Siria: export coke siciliano azzerato. Da 339 milioni di € a 0 in soli 2 anni - QdS

Siria: export coke siciliano azzerato. Da 339 milioni di € a 0 in soli 2 anni

Gianluca Di Maita

Siria: export coke siciliano azzerato. Da 339 milioni di € a 0 in soli 2 anni

giovedì 12 Settembre 2013

Embarghi, relazioni commerciali lacerate e instabilità economica: ecco le ripercussioni della primavera araba sull’economia. Dal 2011, quando è scoppiata la guerra civile a Damasco, sono crollate tutte le esportazioni dell’Isola

PALERMO – Il 15 marzo 2011 inizia la guerra civile siriana: da allora l’Unione Europea ha emanato un embargo che ha in pratica dimezzato il transito quotidiano di petrolio, e molti altri prodotti. Due anni di guerra civile, senza essere cinici pallottolieri, significa interruzione di un ciclo produttivo stabile, difficoltà nel mantenere relazioni commerciali e soprattutto crescita del mercato nero.
 
L’Italia, in qualità di paese guida del Mediterraneo è stato da sempre un partner privilegiato del regime siriano: secondo le statistiche del commercio estero fornite dall’Istat, nel 2010 l’interscambio economico si aggirava sui due miliardi, mentre il nostro Paese esportava per oltre 1 miliardo. In tutto questo la Sicilia ne ha risentito, eccome.
 
La Siria è un Paese con un economia fondata soprattutto su apparati industriali forti, ma caratterizzati da una bassa presenza di petrolio nel territorio. La nostra Regione nel 2010 esportava in Siria Coke e prodotti petroliferi raffinati per oltre 339milioni di euro (il 61% dell’intero export di coke nazionale in Siria). Due anni dopo l’export di questo prodotto è crollato miseramente a zero, tagliando quasi il 99% delle esportazioni generali della nostra Regione.
 
Ad oggi l’esportazione siciliana in Siria è composta prevalentemente da sostanze e prodotti chimici, mezzi di trasporto e macchinari vari: il tutto sfiora i 554mila euro. Per quanto riguarda l’export nazionale questo, dal miliardo di euro del 2010, è sceso a 244 milioni nel 2012. Ciò che quindi appare chiaro è che l’Europa e l’Italia ha la necessità di rivedere la politica economica e commerciale nell’area del Mediterraneo.
 
Con l’inizio della primavera araba il quadro delle relazioni internazionali è profondamente mutato. Tuttavia attraverso i dati export si può notare che lì dove la situazione politica si è venuta a stabilizzare i rapporti commerciali si sono ricostituiti. Prendendo ad esempio la Libia, si può notare che l’anno prima della guerra civile del 2011 l’export italiano contava oltre 2 miliardi euro. Nel 2011 è sceso a 610milioni per poi risalire nel 2012 ai valori del 2010.
Ritornando alla Sicilia, quel che preme sottolineare è quello che già mesi fa il Qds, analizzando i primi dati trimestrali dell’export, aveva denunciato: l’economia siciliana non si può fondare solo sulla raffinazione del petrolio (nel 2012, 9 dei 13 miliardi di euro di esportazioni siciliani sono state rappresentate dal Coke e da prodotti petroliferi). Questo per due ordini di motivi. Il primo è costituito dalle royalties.
 
La Regione, trattiene infatti solo il 10% del ricavato del raffinato petrolifero, gran parte dei soldi dell’export di Coke va quindi nelle altre regioni dove le aziende hanno la sede legale. Il secondo motivo è rappresentato dal fatto che quando scoppiano delle guerre in paesi partners, la prima cosa che viene bloccata è la fornitura delle materie energetiche. In un quadro di integrazione europea, la politica commerciale comune è di competenza esclusiva dell’Ue. Ciò comporta il fatto che non si possono continuare a intrattenere rapporti commerciali quando l’Unione ha preso una direzione contraria.
La Sicilia, considerata ai tempi dei romani il “granaio d’Italia”, vede oggi scendere in maniera continua l’export dei prodotti agricoli. In Siria, per esempio, questa voce non c’è mai stata. Basta dire che in tutto il mondo la Sicilia esporta merci agricole per lo stesso valore dei prodotti petroliferi esportati nel 2010 nella sola Siria.

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