Adozioni internazionali, l’interesse del minore prevale su quello della coppia - QdS

Adozioni internazionali, l’interesse del minore prevale su quello della coppia

Chiara Borzi

Adozioni internazionali, l’interesse del minore prevale su quello della coppia

martedì 12 Febbraio 2013

I requisiti: coniugi uniti in matrimonio da almeno 3 anni, differenza minima di 18 anni tra adottante e adottato. Tutte le tappe dell’iter burocratico: dalla disponibilità all’accoglienza all’arrivo del bimbo

ROMA – Sul tema delle adozioni internazionali in questi anni si è spesso posto l’accetto su una superficiale analisi di quelle che sono le componenti “burocratiche” che la caratterizzano.
Parlare asciuttamente d’iter burocratico e costi è scontato. A dodici anni dall’entrata in vigore della legge 476/98 molto è cambiato in quello che può essere definito il quotidiano delle adozioni. 
Per questo, è necessario adottare una prospettiva di più ampio respiro che ne comprenda realmente tutti i vari aspetti.
Accogliendo i principi della Convenzione Aja del 1993 sulla tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozioni internazionali, il nostro Paese, compreso il nostro territorio regionale, ha accettato di sancire la reale superiorità dell’interesse del minore su quella della coppia anche se quest’ultima, ancora oggi, viene erroneamente messa in primo piano.
La prospettiva culturale è cambiata.
Il primo passo che la coppia deve compiere in vista di un’adozione è quello di dichiarare la propria disponibilità all’accoglienza. Non parliamo più di domanda di adozione ma appunto disponibilità. Appare triste ma deve essere chiaro che una coppia dichiaratasi pronta può, purtroppo, non essere soddisfatta in futuro. Per procedere nel cammino bisogna avere chiaramente dei requisiti. Essi sono previsti dall’art. 6 della legge 184/83 (come modificata dalla legge 149/2001) che disciplina l’adozione e l’affidamento. L’adozione è permessa ai coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni, o che raggiungano tale periodo sommando alla durata del matrimonio il periodo di convivenza prematrimoniale, e tra i quali non sussista separazione personale neppure, di fatto, e che siano idonei a educare, istruire e in grado di mantenere i minori che intendano adottare.
Riguardo all’età, secondo la legge, la differenza minima tra adottante e adottato è di 18 anni; la differenza massima tra adottanti ed adottato è di 45 anni per uno dei coniugi, di 55 per l’altro.
Tale limite può essere derogato se i coniugi adottano due o più fratelli, e ancora se hanno un figlio minorenne naturale o adottivo. Ciò vuol dire che se la futura madre ha 47 anni ed il futuro padre 56, la coppia può adottare un bambino non più piccolo di 2 anni. Se la futura madre ha 54 anni ed il futuro padre 63, la coppia può adottare un bambino non più piccolo di 8 anni. Se la futura madre ha 50 anni ed il futuro padre 68, la coppia può adottare un ragazzino di 13.
La condizione necessaria e imprescindibile che permette l’adozione è la presenza di un bambino in stato di abbandono. In quanto tale, egli è affidato alle istituzioni che fungono da tramite nell’iter di adozione.
Trovati bambini e coppia, entrano in gioco gli Enti Autorizzati che fungono, con la qualità di soggetto privato con funzione pubblica, da tramite e il Tribunale dei minori competente sul territorio che, attraverso la valutazione dei servizi sociali fatta sulle condizioni dei coniugi disponibili, concede il decreto d’idoneità della coppia.
Ricevuti tutti i documenti, spetta alla stessa coppia muoversi esclusivamente attraverso l’aiuto degli enti autorizzati, ma solo quelli iscritti all’albo, perché viceversa decadrebbe ogni possibilità di muoversi legalmente. La scelta deve essere compiuta entro un anno dall’ottenimento dell’idoneità. A questo punto ciò che i futuri genitori possono aspettarsi dall’ente è un corretto svolgimento, o legittimità, della procedura d’ adozione. La collaborazione con esso non equivale, purtroppo, necessariamente alla buona riuscita dell’operazione. Di fronte ad una corretta procedura svoltasi secondo quanto previsto per legge ma in assenza di adozione, non è previsto alcun risarcimento.
Compiuto anche questo passo, sarà il CAI (Commissione per le adozioni Internazionali) ad autorizzare l’ingresso in Italia del bambino, permettendo così la formazione di  una nuova famiglia.
Con l’arrivo dell’adottato il rapporto tra l’Ente e coppia non svanisce. È obbligo dei coniugi mandare al paese di origine del bambino una relazione periodica in cui aggiorna dell’inserimento, del quadro generale e dei progressi compiuti dello stesso.
Così com’è nella natura nello stesso iter burocratico dell’adozione, la formazione della nuova famiglia è processo che va curato attentamente, passo per passo, con scrupolo e senza fretta, avendo ben presente quanta pazienza sia necessaria, per far sì che il rapporto affettivo instaurato con i figli adottivi sia tale da garantire a quest’ultimi un’esistenza sana e serena. 
 

