Procreazione assistita, legge 40 alla resa dei conti - QdS

Procreazione assistita, legge 40 alla resa dei conti

Patrizia Penna

Procreazione assistita, legge 40 alla resa dei conti

mercoledì 29 Gennaio 2014

Sollevati da più tribunali dubbi sulla legittimità costituzionale del “no” all’eterologa e alla diagnosi preimpianto. È attesa per l’8 aprile la pronuncia della Corte costituzionale

ROMA – Torna a far parlare di sé la legge 40 sulla procreazione assistita. Ad oggi, i tribunali di tutta Italia, tra cui anche quello di Catania, hanno trattato la suddetta legge quasi trenta volte, sollevando a più riprese la questione della legittimità costituzionale e rinviandola alla Consulta. Attorno alla legge 40 che, come ha detto Claudio Giorlandino, segretario della Società Italiana di Diagnosi Prenatale e Medicina Materno Fetale, è stata nel corso degli anni “smontata dal buon senso”, ormai ci sono più dubbi che punti fermi. Ad essere messi ripetutamente in discussione sono i cosiddetti “capisaldi etici” della normativa che riguardano fondamentalmente due questioni: il “no” all’eterologa e alla diagnosi preimpianto.
 
La fecondazione eterologa è una tecnica che consente alle coppie sterili di poter procreare utilizzando materiale genetico di un terzo soggetto. A sostegno di tale divieto ci sarebbero precise motivazioni legate ai rischi di una commercializzazione del materiale genetico o delle cosiddette parentele atipiche. Se però da un lato il divieto all’eterologa risponde, come sottolineato dall’Associazione Scienza&Vita, “a precise e fondate esigenze di tutela dei bambini, della coppia, della famiglia e della società”, dall’altro il Tribunale di Firenze non ha mancato di sottolineare, a fronte del ricorso presentato da una coppia sterile di Trento, che il divieto in questione contrasta palesemente con l’articolo 3 della nostra Costituzione (“Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge”), perché comporta una discriminazione delle coppie con gravi patologie di infertilità, la cui unica speranza di gravidanza è rappresentata dall’utilizzo di materiale genetico di un soggetto al di fuori della coppia stessa.
In questi giorni, è finita di nuovo nell’occhio del ciclone l’altra questione spinosa che ruota attorno alla tanto discussa legge, ovvero quella legata al divieto dell’indagine diagnostica preimpianto. Alla prima sezione civile del Tribunale di Roma si sono rivolti Angelo Calandrini e Filomena Gallo. Quest’ultima, portatrice sana di distrofia muscolare Becker (malattia genetica ereditata dal padre) si è vista negare dal Centro per la tutela della Salute della donna e del bambino “Sant’Anna” sia l’accesso alla procreazione assistita sia la diagnosi preimpianto. Il Tribunale di Roma ha così deciso di sollevare la questione di costituzionalità sul divieto per le coppie fertili di accedere alla procreazione assistita e alla diagnosi preimpianto, anche se portatrici di malattie trasmissibili geneticamente.
 
Nel 2012, la Corte Europea di Strasburgo aveva condannato l’Italia per violazione di due articoli della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo sottolineando la profonda contraddizione rappresentata dal fatto che se da un lato l’indagine diagnostica preimpianto è vietata alle coppie fertili ma portatrici di malattie geneticamente trasmissibili, dall’altro esiste la possibilità dell’aborto terapeutico del feto che presenta mutazioni genetiche, garantito dalla legge 194. La pronuncia della Corte Costituzionale su eterologa e diagnosi preimpianto è attesa per l’8 aprile, e potrebbe rappresentare una svolta epocale.
 
L’urgenza di una “revisione” della legge 40, tuttavia, non scaturisce solamente dai numerosi ricorsi presentati e dalle pronunce dei tribunali ma anche e soprattutto dalla consapevolezza che quello dell’infertilità è un problema ancora forse troppo spesso sottovalutato, una sorta di male oscuro e silenzioso con cui è costretto a fare i conti un numero sempre maggiore di coppie, giovani e meno giovani.
 
La Relazione al Parlamento sulla PMA diffusa a giugno del 2012 dal Ministero della Salute, ha rivelato che non solo sono in aumento i nati da fecondazione in vitro (sono il 2,2% dei nuovi nati) ma anche che “uno degli aspetti che caratterizza l’attuale situazione riproduttiva in Italia è l’alto tasso di infertilità”. La Sicilia, dove sono in aumento le coppie costrette a ricorrere alla fecondazione assistita, “patisce” rispetto al Nord la netta preponderanza dei centri privati (29) rispetto a quelli pubblici (7): ciò comporta un esborso economico notevole per le coppie isolane o, in alternativa, la scelta “obbligata” di rivolgersi ai centri pubblici del nord, anche in quel caso sostenendo costi elevati legati agli aspetti logistici.

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