetazione boschiva in cenere, uno spreco che fa male all’ambiente e che crea un danno anche in termini di mancate opportunità. Ammonta, infatti, a 1,4 mld l’impatto economico della filiera del riciclo del legno in tutta Italia, con un risparmio nel consumo di Co2 pari a quasi un milione di tonnellate e un indotto in cui lavorano oltre 6mila persone.In Sicilia il prelievo per finalità energetiche o da lavoro ammonta a 36 mila metri cubi in un anno. Abissale la distanza che corre con le altre regioni che, a parità o con porzioni inferiori di superficie forestale (circa 340 mila ettari quella isolana, dati Infc), la superano di gran lunga come prelievo: Umbria (390 mila ettari, 182 mila ettari di prelievo) e Puglia (179 mila ettari, 63 mila metri cubi di prelievo). Dunque è opportuno che la Regione incentivi la realizzazione di filiere virtuose che da una parte possano controllare il territorio e al tempo stesso creare sviluppo.

33 – Riconversione, il modello Gela per i siti contaminati

Per tutti i siti industriali dell’Isola avvelenati dai petrolchimici c’è già una strada battuta e da prendere a modello: quello che sta accadendo a Gela è l’esempio di come l’industria pesante può essere convertita in un nuovo modello di sviluppo, verde e circolare. Nella città nissena della vecchia raffineria si trovano solo i resti “archeologici”. Al suo posto è entrato in funzione un impianto che trasforma gli oli vegetali usati e quelli di frittura, ma anche grassi animali e alghe, in biocarburanti di alta qualità. Si tratta della più innovativa bioraffineria d’Europa con una capacità di lavorazione pari a 750 mila tonnellate di biocarburante l’anno e con il 70% di emissioni in meno rispetto al ciclo tradizionale. Per la riconversione della raffineria, l’Azienda del cane a sei zampe ha speso quasi 300 milioni. Un impegno che ha riguardato anche il passato, con tutte le aree contaminate che hanno visto “avviati i progetti di bonifica e i lavori sono in corso”. Dal 2000 ad oggi Eni ha speso quasi 900 milioni per il risanamento del territorio. Un sito che entro dieci anni si presenterà molto diverso con lo smantellamento di tutte le aree in disuso, grazie a un recente protocollo siglato dall’ad Claudio Descalzi e dal ministro dell’Ambiente. L’accordo prevede un programma di attività di decarbonizzazione, mitigazione ambientale, riqualificazione e valorizzazione delle aree.

34 – Abbattere gli abusi edilizi e riqualificare l’esistente

A livello regionale e statistico, gli ultimi dati Istat confezionano un tasso di abusivismo pari a poco meno del 60% (numero di costruzioni realizzate illegalmente per 100 costruzioni), record nazionale, a fronte di un avanzamento delle demolizioni che, al di là di qualche sindaco volenteroso, è ancora minimo. Un focus di Legambiente ha messo in evidenza, tra il 2004, anno successivo all’ultimo condono edilizio, e il 2018, la definizione di 6.637 ordinanze di demolizione in Sicilia, ma soltanto poco più di un migliaio risultano eseguite (1.089). I siciliani sembrano non accettare un concetto semplice ed efficace: riqualificare e mettere in sicurezza è più sostenibile che costruire o ricostruire. Nell’Isola, stando agli ultimi dati Istat, si trova un quinto del totale degli edifici inutilizzati a livello nazionale (17%). Si tratta del 30% del totale delle costruzioni isolane, pari a circa 1,7 milioni di edifici, che risulta inutilizzato. Lavorare sulla riqualificazione energetica e sulla messa in sicurezza – grazie anche agli sgravi fiscali dell’ecobonus e del sismabonus – darebbe una spinta sostenibile all’edilizia. Secondo l’Ance, la stima di “costo di intervento di miglioramento sismico” ammonterebbe in Sicilia a circa 14 miliardi di euro per l’intero patrimonio residenziale isolano nel mirino del rischio terremoti.

