Nicastri: potere, corruzione e criminalità ma per anni nessuno ha mai visto nulla - QdS

Nicastri: potere, corruzione e criminalità ma per anni nessuno ha mai visto nulla

Carmelo Lazzaro Danzuso

Nicastri: potere, corruzione e criminalità ma per anni nessuno ha mai visto nulla

martedì 09 Aprile 2013

La parabola dell’elettricista divenuto “re delle rinnovabili” con un patrimonio da 1,3 mld di €

TRAPANI – “È il bello di vivere qua. Senti il territorio, lo percepisci, avverti che bisogna muoversi in un certo modo, capire le esigenze del sindaco, dei consiglieri”. Con questa frase – messa in evidenza dal Tribunale di Trapani nel dispositivo, a firma del presidente Roberto De Simone, che ha messo in moto l’intervento della Direzione investigativa antimafia – potrebbe essere riassunto il “sistema” messo in piedi da Vito Nicastri, l’imprenditore 57enne di Alcamo al quale la settimana scorsa sono stati confiscati beni per la cifra record di un miliardo e trecento milioni di euro. Un passaggio fondamentale per un lavoro che gli investigatori hanno iniziato nel 2009.
Figura leader nel settore della produzione di energia fotovoltaica ed eolica, è ritenuto dalla Dia vicino a esponenti mafiosi collegati con il boss latitante Matteo Messina Denaro, un soggetto chiave nelle relazioni con i clan che operano nel messinese, nel catanese e con la ‘ndrangheta calabrese (in particolare con le ‘ndrine di Platì, San Luca e Africo del reggino), con interessi sviluppati anche oltre i confini nazionali.
Per capire l’importanza che secondo gli investigatori Nicastri ha ricoperto fino a ieri all’interno del complesso mosaico di Cosa nostra, basti pensare alla mostruosa quantità dei beni prima sequestrati (settembre 2010) e poi confiscati. Un patrimonio da 1,3 miliardi di euro difficilmente può essere accumulato da una sola persona nell’arco di pochi decenni, eppure il “re delle rinnovabili” trapanese l’ha fatto. Ed è proprio l’esponenziale crescita delle sue proprietà che ha insospettito gli investigatori. Come si legge nel decreto di confisca, in appena sette anni (dal 1984 al 1991) i redditi dell’imprenditore si sono quasi decuplicati passando da 4.413 a 39.074 grazie a “rilevantissime componenti delittuose a partire dal 1989” che lo avrebberto “trasformato” da semplice elettricista a “re delle rinnovabili”.
Un uomo che secondo gli investigatori avrebbe dunque costruito tutta la propria fortuna grazie alle attività criminali (“tutti i redditi e gli emolumenti percepiti dal nucleo familiare – è scritto nel decreto di confisca – sono inquinati dalle illecite connotazioni dello svolgimento dell’attività economica portata avanti da Nicastri e dai familiari”) e che grazie all’importanza acquisita nel corso degli anni è riuscito a guadagnarsi un posto di rilievo anche nei salotti della “Trapani bene”. Come tenervi fuori un personaggio di tale importanza?
Ma è possibile che nessuno, prima della pubblicazione delle notizie legate a una sua vicinanza a Cosa nostra, abbia mai sospettato di questo “re” delle rinnovabili e dell’imprenditoria, capace di costruire una fortuna praticamente dal nulla in pochi anni? È possibile che prima del 2009 tutti abbiano volutamente ignorato di riflettere su tale situazione?
Queste domande hanno una risposta tanto semplice quanto inquietante: probabilmente si è fatto finta di niente perché “la piovra” aveva allungato i propri tentacoli anche negli ambienti “altolocati”, non soltanto del territorio ma di tutta la Sicilia occidentale. Il decreto di confisca del Tribunale di Trapani, infatti, parla dettagliatamente di intensi rapporti intessuti da Nicastri con rappresentanti della Pubblica amministrazione (così come si evincerebbe da intercettazioni telefoniche raccolte nel 2010). Tra i nomi che figurano nel documento c’è quello di Emanuele Di Betta il quale – insieme a quello che viene definito suo “socio occulto”, l’impresario Benedetto Ragusa – avrebbe agito in favore dell’imprenditore trapanese grazie alla sua posizione strategica all’interno dell’assessorato regionale Territorio e Ambiente. Ex deputato regionale nel corso della XII legislatura e consulente (dal 30 marzo al 2 maggio 2010) dell’ex assessore al Territorio e Ambiente della Giunta guidata da Raffaele Lombardo, Giovanni Di Mauro, secondo gli investigatori Di Betta avrebbe favorito l’ottenimento di indispensabili decretazioni in favore delle aziende riconducibili al gruppo di Nicastri.
“Particolare rilievo” secondo le indagini finora condotte, rivestono anche i rapporti intessuti con Francesca Marcenò, dirigente regionale responsabile del servizio Risorse minerarie ed energetiche del Dipartimento dell’Industria (ufficio incaricato al rilascio delle cosiddette autorizzazioni uniche) e Rossana Interlandi, allora dirigente generale del Dipartimento dell’Industria e delle Miniere e del Dipartimento dell’Energia.
Fondamentale poi, secondo gli inquirenti, anche il ruolo svolto all’interno della Regione dal deputato Riccardo Savona, “interessato” alle vicende di Nicastri in assessorato. In diverse intercettazioni Savona sembrerebbe aver seguito con attenzione l’iter delle pratiche dell’imprenditore, procurandogli anche “contatti con i dirigenti con cui si relaziona”. Savona avrebbe avuto anche un ruolo “importante” nel proporre un emendamento legislativo in favore della realizzazione di serre in agricoltura collegate al fotovoltaico, traendo inoltre interesse economico dalla costituzione di una società riconducibile a Nicastri. I rapporti tra quest’ultimo e Savona, insomma, sarebbero stati piuttosto stretti, tanto da indurre l’imprenditore trapanese ad affermare, come si legge in un’intercettazione riportata dal Tribunale, “Riccardo è sotto la nostra responsabilità”.
Potere, corruzione, mafia. Tutto si riduce a un circolo che ha messo in ginocchio l’economia legale favorendo crimine e illegalità. Un circolo che Magistratura e Forze dell’ordine, con interventi come quello ai danni di Nicastri, stanno cercando di spezzare in favore dei tanti cittadini onesti della Sicilia. Il prossimo passo sarà la riassegnazione alla Comunità dei beni confiscati. La speranza è che le lungaggini burocratiche che troppo spesso contraddistinguono il nostro Paese non ci mettano lo zampino.
 

