Ciclo del cemento, business miliardario - QdS

Ciclo del cemento, business miliardario

Roberto Quartarone

Ciclo del cemento, business miliardario

mercoledì 24 Luglio 2013

Il rapporto Ecomafia di Legambiente ha tracciato la mappa delle infiltrazioni mafiose nel settore edile in Sicilia. Le indagini e i sequestri delle forze dell’ordine, dall’ospedale San Giovanni di Dio al porto di Trapani

PALERMO – La spettacolare demolizione dell’ecomostro di Realmonte, a due passi da Scala dei Turchi, è solo uno degli aspetti dell’abusivismo siciliano, uno dei pochi che ha un lieto fine (per l’ambiente e per l’intera provincia di Agrigento). Lo scorso maggio, l’assessorato regionale al Territorio ha tenuto un’audizione alla commissione Ambiente dell’Ars, in cui ha illustrato i numeri agghiaccianti del fenomeno in Sicilia: un abuso ogni sei abitanti, trenta ogni chilometro quadrato.
Il rapporto Ecomafia 2013 di Legambiente ne ha censiti vari che portano la firma di Cosa nostra ben impressa, grazie anche a un controllo totale della filiera del cemento e che ha permesso di vincere appalti pubblici milionari. Il problema, come sottolinea anche il rapporto di Transcrime (il centro interuniversitario di ricerca sulla criminalità transnazionale dell’Università Cattolica di Milano e dell’Università di Trento), è che “gli appalti pubblici favorirebbero le organizzazioni criminali nel controllo del territorio, in quanto queste, attraverso la gestione dei subappalti, sarebbero in grado di offrire o negare lavoro a determinate imprese, controllando di conseguenza alcuni settori dell’economia legale”. Una morsa che stringe e stritola gli onesti e che non riguarda, quindi, solo chi ha deciso di costruirsi la villetta a due passi dal mare o in una zona posta sotto vincolo paesaggistico.
L’esempio più eclatante emerso nel 2012 è quello dei due imprenditori edili a cui sono stati sequestrati 30 milioni di euro e che la procura di Trapani ritiene vicini al super boss Matteo Messina Denaro. Tra gli appalti finiti nelle indagini, anche quello della tappa della Louis Vuitton Cup a Trapani del 2004, e quindi i lavori del rifacimento del porto. A quell’epoca, Legambiente sottolineò “il rischio di leggi aggirate senza scrupoli a causa delle troppe deroghe previste dal sistema dei Grandi eventi”, secondo il rapporto. Altro appalto pubblico contestato è quello del 2008 sugli orti urbani di Agrigento: tutte le ditte avrebbero presentato la stessa offerta, formando di fatto un cartello, si sarebbe proceduto a un sorteggio poi vinto da una ditta che in realtà avrebbe permesso a un’altra di eseguire i lavori.
Anche la costruzione dell’ospedale San Giovanni di Dio, sempre ad Agrigento, sarebbe finita nella rete delle collusioni mafiose, dopo 20 anni di lavori e 38 milioni di euro spesi. Cemento depotenziato e carenze strutturali sono alla base delle indagini, imprenditori e tecnici sono alla sbarra perché, secondo le ultime perizie, c’è il rischio di crollo in caso di evento sismico superiore a 4,5 gradi della scala Richter. Queste perizie ribaltano quelle commissionate anche da Guido Bertolaso e Angelino Alfano, all’epoca rispettivamente capo della Protezione civile e ministro dell’Interno, e che hanno bloccato lo sgombero del nosocomio.
A Messina, le aziende edili, le abitazioni, i mezzi e i terreni di un imprenditore edile di Milazzo sono state sequestrate, per un totale di 25 milioni di euro, nell’ambito dell’inchiesta Gotha, suddivisa in più tranche, e che ha messo in risalto il ruolo dell’avvocato Rosario Pio Cattafi nella rete mafiosa della città e del versante tirrenico della provincia, ma collegata anche al clan Cappello di Catania.
Nel palermitano, gli esempi riportati da Legambiente riguardano tre esponenti della cosca di Villabate (Pa): il tribunale di Palermo ha sequestrato loro 12 milioni di euro di beni a novembre 2012. Il provvedimento segue quello di giugno a 2,5 milioni di sequestro e 18 di cooperative edili amministrazioni sospese, sempre in provincia di Palermo.
Un imprenditore di Palagonia (Ct), infine, si è visto sequestrare beni (quote societarie, imprese, terreni, fabbricati, mezzi e ovviamente liquidi) per sette milioni di euro. Il tutto legato a quel settore edile che il clan Santapaola usa per riciclare il denaro sporco

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