Spesa pubblica: conto più caro nell’Isola - QdS

Spesa pubblica: conto più caro nell’Isola

Maria Francesca Fisichella

Spesa pubblica: conto più caro nell’Isola

martedì 03 Luglio 2012

“Dinamica, struttura e criteri di governo della spesa pubblica” dal 1951 al 2010, messo a punto nei mesi scorsi dal ministro Giarda. Per difesa, sicurezza, sanità, istruzione, protezione civile 5.620 € pro capite l’anno in Sicilia

PALERMO – La spesa per consumi collettivi per funzione (difesa, sicurezza, sanità, istruzione, protezione civile etc…) presenta una variabilità maggiore nelle regioni a Statuto speciale, tra cui la Sicilia, rispetto a quelle a Statuto ordinario. Lo si rileva dal rapporto preliminare che analizza “Dinamica, struttura e criteri di governo della spesa pubblica” dal 1951 al 2010, messo a punto nei mesi scorsi dal ministro per i rapporti con il Parlamento, Piero Giarda, che ha anticipato la spending review, e quindi valido supporto per capire i meccanismi distorti che, nel tempo, hanno condotto il Paese sulla strada della revisione della spesa, all’individuazione dei comparti di essa “aggredibili” e alla lotta alle inefficienze. Si pensi che nel 2007 la distribuzione territoriale della spesa per consumi collettivi (euro per abitante) rivelava questa situazione: la media per le regioni a statuto ordinario del centro-nord era di 5.032, la media delle regioni del Sud a statuto ordinario era di 5.361, la media delle regioni a statuto speciale di 6.919, di cui 5.620 per la Sicilia. Tutto questo su una media nazionale pari a 5.905.

La spesa pubblica e la sua dinamica – si rileva nel documento – la si può assimilare ad una azienda multi prodotto. Si raggruppa in spese finalizzate alla produzione di beni di consumo collettivo e di infrastrutture pubbliche che assorbono circa il 45,2% del totale della spesa complessiva, al pagamento degli interessi sul debito per l’8,8%, al sostegno degli investimenti di aziende produttive (di proprietà pubbliche e privata) con il 4,4%, alle pensioni per il 30,2%, a interventi redistributivi per il 11,4% del totale.

In Italia a trainare la crescita della spesa per i beni di consumo collettivo è la spesa sanitaria, la spesa per l’amministrazione generale e le spese di rilievo ambientale, a tutto discapito del settore dell’istruzione. Si noti pure che il settore che negli ultimi 60 anni ha mostrato la più elevata velocità di crescita rispetto a tutte le altre categorie di spesa è quello delle pensioni.
Nel tempo la spesa si è progressivamente spostata verso le amministrazioni locali, riducendo il peso occupato in passato dall’amministrazione centrale. L’amministrazione locale gestisce circa il 50% della spesa pubblica complessiva diversa da pensioni e interessi sul debito.

In tutti i decenni passati, la velocità di crescita della spesa pubblica è stata, però, quasi sempre superiore alla crescita del Pil.
Nell’ultimo anno di robusta crescita dell’economia italiana, il 1972, – si legge nel documento –  il deficit del bilancio pubblico aveva già raggiunto il 5,0% del PIL, ma era opinione comune che la crescita futura avrebbe potuto riassorbirlo. Ma la previsione di crescita futura non si è realizzata segnando il percorso del settore pubblico nei decenni successivi.

Un importante cambiamento occorso nei 60 anni di storia della finanza pubblica italiana, riguarda il ruolo dei diversi livelli di governo nella gestione della spesa pubblica. L’evento di maggiore rilievo del periodo è, naturalmente, l’affermazione del ruolo delle regioni nelle spese per la tutela della salute che fino al 1978 era a carico dello stato e degli enti di previdenza e assicurazione malattie. Sia in questo caso da esempio che le amministrazioni locali amministravano nel 1951 il 18% della spesa totale, nel 1980 il 26,8% e nel 2008 il 31,6% del totale.

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