35 – Amianto, accelerare con le bonifiche

Nella nostra regione, secondo una stima dell’Osservatorio nazionale amianto, ci sono circa 50 mln di m2 di materiale contenente la fibra “killer”. Le bonifiche sono molto indietro: in base agli ultimi dati disponibili, nel 2016 sono stati smaltiti circa 8,6 mln di kg di MCA, un dato che è cresciuto l’anno successivo quando ha toccato quota 10 mln. Non bisogna farsi ingannare dai numeri altisonanti, perché si tratta di dati ancora minimi: se “1 mq (di copertura) pesa circa 17 kg, si ritiene, a titolo orientativo, che tra il 2016 e il 2017 sono stati smaltiti circa 1-1,3 milioni di MCA, cioè appena il 2% circa della quantità stimata in difetto”. Intanto mentre crescono le segnalazioni (circa 20 mila quelle arrivate all’Arpa, di cui oltre 350 relative a scuole), è allarme per il numero dei decessi correlati all’esposizione da amianto. L’Ona parla di 600 vittime in un anno solo in Sicilia, mentre uno studio dell’Ufficio epidemiologico della Regione ha segnalato, tra il 1998 e il 2015, più di 1.300 casi di mesotelioma, quindi circa 80 all’anno. La Regione ha promesso che entro la fine del 2019 avrebbe provveduto ad approvare un Piano per liberarsi dell’eternit, ma spetta anche ai Comuni dotarsi di uno strumento di pianificazione. Ad oggi lo hanno fatto solo una sessantina di Enti.

36 – Aria cattiva? Investire nella mobilità sostenibile

In Sicilia la qualità dell’aria è compromessa dall’elevata pressione del traffico. A causa dello smog l’Isola è coinvolta in due procedure Ue per lo sforamento dei valori-limite di alcuni inquinanti: gli ossidi di azoto e il particolato fine (Pm10), veleni che sono liberati dagli scarichi di auto e moto. Se l’Italia è uno dei paesi con il più alto tasso di motorizzazione, ben peggiore è il quadro isolano: Catania ha un rapporto tra mezzo e abitante (numero di autovetture per mille abitanti) che risulta essere 668,2, molto di più di Milano (427,8) e della media nazionale. Tra queste auto, domina la porzione più antiquata. Nel centro etneo la quota a standard emissivo Euro 0 riguarda un’auto su cinque, e in generale circa 15% del totale del parco auto isolano è ad euro 0, mentre tra euro zero ed euro 3 si trova più del 50% del totale. Per superare questa condizione occorre puntare sulla mobilità sostenibile, quindi convincere i siciliani a scegliere bici o mezzi pubblici (treno, metropolitane, bus) per spostarsi. È ovvio, però, che serve un investimento serio da parte delle istituzioni a tutti i livelli per ammodernare una rete ferroviaria vecchia, finanziare nuove tratte della metro ove possibile (come sta accadendo a Catania) e aumentare i chilometri delle piste ciclabili: nei 9 comuni capoluogo in totale si contano circa 100 km di percorsi, in Emilia-Romagna sono 1.300.

37 – Dissesto idrogeologico, aprire tutti i cantieri

Il 4% del territorio siciliano è a rischio alluvione con 20 mila persone nel mirino, mentre il pericolo di frana coinvolge 1.500 kmq e almeno 120 mila siciliani. Nel corso degli ultimi sei anni, tra 2013 e 2019, in Sicilia ci sono state sette emergenze in seguito a siccità, alluvioni e frane, con danni per centinaia di milioni di euro. Allargando il raggio, tra 2000 e 2015, nell’Isola ci sono stati 168 eventi calamitosi e 58 morti, con danni complessivi stimati intorno a 4 miliardi. Per mettere in sicurezza l’Isola è arrivata una valanga di fondi che però purtroppo non si sono trasformati in altrettanti cantieri: tra il 1999 e il 2017, la Sicilia ha ricevuto, tramite il ministero dell’Ambiente, oltre 660 milioni di euro, riuscendo a concludere soltanto un intervento su due (51%) e spendendo complessivamente il 44% delle risorse (306 milioni su 661). Va detto che da quando si è insediato il Governo Musumeci c’è stata sicuramente un’accelerazione nella spesa. Nell’ambito di una nostra recente inchiesta abbiamo intervistato l’ex assessore Maurizio Croce, attualmente commissario di Governo contro il dissesto in Sicilia, il quale ha fatto un bilancio del lavoro svolto nell’ultimo anno: “Nel 2019 abbiamo avviato 91 cantieri per circa 126 milioni di euro”. Passi avanti, ma resta ancora molto da fare.

