Social network e produttività sul lavoro vantaggi e svantaggi dell’era globale - QdS

Social network e produttività sul lavoro vantaggi e svantaggi dell’era globale

Antonio Leo

Social network e produttività sul lavoro vantaggi e svantaggi dell’era globale

martedì 13 Agosto 2013

Da nemmeno un decennio sono online e già fanno parte delle nostre vite, influenzando le nostri azioni e il nostro stile di vita. Davide Bennato (Università di Catania): “Alcune categorie di lavoratori possono trarne vantaggi”

PALERMO – Qualcuno deve aver diffamato i social network perché, senza che avessero fatto nulla di male, una mattina vennero arrestati. Parafrasando Kafka, annunciamo che Twitter, Facebook, Instagram, Google plus e compagnia cantante sono sul banco degli imputati. Una fantomatica corte internazionale li accusa di fare stragi di menti serie, attente, brillanti.
 
Sono “Armi di distrazione di massa”, urla qualcuno dal fondo dell’Aula di giustizia dove i social sono stati trascinati nottetempo. Arrivano i capi d’imputazione: 650 miliardi di dollari statunitensi bruciano, ogni anno, a causa dei suddetti media digitali. Un direttore d’azienda è lapidario: “Bisogna chiuderli”.
Tom Standage, di fronte a cotanto livore, si alza in difesa dei nostri profili digitali. Fermi tutti, è già successo. Dalle colonne del “The New York Times” – di cui Repubblica ha riportato l’integrale traduzione – ci racconta come, già alla fine del Seicento, i Caffè venivano additati quali luoghi per scansafatiche e perdigiorno. Le coffeehouse erano dei punti di ritrovo, dove intellettuali, commercianti, uomini facoltosi e gente umile si riunivano per sorseggiare insieme la bevanda del “Nuovo mondo” e discutere dei più svariati argomenti. Dalla letteratura fino alle dicerie e pettegolezzi. Soprattutto erano luoghi “interclassisti”, dove non di rado capitava che l’avvocato scambiasse opinioni con il manovale. In molti li bollarono come un segno del declino dei tempi, “la rovina di tanti giovani gentiluomini e mercanti seri e di belle speranze”.
Quello che allora come oggi si sottovalutava era il valore prodotto dalla condivisione, dallo scambio di idee, progetti, pensieri. Standage, a tal proposito, ricorda come i caffè erano “crocevia di creatività perché facilitavano la mescolanza delle persone e delle idee”. Alcuni di essi, addirittura, si sono poi evoluti in delle vere e proprie istituzioni. “Il Jonathan’s… diventò poi la Borsa di Londra”, “il caffè di Edward Lloyd… diventò il famoso mercato di assicurazione Lloyd’s”.
In un certo senso, è quello che è successo a Facebook: da una semplice community universitaria è diventato il più vasto e popolare social network del mondo. Un universo digitale molto utile a chi fa lavori intellettuali: in primis certamente i giornalisti, che non di rado riportano “tweet” e “post” di politici o personaggi pubblici nei loro articoli. Ma il “networking” moltiplicato cento dai social diventa una ghiotta opportunità anche per gli imprenditori: per esempio, tante sono le startup che nel reticolato di profili e argomenti trovano nuovi spunti di riflessione, occasioni – pensate all’amico che pubblica la notizia di un bando da milioni di euro per l’imprenditoria giovanile – o addirittura collaboratori. Ancora, non va nemmeno sottovalutata la possibilità di “mobilità lavorativa” derivante da alcuni network di settore come Linkedin, dove ciascun lavoratore diventa promotore di se stesso.
Scrive, inoltre, Standage che “uno studio pubblicato nel 2012 dalla società di consulenza Mckinsey & Company ha scoperto che l’utilizzo dei social network all’interno delle aziende ha incrementato del 20-25% la produttività dei ‘lavoratori della conoscenza’”.
In conclusione, è difficile dire se i social abbiano migliorato o peggiorato la vita degli individui e le performance di un’impresa. Molto dipendente dall’uso che ciascuno di noi ne fa. Ma gli spettri agitati dai loro detrattori sembrano esagerati. Per quanto ci riguarda, gli imputati sono assolti.

Abbiamo chiesto a un esperto cosa ne pensa dell’impatto dei social network nella società odierna. Davide Bennato, docente di Sociologia dei media digitali all’Università di Catania, ci racconta cosa ha dedotto attraverso i suoi studi.
Professore Bennato, ma è vero che Facebook, Twitter e gli altri social network minano la produttività delle aziende? O è l’ennesimo ostracismo verso le novità?
“Secondo gli studi più recenti e la mia personale esperienza, non è corretto additare i social media come causa del calo di produttività. Tutto dipende dalla nostra rete di contatti. Mi spiego. Se la nostra rete di contatti oltre ad usare i social network per chiacchierare li usa anche per lavorare, spesso condividono materiali che possono essere utili spunti di discussione anche in ambito lavorativo. Per questo i lavoratori della conoscenza – ricercatori, giornalisti, marketer – possono trarre vantaggi dai social network”.
Si potrebbe obiettare, per esempio, che i social hanno permesso di allargare il raggio delle informazioni a soggetti che prima ne erano esclusi. Quanto è importante la condivisione delle idee nella società odierna?
“La condivisione delle idee è un prerequisito fondamentale della società della conoscenza perché è alla base della crescita scientifica della società. I social media non solo aumentano la circolazione delle idee ma anche la creatività collettiva e individuale. Inoltre non bisogna dimenticare la possibilità di accedere a fonti informative e di documentazione che prime erano disponibili solo al pubblico degli specialisti e precluse al grande pubblico”.
Si può parlare di distrazione positiva anche per quei lavoratori che non svolgono lavori meramente intellettuali?
“Il vantaggio è meno evidente per i lavoratori in generale, ma ricordiamo che i social network hanno modificato l’abitudine della pausa caffè per scambiare quattro chiacchiere con i colleghi, diventando argomento di discussione. I luoghi di lavoro non sono solo spazi di produzione ma anche spazi di socializzazione e rispetto a questo aspetto i social media svolgono un ruolo utilissimo”.

Antonio Leo
Twitter: @tonibandini

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