Monti o Visco premier per un governo di riforme - QdS

Monti o Visco premier per un governo di riforme

Carlo Alberto Tregua

Monti o Visco premier per un governo di riforme

venerdì 08 Marzo 2013

No a nuovi inciuci tra partiti

Grillo ha detto no a qualunque fiducia, per non inciuciarsi con i partiti tradizionali che combatte. Napolitano, dal suo canto, ha detto no a un governo di minoranza, quale quello che avrebbe in mente Bersani.
Eliminate dal campo queste due possibilità, non rimane che dare l’incarico a un esponente del Parlamento terzo, quale potrebbe essere il senatore Monti, ovvero a un estraneo quale potrebbe essere il governatore della Banca d’Italia Visco. Ovviamente vi sarebbero altre personalità idonee ad assumere il premierato, ma esse debbono avere uguale autorevolezza, capacità e onestà dei primi due.
Un governo presieduto da un tecnico per che fare? Per prendere quei provvedimenti indispensabili a riformare profondamente le macchine di Stato, Regioni e Comuni, nel senso d’inserire i valori di Merito, Responsabilità ed Efficienza. In altre parole, le pubbliche amministrazioni di qualunque livello devono perdere la zavorra della raccomandazione ed acquisire quella della snellezza ed efficacia.

Il Paese deve diventare competitivo. Senza la capacità di reggere la concorrenza internazionale siamo perduti. Le imprese esportatrici hanno questa capacità e infatti il loro fatturato, pur in tempo di crisi, è aumentato.
Ora occorre aumentare la competitività interna per reggere l’urto di tutti i gruppi che operano sul nostro territorio. Ma non basta. è proprio la macchina pubblica che deve facilitare il rilascio (o la negazione) di provvedimenti autorizzativi o concessori in tempo reale, inserendo tutti i procedimenti in percorsi digitali, in modo che essi siano tracciati e definiti dai cronoprogrammi.
Altra riforma essenziale, peraltro già introdotta dalla legge anticorruzione, è quella sulla trasparenza. I dirigenti che non rispondono ai giornali e ai cittadini, fornendo tutte le informazioni richieste, devono decadere dal loro incarico ed essere cacciati a pedate.
Nessuno, ma proprio nessuno di essi, si deve illudere di poter ancora pescare nel torbido nascondendo atti e comportamenti clientelari, se non di vera e propria corruzione.
Una terza riforma riguarda la riduzione della spesa pubblica per girare le risorse agli investimenti.

 
è inutile che tanta gente dia fiato alla bocca dicendo che il lavoro è un diritto. è lapalissiano, ovvio, scontato. Ma pochi indicano quale sia la strada che porta alla creazione del lavoro, autonomo e dipendente. Tale strada è quella che deve generare opportunità per tutti i cittadini, principalmente quelli giovani, in modo che essi possano misurare le proprie capacità per creare valore (e quindi lavoro).
Le start up (ovvero l’avvio di nuove imprese), che riportiamo costantemente sul QdS, naturalmente facendo riferimento a quelle siciliane, e le spin-off (la creazione d’imprese da idee che derivano dalla ricerca universitaria) sono due strumenti che consentono di creare valore e lavoro a condizione che il mercato sia competitivo e non congelato da incrostazioni.
La macchina pubblica ha un ruolo determinante nell’espletamento degli appalti, indispensabili per aprire i cantieri, realizzare le infrastrutture ed effettuare investimenti, tutti necessari per mettere in moto l’economia e combattere la piaga della disoccupazione.

Vi sono poi le riforme istituzionali: taglio dei parlamentari, dimezzamento delle loro indennità, taglio dei compensi dei dirigenti, tetto insuperabile di due mandati per qualunque livello istituzionale, modifica dell’articolo 67 della Costituzione, in modo da impedire la perniciosa azione dei voltagabbana, e via elencando.
è inutile pensare di fare tante cose, salvo la fondamentale riforma della legge elettorale, sul modello francese a due turni, in modo che alla fine delle elezioni si sappia chi ha vinto e non si ricrei la posizione di stallo in cui ci ritroviamo.
Chi può essere chiamato a eseguire in tempi brevi le riforme sopra indicate? Certamente non un politico di professione, ma un uomo di alto livello morale e professionale che porti i provvedimenti in Parlamento, lasciando alla responsabilità dei quattro poli oggi esistenti, di approvarli o meno.
Chi non le approvasse sarebbe additato all’opinione pubblica come irresponsabile e alle prossime elezioni riceverebbe l’ira aumentata dei cittadini.
A ognuno il suo, scriveva Leonardo Sciascia. La resa dei conti è arrivata.

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