38 – Depurazione, c’è ancora un miliardo da spendere

La depurazione in Sicilia è “drammatica”. A dirlo è stato recentemente Stefano Vignaroli, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sui rifiuti, che ha aggiunto: “Gli impianti che dovrebbero ripulire le acque sono in molti casi macchine per inquinare, e non mancano situazioni in cui i finanziamenti pubblici erogati non sono stati usati per questo scopo e sono anzi finiti illecitamente nelle tasche di privati”. Basterebbero queste affermazioni per spiegare come la Sicilia è arrivata a collezionare ben quattro procedure di infrazione dell’Ue e ora addirittura è in arrivo una quinta, che coinvolgerebbe 50 nuovi Comuni, facendo salire gli Enti siciliani nel mirino di Bruxelles a quota 300: “In Sicilia – ha detto sconsolato il commissario Enrico Rolle – ci sono 390 Comuni, tre quarti hanno problemi di inquinamento”. Un disastro per il quale la Regione è stata ripetutamente condannata e la multa che pende sulle Casse regionali ammonta a 97 mila euro al giorno dal 2012, cioè ad oggi 250 milioni di euro. L’unica soluzione in questo caso è accelerare con i lavori. Il commissario per la depurazione ha in mano 67 interventi: 19 per un importo di 180 milioni di euro vedono lavori in corso (in 13 casi) o in fase di avvio, mentre gli altri 48 interventi rimanenti, per 1,2 miliardi, sono ancora “nelle fasi precedenti all’avvio dei lavori”.

39 – Rischio desertificazione, stop alle reti colabrodo

La Sicilia è la regione più a rischio desertificazione con oltre la metà del territorio in condizioni critiche (56,7%) e un altro terzo (35,8%) classificato come fragile. Il Governo Musumeci ha adottato un Piano per fronteggiare il rischio che l’Isola si ritrovi “sepolta” dalla sabbia, prevedendo interventi di forestazione e di manutenzione del territorio, ma occorre anche dotare la Sicilia di un sistema irriguo efficiente e razionale. Secondo un’elaborazione di Cittadinanzattiva, il “livello di dispersione idrica in Sicilia si attesta al 42,5%, rispetto alla media nazionale del 36,4%, ma con differenze rilevanti fra le province: si va dal 54% di Trapani al 25,1% di Caltanissetta”. Per invertire il trend occorre investire nel miglioramento della rete idrica. Attualmente la situazione è disastrosa: secondo uno studio di Ref Ricerche, pubblicato lo scorso marzo, gli investimenti netti pro capite nell’acqua tra il 2016 e il 2019 sono stati di 44 euro in Italia, di 47 nel Nord e di appena 18 nel Sud e nelle Isole. Per fronteggiare il rischio desertificazione, un’altra mano di aiuto potrebbe arrivare dalla Legge 10/2013 che prevede la piantumazione da parte dei Comuni di un albero per ogni bimbo nato. Una norma utile che però nell’Isola è rimasta sostanzialmente lettera morta.

40 – L’acqua del sindaco contro la plastica

L’acqua del sindaco, che sgorga nelle case dei siciliani direttamente dal rubinetto, non convince gli isolani. È controllata, sicura, sostenibile dal punto di vista ambientale e soprattuto economica. Eppure una famiglia isolana su due non si fida (52,3%), facendo registrare un dato record a livello nazionale (29,1%) e secondo soltanto alla Sardegna (54,8%). E così si preferisce comprare la minerale in bottiglia, principale responsabile – secondo la Commissione europea – dell’inquinamento delle spiagge comunitarie. L’Istat ha registrato, nel corso del 2017, che “a fronte di una spesa media mensile delle famiglie per l’acquisto di acqua minerale pari a 11,94 euro, la spesa media mensile per la fornitura di acqua connessa all’abitazione risulta di poco superiore, pari a 14,69 euro”. Potenzialmente, pertanto, si potrebbe risparmiare fino a 100 euro all’anno. C’è, però, prima un altro problema da risolvere nell’Isola: quello dell’interruzione del servizio idrico: “I comuni siciliani – scrive l’Istat – sono quelli che hanno sofferto maggiormente il disagio della riduzione o sospensione del servizio su tutto il territorio comunale: Trapani (180 giorni), Agrigento (144), Enna (66) e Messina (40)”. A livello regionale sono Calabria e Sicilia ad aver fatto registrare i maggiori problemi di erogazione dell’acqua nelle abitazioni.

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