Di questi 89 veterinari, solo quattro sono in servizio nel Distretto sanitario di Palermo-Villabate su una popolazione di 675.518 abitanti, così come otto tecnici della prevenzione sui 23 in organico, rispetto ai cinque veterinari in servizio a Siracusa, la cui popolazione ammonta a 118.644 abitanti. Solo a Palermo e Villabate è presente uno dei due mercati ittici suddiviso in nove aree, dieci aziende di lavorazione del pesce di cui una di medie dimensioni, 94 pescherie registrate e venti ambulanti autorizzati, senza contare quelli abusivi che si calcola siano quattro volte quelli ufficiali.
Si tratta, in pratica, di un lavoro immenso. Eppure i veterinari nell’intera provincia hanno portato al controllo del 100% delle aziende bovine e ovine, al 121% degli allevamenti suini (alcuni allevamenti sono stati controllati due volte), il 34% delle imprese alimentari (524 su 1.530) superando in questo caso 25% previsto dagli obiettivi.
La carne del tonno è particolarmente ricca di amminoacidi necessari alla formazione dell’istamina, la cui genesi parte dai batteri gram negativi subito dopo la morte del pesce. Questo processo non si ferma e l’istamina prodotta non può essere facilmente distrutta dal calore. L’unico modo per bloccare il processo è l’eviscerazione e la conservazione del tonno e affini con una temperatura sotto agli 11°.
Come è possibile, dunque, che controlli tanto stretti non abbiano evitato l’esplosione, alla fine del maggio scorso di un così gran numero di casi? Le cause partono da lontano, esattamente dai divieti dell’Unione europea sulla pesca del tonno rosso, il cui calo negli anni passati era stato sovrastimato. Le quote dei tonni autorizzati per ogni Paese interessato furono basate sulla quantità pescata fino a quel momento. In seguito, ogni Stato avrebbe diviso la sua quota per le marinerie che avessero dichiarato la quantità di tonno pescato. Molti pescatori, però, si erano guardati bene dal farlo, cosicché in Sicilia furono autorizzate le marinerie di Marsala e Catania, più Trapani e Mazzara del Vallo in misura minore. Queste più altre misure hanno permesso al tonno rosso di crescere fino a cinque volte oltre il numero previsto nel 2013.
PALERMO – Sulla questione sicurezza, che investe inevitabilmente la vita dei cittadini, coinvolgendo i cibi che quotidianamente essi ritrovano sulle loro tavole, abbiamo sentito il direttore del Dipartimento Prevenzione veterinaria dell’Asp 6 di Palermo, Paolo Giambruno
Non è possibile realizzare controlli chimico-biologici su campioni in via preventiva?
“No, perché se non c’è una specifica richiesta o un fondato sospetto, queste analisi si rivelerebbero costose e inutili. Si analizzano dei campioni secondo un piano di ricerca nazionale di contaminanti, ma solo su alcuni prodotti indicati dal Ministero della Salute. Se dovessero esserci casi sospetti di contaminanti non individuati, allora s’intensificano i controlli per il contaminante chimico o biologico”.
Nel caso dei tonni rossi, che cosa è accaduto?
“Normalmente, nei periodi più caldi, accadono casi sporadici di avvelenamento da istamina per la cattiva conservazione del pesce fatta dal consumatore. Quest’anno, invece, i casi di avvelenamento sono avvenuti in giornate non molto calde, perché il pesce era già conservato male, cosa che ha permesso lo sviluppo dell’istamina. Quest’anno la pesca è stata molto abbondante, perciò i pesci catturati illegalmente o oltre la quota prevista sono stati lasciati in mare con una temperatura intorno ai 18° per poi essere portati a riva, un po’ per volta, oltre le 24 ore. Questa situazione ha interessato decine di tonni che sono stati smaltiti in tutta la città e ciò spiegherebbe i numerosi casi di avvelenamento diffusi in ogni parte di Palermo. La prevenzione, in realtà, non può essere affidata ai controlli fatti in pescheria, perché sono a campione. Perciò essa va fatta in mare e i pescherecci vanno controllati, anche perché non tutti i natanti sono idonei alla cattura dei tonni”.
PALERMO – Filippo Giglio, direttore della Divisione tecnica del Cada (Chimica applicata depurazione acque) Snc, spiega il funzionamento del sistema a tutela della salute del consumatore italiano. “Il nostro – dice – almeno in astratto, è certamente uno dei Paesi più ligi e scrupolosi nel formulare leggi e regolamenti tesi a garantire il singolo utilizzatore finale di uno specifico prodotto o servizio. Nel merito, è sufficiente citare il consolidato atteggiamento del Legislatore nazionale nell’indicare condizioni di potenziale massima tutela attraverso l’imposizione di limiti molto restrittivi alle specifiche leggi di derivazione comunitaria o internazionale. Ciò si traduce, in concreto, nella certa impossibilità di quantificare, con la necessaria esattezza, la singola sostanza per attestarne la conformità alla legge, con conseguenze negative anche in termini di ingiustificati contenziosi giudiziari a carico dei soggetti obbligati. È più rischioso, in Italia, porre in essere comportamenti criminosi a danno del ‘bene ambiente’, piuttosto che produrre e commercializzare un ‘alimento non conforme’ o addirittura ‘dannoso per la salute’ dei consumatori”.
“Bisogna tendere a inserire un obbligo di controllo delle varie partite di alimenti immesse sul mercato anche di livello regionale a tutela delle significative tipicità alimentari, peraltro in linea con le vigenti norme nazionali e comunitarie. In aggiunta alle esistenti fasi di autocontrollo dei cicli di produzione, si dovrebbe attivare, inoltre, un controllo dei prodotti finiti immessi sul mercato anche a cura di laboratori privati riconosciuti, purché in grado di svolgere un servizio pubblico di supporto”.