Rifiuti deodorizzati e depolverizzati prima di essere impiegati come combustibile - QdS

Rifiuti deodorizzati e depolverizzati prima di essere impiegati come combustibile

Andrea Salomone

Rifiuti deodorizzati e depolverizzati prima di essere impiegati come combustibile

venerdì 04 Ottobre 2013

Sicurezza garantita: le fasi del processo costantemente monitorati con telecamere a infrarossi

LONDRA – In questa puntata della nostra rubrica-inchiesta del venerdì sulle centrali per il trattamento dei rifiuti solidi urbani (Rsu) inizieremo ad analizzare alcune cause di un fenomeno molto importante di cui, però, in Italia non si sente parlare affatto spesso. Lo spunto di questa riflessione ci è stato dato da Andy Pike, il direttore della centrale di Londra Belvedere che abbiamo intervistato tre mesi fa.
Come potete vedere nel terzo spezzone della nostra intervista (alla quale potere accedere direttamente dal codice a barre in pagina), il direttore ci ha spiegato che la centrale è dotata di un sistema di deodorazione e depolverizzazione, che abbassa il livello di polvere e odore nel bunker dove vengono immagazzinati i rifiuti in attesa di essere impiegati come combustibile. Ci sono condutture primarie nella parte superiore del bunker che portano costantemente via l’aria e l’odore dei rifiuti per utilizzarli come aria primaria per alimentare le linee di combustione.
In questo modo, l’intero bunker dei rifiuti e la sala dove vengono scaricati si trovano in un ambiente di cosiddetta pressione negativa, che porta a non avere odori attorno all’impianto proprio perché essi vengono immessi e consumati nelle tre unità di combustione.
L’impianto è dotato di camere a infrarossi che consentono di monitorare le macchie di calore esistenti all’interno della massa di rifiuti e permettono di evitare la nascita di un incendio all’interno del bunker. Quando la temperatura in una certa area arriva a circa 50 °C scatta l’allarme e quando essa raggiunge i 55 °C entra in gioco un sistema di sicurezza che attiva gettiti d’acqua nelle chiazze più calde. È per questa ragione che i rifiuti vengono mischiati e omogeneizzati costantemente.
L’operatore che manovra la gru a tenaglia guarda costantemente i pannelli posti accanto alla sua postazione, in modo da sapere quali rifiuti vanno mischiati e quali vanno immessi nelle camere di combustione. La scelta di non automatizzare questo processo e di servirsi di un operatore è stata dettata proprio dal fatto che un malfunzionamento di questo sistema potrebbe mettere in pericolo la vita della centrale e di chi ci lavora.
In questo modo, quindi, con la tecnologia a disposizione e il costante monitoraggio dei rifiuti, la nascita e lo sviluppo di un incendio all’interno del bunker dei rifiuti diventa impossibile.
Il concetto chiave fornitoci dal direttore della centrale è stato quello di “combustione latente” (smouldering effect). Concetto poco conosciuto, tuttavia molto importante, perché consente di capire una delle ragioni della nascita degli incendi nelle discariche. Avvenimento tutt’altro che raro, di cui ne abbiamo avuto l’ennesima testimonianza poco più di un mese fa con l’incendio avvenuto nella discarica siciliana di Bellolampo (Palermo), sul quale aveva giustamente richiamato l’attenzione l’onorevole Giuseppe Vatinno del gruppo Alleanza per l’Italia (APL) già l’anno scorso nel suo intervento alla camera del 7 agosto 2012.
A spiegare le cause scatenanti di questo fenomeno è Patrick Foss-Smith, consulente ingegneristico ambientale britannico specializzato in discariche e incendi sotterranei, autore di un articolo intitolato “comprendere gli incendi in discarica” (“understanding landfill fires”) pubblicato sul sito www.waste-management-world.com.
L’articolo in questione fa capire quanto questo fenomeno sia ricorrente. Nel 2011 negli Stati Uniti d’America gli incendi nelle discariche sono arrivati a circa 8.300 all’anno e nel Regno Unito attorno a 300 all’anno (Dati US Fire Administration 2001).
In Italia purtroppo non esiste un rapporto che parla degli incendi nelle discariche, della frequenza di questi episodi e delle loro possibili cause. E troppo spesso la questione non viene messa in relazione al fenomeno degli incendi estivi in Sicilia nei campi pieni di sterpaglie secche e non curate, materiale organico del tutto inutile e inutilizzato che potrebbe essere usato proficuamente come combustibile per produrre energia a costo zero e a bassissimo impatto ambientale.
Gli effetti degli incendi li conosciamo già. Oltre a mettere in pericolo vite umane e animali, essi possono avere conseguenze gravi sull’ambiente per via delle emissioni dei gas grezzi prodotti dal processo di combustione. È per tutte queste ragioni che si impone fortemente la necessità di comprendere la misteriosa natura degli incendi nelle discariche.
(27. Continua. Le precedenti puntate sono state pubblicate il 22 febbraio, l’1, 12, 15, 22, 29 marzo, il 5, 12, 19 aprile, 3, 10, 16, 24 maggio, il 7 giugno, il 5, 12, 19, 26 luglio, 2, 9, 23, 30 agosto e 6, 13, 20 e 27 settembre. La prossima pubblicazione è prevista venerdì 11 ottobre).
 

