Il fallimento di Aligrup è legato a doppio filo con due circostanze, una economica e l’altra giudiziaria. La crisi e l’altissima concorrenza che negli ultimi anni si è venuta a creare nel settore della distribuzione in Sicilia hanno certamente incrinato i conti dell’azienda, la quale dal canto suo ha fatto qualche scelta azzardata. Aprire diversi grandi esercizi nell’hinterland catanese a pochi chilometri l’uno dall’altro non ha fatto che balcanizzare la clientela e aumentare notevolmente i costi. Ciò ha letteralmente logorato le finanze della società, che oggi registra un buco di oltre 100 milioni di euro e svariati creditori da soddisfare. Ma se questo è un aspetto fondamentale della vicenda, qualcuno punta il dito nei confronti dell’altro filone. Bisogna sapere che il gruppo puntese era saldamente in mano fino a poco tempo fa al suo fondatore Sebastiano Scuto, passato agli onori della cronaca come il “re” dei supermercati nell’Isola: da solo ha costruito un impero con circa 50 ipermercati dislocati tra Palermo e Catania, tra Ragusa e Siracusa. E ha formato un esercito di 1.600 dipendenti più altre 4.000 persone afferenti all’indotto. Tempi d’oro, finiti quando il Tribunale di Catania ha aperto un’inchiesta a suo carico per associazione mafiosa. L’accusa sostiene che Scuto sia colpevole di aver finanziato una cosca mafiosa etnea, riciclandone il denaro e ottenendo in cambio protezione. Una tesi avallata durante il processo di primo grado, in cui l’imprenditore è stato condannato a 4 anni e 8 mesi. Adesso è in corso il secondo grado del giudizio e bisognerà vedere se i giudici dell’appello confermeranno o meno la sentenza. Qualcuno probabilmente si starà chiedendo cosa centri questa parentesi. Centra eccome. Quando iniziarono le indagini, la Procura catanese ha disposto la confisca del 15% dell’azienda, il che naturalmente ha legato le sorti di ogni trattativa alle pronunce del Tribunale. Il custode, infatti, è delegato espressamente dalla Corte e da tutti i potenziali compratori quale supervisore ed elemento di garanzia (tutte le trattative devono ottenere l’autorizzazione della Corte). Il meccanismo, però, è risultato un po’ farraginoso, tanto che nel corso di questi mesi l’amministratore è cambiato per ben tre volte.
Nel maggio dello scorso anno, la società Aligrup Spa in liquidazione inizia una lunghissima trattativa con un gruppo che viene visto immediatamente come il salvatore della patria: le Coop. Vengono firmate alcune lettere d’intenti e un contratto preliminare che prevede l’acquisizione di 21 punti vendita su un totale di 46, mica male. Viene fissata anche una data di scadenza per l’acquisizione nel mese di giugno. Tutto sembra andare per il verso giusto, ma manca una conditio sine qua non: il nulla osta della Corte d’Appello. Un via libera che non è mai arrivato. Nel frattempo viene nominato il nuovo custode nella persona di Massimo Consoli. Le Coop (due quelle in ballo, Adriatica e Nord Est, le quali per l’occasione avevano anche creato una supersocietà con un capitale di circa 3 milioni di euro) cominciano a spazientirsi, ma fissano una nuova data, improrogabile: entro il 10 settembre Aligrup dovrà adempiere alle loro richieste. Sindacati, politici e giornali annunciano la cosa come fatta. La realtà palesatasi di li a poco è ben diversa.
Arriva settembre e porta con se, finalmente, il nulla osta del Tribunale. Ma le Coop, ritenendo violati i presupposti contrattuali ai quali si era faticosamente giunti, decidono di uscire di scena. Qualcuno parla anche di timore di una possibile revocatoria, altri di indisponibilità ad assorbire l’intero parco dipendenti che supera le 1.500 unità. Iniziano così a serpeggiare i primi malumori, gli stipendi tardano ad arrivare e la soluzione sembra sempre più lontana. Il custode giudiziario Massimo Consoli, a inizio ottobre, afferma però con una certa sicumera che la partita è tutt’altro che persa, con una mezza dozzina di aziende siciliane pronte a rilevare i punti vendita. In quei giorni nasce il cosiddetto “spacchettamento” del Gruppo, una strategia che coinvolge 27 esercizi e di cui ancora oggi i dipendenti pagano le conseguenze. Non passa molto, circa un mese, ed ecco un triplo colpo di scena: il Tribunale “fa fuori” Consoli, nomina il nuovo custode nella persona di Nicola Lo Iacono e cambia la forma giuridica del procedimento. Si abbandona l’iter scelto all’inizio, cioè la procedura del 182 bis (la ristrutturazione dei debiti da parte dell’azienda con i creditori e la successiva omologazione da parte del Tribunale) per passare alla procedura concordataria. Secondo il commissario liquidatore dell’azienda, Maurizio Verona, la nuova procedura concorsuale permetterebbe al Tribunale fallimentare di entrare nel vivo delle trattative, offrendo così maggiori garanzie sia ai creditori che agli acquirenti. Ma le trattative non decollano e così, nella prima decade di dicembre, per circa 1.256 lavoratori viene chiesta e ottenuta la Cassa integrazione. Uno strumento che però fino a oggi non è mai partito. Intanto anche Verona, uno dei registi della prima ora, si dimette e al suo posto subentra Agatino Rizzo.
Dopo quasi un anno di trattative incessanti, su 46 punti vendita soltanto cinque sono stati piazzati. Lo scorso mese, infatti, il Gruppo ennese Arena ha rilevato quattro esercizi del catanese e uno a Valguarnera, tutti già riforniti e perfettamente funzionanti. Per il resto, la situazione è desolante. Lo scorso 14 gennaio si attendeva la sentenza del Tribunale sul concordato preventivo per l’affitto del ramo d’azienda, ma la decisione ha subito un nuovo rinvio. Altri 30 giorni di tempo sono stati concessi ad Aligrup per riempire di contenuti l’accordo presentato in bianco. Nelle intenzioni della società, stando alle notizie riferite al QdS dalla Cisal, il fantomatico documento dovrebbe vedere luce il 28 del mese corrente. Ma a oggi le uniche trattative in piedi sono quelle con Conad e Re Leone per un totale di 10 punti vendita. Operazioni ancora lontane da una conclusione positiva. E ora è arrivata anche la mazzata della chiusura degli esercizi che partirà proprio da domani (nella tabella qui sopra trovate il programma). Qualche giorno fa le parti sociali sono state sentite in Commissione attività produttive dell’Ars. La Regione ha preso precisi impegni per evitare che la vicenda si trasformi in tragedia sociale. Si spera che non sia troppo tardi.