 
Dal sequestro del 2010 alla recente confisca
 
TRAPANI – Grande soddisfazione è stata espressa da tutti i soggetti coinvolti nell’operazione per la rilevanza dell’intervento ai danni del patrimonio di Nicastri, confiscato e dunque annesso al patrimonio dello Stato con grande rapidità.
Per meglio capire come si sono mossi i tutori della legge, approfondiamo ancora i contenuti del dispositivo della confisca ai danni delle proprietà dell’imprenditore alcamese. Come si legge nel documento firmato da presidente del Tribunale di Trapani, Roberto De Simone, “per ormai consolidata giurisprudenza le misure di prevenzione patrimoniali si applicano anche alle persone sottoposte a misure di prevenzione personale”. Accanto a esse, sequestro e confisca “possono essere applicati nei confronti di soggetti ritenuti socialmente pericolosi perché abitualmente dediti a traffici delittuosi o perché vivono abitualmente con i proventi di attività delittuose”. Il riferimento è al Dlgs 159/2011, che “consente espressamente l’applicabilità delle misure di prevenzione patrimoniali alle persone pericolose”.
Il “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione”, infatti, prevede, all’art. 24 come il Tribunale possa disporre “la confisca dei beni sequestrati di cui la persona nei cui confronti è instaurato il procedimento non possa giustificare la legittima provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito”. All’interno di tale ragionamento, infine, sono inclusi anche “i beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego”.
 

 
“Abbiamo tolto la benzina alla macchina Cosa nostra”
 
TRAPANI – L’operazione contro la criminalità organizzata più cospicua mai messa in atto in Italia, un intervento che ha segnato "un punto a favore dello Stato", capace di togliere "benzina alla macchina di Cosa Nostra, che dovrà per forza di cose rallentare". Con queste parole il direttore della Dia Arturo De Felice ha illustrato la maxi confisca di beni nei confronti di Vito Nicastri.
De Felice ha sottolineato come alla confisca si sia arrivati in "tempi relativamente brevi rispetto a quelli della burocrazia italiana", con ciò volendo mettere in evidenza "l’efficienza delle indagini della Dia". Indagini che hanno documentato i "contatti tra Nicastri ed esponenti delle istituzioni, che lo hanno agevolato nell’accesso ai finanziamenti regionali" (sui quali sono in corso ulteriori approfondimenti) e hanno consentito di accertare come l’imprenditore avesse la propria base finanziaria a Milano, da dove operava anche su società estere.
Quanto ai presunti rapporti tra Nicastri e il numero uno di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro, De Felice ha sottolineato come questi non siano stati "documentalmente accertati", sottolineando però come non ci si possa muovere in certi contesti e con determinati volumi d’affari “senza avere contatti o collegamenti" con certi personaggi. Infine, il direttore della Dia ha puntato i riflettori proprio sul maxilatitante: “Abbiamo le risorse – ha detto – e la volontà per andarlo a prendere. E speriamo di arrivarci prima possibile. Continueremo così, in silenzio e con attenzione".

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