“Gli incendi nelle discariche possono causare danni maggiori del disastro Exxon-Valdez”

LONDRA – Secondo Foss-Smith “gli incendi nelle discariche variano in scala, dai minori scoppi nella superficie fino ad enormi conflagrazioni di gomme che potrebbero causare incidenti ambientali potenzialmente maggiori rispetto alla perdita di petrolio della superpetroliera Exxon Valdez avvenuta nel 1989 in un’insenatura del golfo di Alaska. In termini umani, le incontrollate emissioni atmosferiche provenienti da questi incendi, che spesso continuano per anni, sono potenzialmente letali, con ben provati impatti acuti e cronici sulla salute. E recenti discariche sono molto largamente composte da combustibili come plastica e materiali tessili, che mantengono il loro valore calorifero virtualmente in eterno”.
Per gli incendi di superficie il meccanismo è sempre lo stesso: una fonte di calore di qualche tipo entra in contatto con la superficie, per esempio depositi di rifiuti caldi, fulmini o incendi dolosi.

Per incendi profondamente radicati (sotto i 4,5 metri) i meccanismi di avvio sono, invece, piuttosto differenti. Gli incendi appiccati in maniera accidentale normalmente hanno luogo per due ragioni. Una di queste è la combustione spontanea: la decomposizione biologica o ossidazione chimica di una fonte di calore sotterrata può produrre un innalzamento nella temperatura, processo noto come "runaway termico", ossia di "temperatura fuori controllo". Ci sono stati casi in cui si è scoperto che questo fenomeno è stato provocato da un mucchio di batterie ad ossido di mercurio andate in corto circuito perché entrate in contatto con abiti vecchi di cotone imbevuti di colore con scaglie di alluminio durante l’assestamento finale della discarica. Esistono poi accelleranti della combustione come le bottiglie di drink alcolici distillati che contribuiscono in maniera consistente alla degenerazione dell’incendio. Ad ogni modo pare che meno del 5% degli incendi siano appiccati da combustione spontanea.
L’altra principale ragione della nascita degli incendi è, invece, l’involontario sotterramento di una fonte di calore nella massa di rifiuti interrata in discarica, che da vita ad un processo noto col nome di "combustione latente" ("smouldering").
L’autore dell’articolo sostiene che un incendio in una discarica delle Hawaii era iniziato da un albero di palma che era stato tolto da un falò (US Fire Administration) e per spiegare meglio il fenomeno parla degli Indiani Cherokee, che a quanto pare avrebbero imparato a preservare il fuoco sotterrando tronchi nella sabbia e riportandoli in vita nei giorni successivi.
Questa proprietà del fuoco, comunque, era conosciuta già da Aristotele (384 a.C. – 322 a.C.), che ne parla nel suo scritto "Della giovinezza e della vecchiaia" (420a5-19) spiegando le caratteristiche del calore naturale.

Rsu bruciati? Da Terzo mondo

LONDRA – Foss-Smith cita anche gli incendi appiccati volontariamente per ridurre la massa di rifiuti e risparmiare spazio, a proposito dei quali sostiene: "Questo genere d’incendi sono ancora comuni nel terzo mondo. Questa pratica, però, è rischiosa in quanto tali siti sono spesso collocati all’interno di brevi distanze dalle aree residenziali popolate che possono essere danneggiate dalle emissioni atmosferiche".
Una descrizione più che eloquente, che ci fa pensare ad una Sicilia molto vicina ai paesi del Terzo mondo. Non possiamo dimenticare, infatti, come fino a due mesi fa i cittadini palermitani bruciavano i rifiuti abbandonati sulle strade proprio perché ormai esausti di vedersi invasi da montagne di rifiuti scaccia-clienti lasciate sulle strade dall’Amia, un vero e proprio pugno nell’occhio e nel naso a chi passava per alcune strade della città.
Tutti problemi che le centrali Rsu possono risolvere, risparmiando spazio, producendo energia in maniera sicura e controllata, e utilizzando quanto ormai è divenuto inutilizzabile perché non separato a monte.

 

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