L’Euro è salvo ora la crescita - QdS

L’Euro è salvo ora la crescita

Carlo Alberto Tregua

L’Euro è salvo ora la crescita

sabato 29 Dicembre 2012

Paura e fiducia fra pessimisti e ottimisti

Con questo duecentoquarantesimo editoriale del 2012 ho completato il mio dovere di informarvi, cari e pazienti lettori, sulle vicende che tutto il Paese ha attraversato. Potrete convenire o meno sui fatti e sulle argomentazioni esposti, che ho cercato di fornirvi secondo le mie modeste cognizioni e secondo la mia coscienza.
Una questione è stata superiore a tutte le altre: come si è comportata l’Europa, con i suoi organi principali, nei confronti di alcuni dei suoi partner più deboli (Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia) investiti dalla crisi.
Angela Merkel è stata criticata per il rigore con cui ha tenuto a freno le istituzioni comunitarie. La principale accusa è stata che si è regolata in tal modo in vista delle elezioni politiche del suo Paese di settembre 2013. Invece, riteniamo che la giusta dose di rigore, per inchiodare gli scriteriati politici che hanno speso più di quanto incassavano per ragioni clientelari, andava esercitata con fermezza.

Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, ha sempre perseguito la sicurezza dell’Euro, basata anch’essa sul giusto rigore e cioè sul ripristino dell’equilibrio dei conti dei cinque Paesi prima elencati. Ovviamente prelevare di più dai redditi dei cittadini ha comportato una  diminuzione dei consumi, mentre i depositi bancari sono rimasti, nel complesso, quasi inalterati.
Altri scriteriati, soprattutto dell’estrema sinistra europea, hanno criticato fortemente il rigore applicato perché sono statalisti e autori dell’allargamento della spesa pubblica improduttiva, che fa precipitare i fondamentali dell’economia.
In ogni caso, per il momento, l’ultima iniezione di prestiti alla Grecia per quasi 40 miliardi, la stabilizzazione dell’economia di Portogallo e Irlanda, la rinuncia di Spagna e Italia a chiedere prestiti all’Europa, ha portato, in questo fine anno, una calma nei mercati, attesa ma inaspettata. Non si tratta di un ossimoro, bensì di una realtà.
Spagna e Italia non hanno chiesto i prestiti disponibili perché, se lo avessero fatto, avrebbero dovuto sottostare a pesanti condizioni, come è accaduto nel caso della Grecia. Vuol dire che non ne hanno avuto realmente bisogno.

 
Di questo scenario di fine anno vi è una prova inconfutabile: la speculazione ha mollato l’osso e si è indirizzata verso altri mercati. L’Euro si è rinforzato sopra 1,32 e lo spread italiano si è stabilizzato sui 300 punti mentre quello spagnolo sui 400.
Dopo questi buoni risultati, ora è il momento di pensare alla crescita. Essa, com’è noto, si basa su due gambe: ogni Paese deve aumentare la vendita dei prodotti nel mercato nazionale e soprattutto in quello estero (a questo riguardo va salutato positivamente l’aumento dell’esportazione italiana di oltre il 20%); la seconda gamba riguarda i consumi. Per aumentare i consumi bisogna che la gente paghi meno tasse e/o guadagni di più. Per pagare meno tasse occorre tagliare la spesa pubblica.
Ovviamente la situazione italiana è molto grave, meno grave nei Paesi Nord-europei e in Germania o in Francia. La Gran Bretagna, un’isola non solo geografica, marcia per proprio conto, fuori dall’Euro, e ha una stabilità invidiabile: forse è il sistema anglosassone che funziona meglio rispetto a quello mitteleuropeo e mediterraneo.

Affinché vi sia crescita occorre lavorare per uniformare le leggi nei 27 Stati membri sui versanti fiscale, giuridico, sociale e altri, in modo da impedire comportamenti difformi che creino situazioni difformi.
È fondamentale unificare il sistema politico, in modo che i 495 milioni di cittadini europei possano eleggere un vero governo dell’Europa, un vero presidente dell’Europa e un vero presidente dell’esecutivo, cambiando anche le regole dell’attuale Parlamento europeo che, di fatto, detiene pochi poteri.
Oggi l’Europa è amministrata da una Commissione e da una burocrazia potentissima. Il Consiglio dei Capi di Governo interviene sulle grandi decisioni più con lo strumento del veto che con altri strumenti idonei a costruire.
Guardiamo all’Europa, in quest’editoriale conclusivo dell’anno, perché il nostro Paese ne è una componente importante che deve funzionare con regole sovranazionali. Bando ai localismi e alle questioni di basso rilievo.

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