Centri commerciali e venditori stranieri hanno fatto chiudere le attività storiche

CATANIA – Consumi e vendite sono attanagliate dalla crisi che stringe in una morsa tutte le attività commerciali tanto da costringerle a chiudere e ad esporre i lavoratori ad una grave disoccupazione. Per comprendere cosa sta veramente accadendo, sono state prese a campione differenti tipologie di attività di tre province della Sicilia Sud-orientale: Catania, Siracusa e Ragusa. Abbiamo raccolto le testimonianze di titolari di negozi di abbigliamento, di agenzie di viaggio, di strutture alberghiere e di attività di articoli di termoidraulica, ferramenta e tecnico-industriali che hanno denunciato come la spirale della crisi li stia ingoiando. C’è chi resiste a fatica, ma c’è chi chiude.
Molte sono le attività che, sia a Catania, a Ragusa e Siracusa, vantano di essere presenti sul territorio da diverse generazioni, eppure fino a qualche anno fa nessuno di loro avrebbe mai pensato di trovarsi in una situazione di annaspo. Parliamo per di più di attività che hanno sede nei centri più noti della città, nei centri storici dove un tempo il commercio era in progress. Adesso tutto sembra avvolto da un silenzio assordante e lo si può constatare dallo stato di desertificazione dovuto alla mancata affluenza nei negozi.
Cosa è accaduto dunque? Ci parla il titolare di un negozio di abbigliamento molto famoso a Catania la cui attività ha sede nella zona più “in”: corso Italia. Ci racconta: “Siamo presenti sul territorio di Catania da due generazioni, dal 1954, quando il fondatore dell’azienda di famiglia inaugurò la prima apertura del negozio di abbigliamento con annesso un grande laboratorio di creazioni e confezioni di abbigliamento uomo, donna e bambino, nella parte bassa della storica via Garibaldi, in prossimità del duomo. A distanza di 5 anni, nella stessa via, fu inaugurato un secondo punto vendita. Il laboratorio e i due punti vendita, dal ‘54 al ‘59, permisero di creare 15 posti di lavoro ai quali se ne aggiunsero altri 4 con l’apertura di un altro negozio, nel ’61, nella zona adiacente piazza Stesicoro.
 
Considerato il periodo florido e in crescita disponevamo di tre mezzi che giravano nelle fabbriche tessili dell’Italia settentrionale e della Sicilia. Furono 20 anni di benessere: le famiglie siciliane con i loro acquisti erano il volano della nostra attività. Ma adesso tutto è cambiato: viene voglia di depositare la licenza e chiudere la Partita Iva per via della eccessiva pressione fiscale. Sui capi invenduti, per esempio, siamo costretti a “ri-pagare” l’Iva sulla rimanenza. Un ulteriore danno è stato arrecato dall’avvento dei centri commerciali che hanno decentrato i clienti. E che dire degli orari di apertura e chiusura? Solo da pochi anni ci è consentito aprire anche nei giorni festivi ma senza particolare beneficio. La gente preferisce i centri commerciali, non tanto per acquistare, ma per girovagare e trattenersi nei vari punti di ristorazione. Per non parlare della rilevante comparsa dei commercianti asiatici che hanno invaso gli spazi della città.
 
La stagnazione economica e la continua perdita dei posti di lavoro non permettere di spendere. A questo punto abbiamo dovuto rimodulare l’assetto dell’azienda facendo delle scelte di campo: chiudere i due punti vendita storici riconvertili e spostarli nella parte opposta della città, una manovra che ci costa un affitto, su 180 mq, 6200 euro al mese e abbiamo dovuto licenziare il personale: dai 22 impiegati siamo passati a 4 impiegati.
 
Nel periodo degli sconti abbiamo registrato un calo pari al 40%”.
Situazione analoga nel settore del turismo: agenzie di viaggio a Ragusa e strutture alberghiere a 4 e 3 stelle a Siracusa e provincia soffrono di mancate prenotazioni: dal 2012 ad oggi tutto si limita al week-end e le agenzie si sono trasformate in biglietterie. A Siracusa e Noto il titolare di due strutture alberghiere (3 e 4 stelle) attive da 25 anni denuncia così la situazione critica: “Non abbiamo prenotazioni, ci aspettavamo un incremento pari al 70% come lo scorso anno nel weekend pasquale, ma i risultati reali sono drammatici. Abbiamo sfruttato la struttura per un 10%. Abbiamo dovuto ridurre il personale amministrativo e di reception, ridurre al 50% i camerieri di sala e del 10% il personale addetto alle cucine. Penalizzati da un turismo mordi e fuggi, non abbiamo ricevuto un aiuto concreto da pacchetti di offerte promozionali. Il colpo di grazia lo avremo a luglio con un sovraccarico del 650% per le tasse (Tares)”.

“Dopo una solida attività senza lavoro a 45 anni”

CATANIA – Continua sotto l’Etna il dramma di chi ha dovuto chiudere l’attività. “La mia esperienza lavorativa nel campo degli articoli di termoidraulica, ferramenta ed articoli tecnici industriali in genere, ebbe inizio nel 1995 in un quartiere storico di Catania a forte vocazione commerciale. Per i primi sette anni ho lavorato a gonfie vele, ma con l’entrata in vigore della divisa monetaria europea, incominciarono i primi cali delle vendite. Recuperai, ma verso il 2008, qualcosa non andava più: le vendite calarono del 10%, e ciò deteriorò il mio equilibrio economico, non riuscivo a fare fronte alla spese tanto da orientarmi a dovere licenziare, non potendo più permettermi di ordinare grossi quantitativi di merce per rimanere competitivo sul mercato. Nel 2010, sono arrivato ad aver un calo pari a circa 60%, e per una Ditta non molto grande come la mia, era terrificante. Il momento più drammatico è stato causato da acquirenti di vecchia data che prendevano materiale in sospeso e mi lasciavano degli assegni che non mi consentivano di avere disponibilità. Inoltre si aggiunse, alla situazione ormai disastrosa, l’invasione della concorrenza sleale dei commercianti asiatici che, con la loro merce economica ma scadente, hanno impoverito quelli come me e molti altri colleghi con piccole attività, ma di riferimento. Alla fine del 2010 la decisione finale molto sofferta: sono stato costretto a chiudere l’attività con la conseguente cancellazione della Partita Iva e la consegna della licenza alla Camera di Commercio. Mi ritrovo così senza lavoro a 45 anni, indebitato, una casa di proprietà realizzata con i sacrifici di tanto lavoro, un mutuo ipotecario in corso e, con tre decreti ingiuntivi addossati sull’unica cosa di proprietà che mi era rimasta”.