Il rapporto ne individua una larga schiera, partendo dall’ultima piaga: il furto di rame, che provoca grandi danni alle campagne e alle aziende che rimangono al buio e vengono saccheggiate. I danni non riguardano solo i produttori, che poi devono accollarsi gli oneri del rifacimento dei cavi o delle strutture danneggiate dai furti, ma anche chi lavora i prodotti della terra, che si ritrova a dover interrompere il processo produttivo anche in momenti cruciali dell’attività.
Ci sono poi il furto delle attrezzature e dei mezzi agricoli, che è finora il reato più commesso e che più incide nell’economia dell’imprenditore; il pizzo e il racket dell’usura; l’abigeato, cioè il furto di bestiame, che si attesta in media intorno ai 150.000 animali sottratti l’anno e vede un incremento dei sequestri di allevamenti abusivi di cavalli. Si registrano truffe per ottenere fondi europei, macellazione clandestina, discariche abusive, caporalato ed è in crescita il fenomeno dell’agropirateria, cioè l’immissione sul mercato di cibi contaminati e contraffatti. Per chi non si piega alla mafia, infine, c’è anche il danneggiamento delle colture e le aggressioni personali.
La mafia opera accaparrandosi i terreni agricoli migliori, gestendo l’intermediazione e anche il commercio: il mercato viene così falsato dal crimine e la concorrenza distrutta, soprattutto quando si riduce il costo della merce attraverso il lavoro nero e si manipola la vendita con la grande distribuzione.
Non è solo un problema del Sud Italia: il rapporto mette in luce come anche il Nord e il Centro siano tartassati dalla criminalità organizzata. “Prima – si legge nel rapporto della Cia – erano solo Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna le regioni in cui l’attività delle organizzazioni malavitose concentravano la loro azione ai danni dell’agricoltura. Ora la malavita ha allargato il suo giro d’azione. Altre regioni del Centro e del Nord sono finite nel mirino dei criminali e gli agricoltori ne pagano le spese”. Il profilo di chi perpetra i crimini però è legato al territorio: normalmente è gente del posto, comunque affiliata a organizzazioni malavitose forti e che hanno ramificazioni in più settori e in più ambiti, arrivando fino a un livello internazionale.
E proprio il rapporto chi possa gestire i beni confiscati è al centro di un protocollo che la Cia ha siglato con Libera, l’associazione di don Luigi Ciotti. “Dare il nostro contributo di carattere tecnico – scrive nel rapporto il presidente della Cia Giuseppe Politi – e i nostri servizi alle cooperative e ai soci di ‘Libera’ nella gestione dei terreni confiscati alla criminalità rappresenta un’ulteriore conferma di una strategia che ci vede in prima linea nella lotta ad ogni forma di criminalità”. (rq)
Roberto Quartarone
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