Termini Imerese insegna: non è una zona per auto - QdS

Termini Imerese insegna: non è una zona per auto

Rosario Battiato

Termini Imerese insegna: non è una zona per auto

venerdì 13 Luglio 2012

Rossignolo (De Tomaso), l’ex sfidante di Di Risio per rilevare lo stabilimento ex Fiat, da ieri agli arresti domiciliari per truffa. Mercato dell’auto in crisi in tutta Europa, la dimostrazione è nei pretendenti del (fu) polo siciliano

PALERMO – Non è un Continente per auto. Il settore in Europa è decisamente crollato – la Fiat minaccia di chiudere un altro stabilimento in eccesso in Italia, la Peugeot taglia 8mila posti di lavoro e chiude una fabbrica – quindi continuare a pensare di investire a Termini per ripristinare l’automotive, in luogo dove la stessa multinazionale torinese ha chiuso battenti, sembra davvero un’operazione autolesionista. Del resto basterebbe riflettere sulla stabilità finanziaria dei finalisti inseriti nella short-list stilata da Invitalia per Termini Imerese: il vincitore Dr motor, persa la fiducia del Mise, spera nei cinesi per riempire di euro il proprio piano industriale (sarebbe dovuto subentrare nell’ex stabilimento già a gennaio 2012) mentre Rossignolo, patron della De Tomaso, è stato arrestato nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Torino su finanziamenti pubblici per sette milioni e mezzo di euro per corsi di formazione professionali nella sua azienda che pare non siano mai stati avviati.
Da mesi le vendite nel Vecchio Continente sono in picchiata. Crescono nel resto del mondo. Le immatricolazioni di auto nuove sono infatti cresciute a livello mondiale del 5,7% nei primi 5 mesi del 2012, mentre nell’area euro, stesso periodo, le immatricolazioni di nuove autovetture sono calate del 10,5%. Un divario enorme documentato da Gian Primo Quagliano (presidente del Centro Studi Promotor GL events) che ha analizzato la situazione del mercato automobilistico nel corso di un all’Università di Bologna.
La realtà è abbastanza evidente, ma se non dovesse essere sufficiente basterebbe appena riflettere sulle pretendenti al trono di Termini per capire che, se davvero si vuole salvare l’occupazione dell’ex polo Fiat, la produzione di auto non può essere il futuro.
La Dr Motor di Massimo Di Risio è in ritardo di sei mesi sugli accordi di dicembre che prevedevano il suo ingresso trionfale a Termini. Non ci sono soldi – ad eccezione dei contributi pubblici – per attuare la ristrutturazione del polo e le banche non vogliono concedere credito ad un’azienda che palesa evidenti problemi anche nei suoi stabilimenti di Macchia d’Isernia. E siccome, verosimilmente, da Termini passerebbe la salvezza dell’intero gruppo automobilistico molisano, Di Risio si sta giocando la carta degli investitori cinesi, che un paio di giorni fa sono stati in visita a Palermo e poi a colloquio con il governatore Raffaele Lombardo.
La delegazione della casa automobilistica cinese Chery ha manifestato interesse ad entrare nel capitale della Dr Motor e ha ritenuto idonei gli stabilimenti di Termini Imerese, in cui intravedono anche le potenzialità per una espansione del marchio Chery nel mercato europeo dell’automobile. Il punto è che il capitale cinese è stato più volte chiamato in causa come panacea per le magagne isolane – dal porto di Augusta al Ponte sullo Stretto – senza che poi si sia verificato niente di quello che era stato previsto. Adesso ci si chiede che senso possa avere per i cinesi investire in un mercato saturo come quello europeo, mentre altrove si fanno affari d’oro. La storia verosimilmente non sarebbe stata molto differente se a convincere Invitalia fosse stato Rossignolo, visto che l’ex manager Telecom si trova agli arresti domiciliari per un’inchiesta su finanziamenti pubblici. L’impresa di auto di lusso De Tomaso è stata già dichiarata fallita dal locale Tribunale di Livorno.
 


Anche Lo Bello non crede nel polo: “Meglio dieci piccole aziende”
 
Roma – Per Termini Imerese il futuro non può essere nell’automobile. è l’opinione di Ivan Lo Bello, imprenditore siciliano e vice presidente di Confinustria per l’Education. Per lo stabilimento della Fiat “da tre anni arrivano improbabili proposte e nessuno è riuscito a produrre automobili” nota Lo Bello, che chiama in causa le responsabilità degli enti locali ma anche del sindacato. Quest’ultimo per Lo Bello “è rimasto al modello fordista della grande fabbrica. Oggi quello stabilimento ha 1500 operai qualificati, quello è il valore aggiunto; fategli fare qualche altra cosa ma non automobili perché quel territorio oggi non lo consente.
Abbandoniamo il mito fordista della grande fabbrica” osserva Lo Bello in un intervento all’East Forum organizzato da UniCredit. “Meglio dieci piccole aziende” che una grande che non ha più prospettiva.

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