Morire per le emissioni, in Sicilia sono circa 800 le vittime all’anno - QdS

Morire per le emissioni, in Sicilia sono circa 800 le vittime all’anno

Rosario Battiato

Morire per le emissioni, in Sicilia sono circa 800 le vittime all’anno

lunedì 29 Luglio 2013

Nei giorni scorsi una stima dell’Agenzia ambientale europea (Aea) ha calcolato in 420 mila i decessi causati da inquinamento nei Paesi dell’Unione europea nel 2010. In Sicilia sono circa 800 l'anno. Ecco perché

PALERMO – Mobilità insostenibile, processi industriali ed energetici non ancora all’altezza della sostenibilità richiesta dall’Europa, assenza di un piano regionale dell’aria e di strumenti locali per la gestione del traffico, carattere di eccezionalità delle buone pratiche presenti sul territorio. Una miscela di fattori che innesca l’aggressione ai polmoni siciliani producendo concretamente vittime per patologie correlate all’apparato respiratorio. Questa situazione determina in Sicilia tra 7-800 morti all’anno e altre 8 mila persone colpite da malattie polmonari e cardiovascolari.
 
L’allarme inquinamento non è solo siciliano. Nei giorni scorsi una stima dell’Agenzia ambientale europea (Aea) ha calcolato in 420 mila i decessi causati da inquinamento nei Paesi dell’Unione europea nel 2010. I dati raccolti dicono che nell’anno in esame il 44% delle stazioni di rilevamento, posizionate sulle strade maggiormente trafficate d’Europa, ha registrato il superamento dei limiti legali del diossido di azoto per buona parte dell’anno e lo stesso andamento è stato verificato per le polveri sottili, che sono risultate fuori controllo nel 33% delle centraline di rilevazione.
 
Se negli anni passati si è sempre dubitato della correlazione causale tra emissioni fuori controllo e patologie, nei giorni scorsi è arrivato un ulteriore capitolo scientifico che è andato ad ampliare la già vasta bibliografia in materia. Una ricerca europea realizzata da Escape, pubblicata su Lancet Oncology (http://www.thelancet.com/journals/lanonc/article/PIIS1470-2045(13)702791/fulltext#article_upsell), e condotta su 300 mila persone, ha stabilito che i cittadini che vivono nelle città con i maggiori superamenti in termini di emissioni corrono più rischi per la propria salute. Per ogni incremento di 10 microgrammi di pm10 per metro cubo (le polveri microscopiche da 10 millesimi di millimetro costituite da polvere, fumo e microgocce di sostanze liquide) il rischio di tumore aumenta del 22%. Il campionamento che ha coinvolto 9 Paesi (tra cui l’Italia) è stato condotto per 13 anni in diverse città europee e ha dimostrato che l’incidenza dei tumori sarebbe correlata all’inquinamento atmosferico (in particolare Pm10 e Pm2.5) a sua volta derivato, in particolar modo, dai processi elettrici e della raffinazione, dalle attività industriali, dal traffico automobilistico. Nel 2010 in Italia si sono verificati 32 mila nuovi casi di tumore al polmone.
 
Notizie che in Sicilia destano ancora più allarme del solito data la situazione legata ai processi industriali e al trasporto insostenibile. In tal senso ci sono diverse stime sull’incidenza dell’inquinamento atmosferico nell’Isola e sulle sue drammatiche conseguenze e pur senza avere la certezza del millesimo i numeri sono comunque evidenti. Una prima stima condotta sulla base dei dati nazionali dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) decreta almeno 700 morti all’anno nell’Isola per malattie correlate all’inquinamento urbano, anche se il calcolo dell’Associazione italiana leucemie, diffuso durante un convegno palermitano di gennaio scorso, arriva a quota 800. Inoltre ci sarebbero altri 8 mila casi di persone colpite da malattie polmonari e cardiovascolari.
 
Dal 1990, anno dell’ultima rilevazione del Catasto Enea, al 2011, rilevazione operata dall’Outlook di monitoraggio ambientale Pears 2012, in Sicilia le emissioni sono andate in discesa di oltre 10 mila kt (kilotonnellate). Si è infatti passati da cinquantamila kt a poco più di 37 mila kt. A incidere sono stati i settori notoriamente più inquinanti come le raffinerie (-7 mila kt), le centrali elettriche (-3 mila kt), e l’industria (-1,5 mila kt). Il miglioramento del comportamento ambientale del comparto energetico-industriale dell’Isola non deve trarre in inganno. Certamente hanno contribuito le nuove regolamentazioni regionali e nazionali (ad esempio le autorizzazioni di competenza regionale, L. 55/2002, L. 239/2004, etc, e statale D.lgs 152/2006), ma a incidere è stata anche la crisi che ha nettamente ridimensionato settori un tempo prosperi e altamente emissivi. In ogni caso la riduzione non basta, perché resta ancora tanto lavoro da compiere.
 
