Legge di stabilità, è la tax compliance l’unico vero strumento anti-evasione - QdS

Legge di stabilità, è la tax compliance l’unico vero strumento anti-evasione

Salvatore Forastieri

Legge di stabilità, è la tax compliance l’unico vero strumento anti-evasione

martedì 23 Ottobre 2012

Sulle disposizioni concernenti le entrate pesa il vizio della retroattività prevista all’art. 3 dello Statuto dei Diritti del Contribuente. Anche la giurisprudenza “ondivaga” induce gli uffici fiscali ad interpretazioni contrastanti

ROMA – Come è noto, il Governo ha già licenziato il testo della “legge di stabilità” (quella che, qualche anno fà, si chiamava legge finanziaria”) che ora si trova in discussione in Parlamento. Siamo quindi tutti ansiosi di sapere quale saranno quest’anno gli ormai consueti interventi fiscali volti a reperire il gettito che, in mancanza degli auspicati, promessi, ma mai concretamente realizzati, tagli alla spesa pubblica, si rende necessario per trovare copertura finanziaria alle “uscite” contenute nella manovra.
Le più importanti disposizioni che riguardano le “entrate”, oltre al preannunciato aumento dell’IVA dal 1^ luglio dell’anno prossimo, sono l’introduzione di un tetto alle detrazioni e la previsione di una franchigia da applicare alle deduzioni ed alle detrazioni, misure – queste ultime – che sicuramente vanno a “sterilizzare” la parte del provvedimento a favore dei contribuenti, ossia la riduzione di un punto delle aliquote IRPEF del primo e del secondo scaglione.
Ma va osservato pure che sulle disposizioni concernenti le entrate pesa il vizio della “retroattività”, una vizio al quale, purtroppo, ancora una volta il Legislatore non fa caso, dimenticando quanto previsto espressamente dallo Statuto dei Diritti del Contribuente e, cioè, dall’art.3 della legge 27 luglio 2000 n.212, disposizione in base alla quale “.. le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo. Relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono”.
In pratica, è come se, pur ricercando affannosamente la compliance, unico vero strumento per il recupero dell’evasione, da un lato l’Amministrazione Finanziaria, specialmente grazie alla svolta sostanziale al proprio vecchio ruolo di esattore spietato da tempo avviata dall’Agenzia delle Entrate, tentasse di recuperare il rapporto con il cittadino, e, dall’altro, le nuove leggi, spinte dalla necessità di ulteriore gettito, facessero di tutto per creare sempre maggiore diffidenza dei cittadini verso l’Apparato burocratico dello Stato.
Sappiamo tutti quanto sia difficile far quadrare i conti. Sappiamo pure benissimo quanto sia difficile contemperare l’esigenza di diminuire il debito pubblico con la necessità di agevolare lo “sviluppo” del Paese, aumentare i posti di lavoro e favorire i consumi.
Sappiamo pure, però, che qualunque atteggiamento sbagliato, specialmente in questo periodo tanto difficile, produce effetti molto gravi.
Eppure di questi sbagli se ne fanno moltissimi, e non solo, come abbiamo visto, per colpa del Legislatore, ma anche per colpa della giurisprudenza “ondivaga” e dell’interpretazione certe volte troppo fiscale degli uffici fiscali.
La Cassazione, ad esempio, certe volte si è mostrata favorevole al concetto troppo estensivo dell’abuso del diritto, altre volte invece contraria; certe volte ha considerato come termine di prescrizione dei rimborsi IVA senza modello VR quello decennale, altre volte quello biennale; certe volte ha ammesso il riporto del credito IVA maturato in un’annualità con dichiarazione omessa, altre volte lo ha negato.
E l’Agenzia delle Entrate, spinta dall’altalenanza delle interpretazioni giurisprudenziali, spera sempre in quella decisiva, “a sezioni unite”, che alla fine dia ragione alle più o meno accettabili tesi dell’Amministrazione Finanziaria.
L’esempio più recente è quello riguardante la possibilità di riportare in dichiarazione un credito IVA che si era maturato l’anno precedente, ma che non era stato indicato in dichiarazione in quanto quest’ultima era stata omessa.
Cinque anni fà, con risoluzione n. 74 del 19 aprile 2007, l’Agenzia delle Entrate, con una interpretazione molto ragionevole, aveva consentito il riporto di questo credito, a condizione, però, che lo stesso fosse stato confermato dall’Ufficio nella sua effettiva esistenza tramite accertamento, e che la computazione in detrazione del credito IVA fosse avvenuta “entro il secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto” (art. 19 D.P.R. 633/72.
Ora, però, cambia idea. Dopo aver preso atto di nuova giurisprudenza della Corte di Cassazione, infatti, l’Agenzia, con circolare n. 34 del 6 agosto 2012, ha escluso la possibilità del “riporto”, permettendo soltanto la richiesta di rimborso del credito emerso nell’annualità mancante della dichiarazione, ma sempre previo controllo e con istanza soggetta al termine di decadenza biennale di cui al 2^ comma dell’articolo 21 del Decreto .Leg/vo 546/92.
Sorge ora il problema dei soggetti che, avvalendosi della citata risoluzione del 2007, hanno riportato il credito IVA il quale, sulla base dell’ultima interpretazione, non solo viene disconosciuto e recuperato, ma viene pure punito, per il riporto ritenuto indebito, con l’applicazione degli interessi e della sanzione pari al 30%. Resta la possibilità della richiesta di rimborso, ma dopo il pagamento del tributo, delle sanzioni e degli interessi.
Speriamo, comunque, che l’Amministrazione, tenendo conto del principio dell’affidamento e della buona fede sancito dall’art.10 dello Statuto dei Diritti del Contribuente, possa mitigare le conseguenze per il contribuente.
Dovrebbe, in ogni caso, escludere la restituzione del credito (a suo dire) irregolarmente riportato per evitare di doverlo successivamente rimborsare.
Speriamo vivamente che ciò avvenga, non solo per dare esito favorevole alle ragionevoli richieste dei contribuenti onesti, ma, soprattutto, per far sì che sia migliorato il rapporto tra fisco e cittadini, con relativo incremento dell’adesione spontanea e tutte le positive conseguenze che ciò comporta.
Evviva lo “Statuto”.

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