 
Coppie disponibili all’adozione, diminuiscono per colpa della crisi
 
In tempo di crisi come quello attuale, il desiderio di diventare genitore scoprendo l’adozione internazionale diventa alla voce spesa una nuova incognita.
Se è vero che in Italia il fenomeno è rimasto fortunatamente sentito e il desiderio d’adottare un bambino slegato da ogni proprio legame biologico e per lo più vittima di difficoltà più o meno grandi, è rimasto comunque forte, con la diminuzione delle risorse in forza alle famiglie anche la coppia più desiderosa e con i requisiti tutti in ordine ha dovuto riflettere sul da farsi.
Le voci di spesa nell’iter di adozioni sono molte, il costo delle prestazioni è alto ma non lucrativo rispetto ai servizi offerti d agli Enti autorizzati. A quanto ammonterà, complessivamente, la spesa finale è difficile dirlo perché neppure operazioni come la traduzione o la stesura della relazione sono ponderabile tra le spese a costo fisso. Tuttavia se si vuol fare una stima generale per un’adozione internazionale si può già tener presente che non si spenderanno mai meno di 10 mila euro.
La tipologia dei servizi offerti alle coppie dagli Enti sono tra i tanti: assistenza alle coppie, consulenza psicologica, legale, fiscale e contributiva, assistenza nelle aree estere, preparazione specifica distinta per i paesi di destinazione, accompagnamento psicologico per l’abbinamento, attività culturale e di cooperazione. Le voci di spesa cui per certo deve esser data adempienza sono inoltre: traduzioni, traduzioni dossier, tasse governative, accompagnamento all’estero, mantenimento minore, costi di post adozione, legalizzazioni con il consolato. Capitano anche costi da coprire direttamente verso Fondazioni specifiche riconosciute dalle istituzioni del paese di provenienza del bambino, come accade con la “Mi Casa” in Cile.
Nel corso del 2012 la Commissione per le adozioni internazionali del Governo italiano ha rilasciato l’autorizzazione all’ingresso in Italia per 3.106 bambini provenienti da 55 Paesi, adottati da 2.469 famiglie residenti in Italia. Rispetto al 2011, si evidenzia un calo piuttosto consistente dovuto principalmente al rallentamento delle attività constatato in molti Paesi pari al 22,8% per quanto riguarda il numero di minori adottati, al 21,7% per quanto riguarda le coppie adottive.
 

 
In Sicilia il numero delle coppie adottive in calo del – 14%
 
Andando ad analizzare il caso siciliano scopriamo pregi e difetti di un sistema in cui l’adozione internazionale è di base incentivata. Con la legge regionale n° 10 del 2003 si prevede l’erogazione di un contributo fino al 50% delle spese sostenute dalle famiglie adottive, sulla base di parametri predeterminati ed in conformità alle competenze in materia delegate dallo Stato alle Autonomie Locali. Nonostante questa peculiarità nel 2011 sono state solo 190 le famiglie siciliane a chiedere l’autorizzazione all’ingresso in Italia di minori stranieri. In Campania sono state invece 227. I minori a cui è stata rilasciata la richiesta d’ingresso sul territorio siciliano sono stati invece 296 ma ancora una volta la Campania supera il nostro dato con 333 ingressi.
Guardando nel complesso alle zone meridionali, ancora la Campania (240 coppie, 7,4%) e la Puglia (224 coppie, 6,9%) rappresentano i territori in cui è più aumentata la richiesta d’ingresso. In realtà crescono tutte le regioni del Sud Italia ad eccezione proprio la Sicilia dove il numero delle coppie adottive è sceso addirittura del 14%.
Dalle pagine del Corriere della Sera, Maria Teresa Vinci, ex direttore generale della segreteria tecnica della Commissione Adozioni Internazionali, ha così commentato il calo quantitativo delle adozioni: “è vero, un calo c’è stato, i decreti d’idoneità sono diminuiti dal 2006 ad oggi, ma questo calo non deve essere obbligatoriamente letto in negativo: abbiamo meno coppie disponibili, ma più motivate, preparate meglio dalle associazioni, più consapevoli di quello cui andranno incontro”.

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