A ricordarcelo ci ha pensato il meccanismo europeo dei certificati di emissione (ETS), introdotto all’inizio del 2005, e attuato secondo il sistema “cap and trade”. In altri termini esiste un tetto massimo al livello totale delle emissioni (basato sugli indici internazionali), ma che consente ai partecipanti di acquistare e vendere quote secondo le loro necessità all’interno di un certo limite. In altri termini le imprese possono scambiarsi in un vero e proprio mercato delle emissioni le porzioni delle concessioni di anidride carbonica (CO2 ) e altri gas a effetto serra. Nel 2012 in Sicilia si sono ridotte le emissioni totali di CO2 ma i limiti sono stati sforati del 5,8%. Lo ha rivelato EcoWay, primo operatore italiano attivo nella gestione e nel trading della commodity CO2, sulla base dei dati 2012 delle emissioni di gas serra delle aziende italiane.
Gli impianti industriali della Sicilia sono stati in calo (-9% da 22.450 nel 2011 a 20.431 migliaia di tonnellate di CO2 nel 2012), eppure hanno superato del 5,8% i limiti di CO2 imposti dall’Unione Europea, mentre il dato nazionale ha registrato una flessione del 15%. La Sicilia, assieme alla Sardegna, resta l’unica regione ad aver continuato a produrre dall’entrata in vigore del sistema ETS ad oggi più emissioni rispetto alle allocazioni gratuite imposte da Bruxelles.
Complessivamente l’Isola resta la terza regione italiana per emissioni di gas a effetto serra con una porzione pari all’11,4% sul totale delle emissioni nazionali. Il dettaglio del sistema emissivo isolano “premia” il settore industriale (48,3% delle emissioni totali), poi gli impianti di combustione (44,3%) e i cementifici al 7%. A superare i pacchetti europei sono gli impianti di combustione e metallurgia, mentre la crisi ha strozzato tutto il resto come il comparto “cementifici” che ha registrato un decremento del 44,4%.
 
 
Da Palermo a Catania, gli sforamenti nei comuni

PALERMO – L’inquinamento atmosferico va monitorato per legge. I valori degli inquinati vengono studiati e analizzati da Legambiente nel report annuale Mal’aria di città (l’ultimo è stato presentato nel gennaio 2013) attraverso i dati aggiornati in tempo reale sulle centraline di monitoraggio di tipo urbano in 95 città (corrispondente all’86,3% dei capoluoghi di provincia). Tra gli assenti ci sono tutti i comuni capoluogo di provincia della Sicilia ad eccezione di Palermo e Catania.
Manca all’appello Siracusa che lo scorso anno, all’interno del dossier Ecosistema Urbano 2012, rientrava tra i capoluoghi peggiori con “un valore medio annuo superiore al limite per la protezione della salute umana di 40 ?g/mc previsto dalla direttiva comunitaria” e recepito in Italia col D.Lgs. 155/2010. Il dato aretuseo aveva raggiunto la media di 43,7 ?g/mc di superamento, piazzandosi al quarto posto assoluto d’Italia.


Gli ultimi dati diffusi dall’associazione del Cigno (2011) – per legge i superamenti non possono andare oltre a 35 giorni/anno con concentrazioni superiori a 50 ?g/m3 – registrano i risultati di Palermo (centralina Di Blasi, 55 superamenti) tra le quaranta realtà fuori legge del panorama nazionale.
Risultati ben più preoccupanti si leggono sull’ultimo dossier Arpa Sicilia sui dati ambientali. I superamenti sono diversi. Nel 2011 il biossido di zolfo ha fatto registrare 30 superamenti del valore limite orario di 350 ?g/m3 nella stazione Agip Mineraria di Gela. Sul fronte del pm10 superamenti registrati ad Augusta, Priolo e Melilli.
 
Da non sottovalutare nemmenol’ozono che ha una concentrazione dipendente dai fattori metereoclimatici e legata ai processi produttivi e all’inquinamento da traffico. Superamenti del valore limite per la protezione della salute umana sono stati rilevati nelle stazioni di Enna, Boccadifalco e Melilli.
 
La mobilità insostenibile che appesantisce la Sicilia

PALERMO – I trasporti non sono da sottovalutare nel panorama emissivo regionale di CO2. Stando ai dati diffusi dal gruppo di monitoraggio del Pears il settore è passato da 6,5 mila kt (1990) a 9 mila. Dopo le centrali elettriche (10 mila kt) il comparto dei trasporti è il primo regionale e l’unico ad aver mantenuto uno standard emissivo praticamente immutato dal 2008 al 2011.
I risultati sono in perfetta linea con quanto rivelano gli ultimi dati che fanno riferimento al parco automobilistico regionale.
 
Secondo un’elaborazione di Federpneus (Associazione Nazionale Rivenditori Specialisti di Pneumatici) su dati Aci, in Italia circolano 34,6 milioni di automobili a benzina o gasolio su un totale di poco più di 37 milioni. Sono appena 2,5 milioni le auto ecologiche, cioè alimentate a metano, gpl o elettriche. Ad avere la porzione più elevata di auto “verdi” c’è l’Emilia Romagna (15,55%), seguita dalle Marche (14,09%) e dal Veneto (9,08%).
 
In Sicilia, invece, sfiora il 97% la percentuale di automobili che fino all’inizio del 2012 era alimentata a benzina o a gasolio. Il resto, quindi poco più del 3% contro una media nazionale che è il doppio, è costituito da auto ecologiche. La mobilità resta insostenibile anche sul fronte del trasporto pubblico locale. Nell’Isola non solo esiste una delle medie più basse di utilizzo dei mezzi pubblici, ma anche i bus, in ogni caso, sarebbero lontani dal fornire buone performance ambientali. La Sicilia, assieme alla Sardegna, vanta il parco veicolare più vecchio con una età media di 13 anni.
 
Nell’Isola, stando ai dati diffusi nel 2012 dalla Fondazione Caracciolo in uno studio realizzato in collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria dei Trasporti dell’Università Federico II di Napoli, ci sono 3.539 autobus con età media pari a 13 anni esatti. Un dato che è superiore a sette anni rispetto al dato medio che si è registrato in Valle d’Aosta e nel Lazio, e comunque superiore di tre anni alla media nazionale. 

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