Le Pa non pagano imprese soffocate - QdS

Le Pa non pagano imprese soffocate

Carlo Alberto Tregua

Le Pa non pagano imprese soffocate

venerdì 07 Febbraio 2014

Ue, apertura infrazione

La Polonia è lo Stato dell’Est che ha adottato una politica economica e sociale tale da evitare alla sua popolazione la recessione. Infatti, in questi sei anni (2008/2013) il Pil è cresciuto continuamente, perché quello Stato ha fatto meglio di tutti.
Leszek Balcerowicz, il padre di tutte le privatizzazioni, ha preparato il terreno per l’attrazione degli investimenti stranieri. La manodopera si è qualificata sempre di più, ma un dipendente percepisce ancora 700/800 euro al mese. Tuttavia il costo della vita è proporzionato, e quindi si sta bene.
C’è da aggiungere che la Borsa è ben funzionante e ha attratto giganti dell’elettronica, dell’automobile e dell’aeronautica, il che ha permesso di far diminuire fortemente la disoccupazione. Da aggiungere che il Cuneo fiscale è notevolmente basso, non oltre il 40%, mentre in Italia è del 120%.
Ecco alcune attrattive di quello Stato, per cui molte aziende vi investono e insediano i propri apparati produttivi.

La Polonia ha utilizzato al massimo i fondi di coesione europei, cofinanziando i quali sono state costruite tante infrastrutture moderne ed efficienti. Tutto ciò indipendentemente dai Governi di destra e di sinistra che si sono alternati, in qualche caso anche alleati con gli ex comunisti. Tutti hanno sempre favorito la concorrenza e le liberalizzazioni.
L’attuale primo ministro, Donald Tusk, presiede un governo di centrodestra. Anche là, però, la Giustizia è lenta e la Pubblica amministrazione inefficiente, perché vi è un eccesso di burocrazia. La solita storia di una dirigenza corporativa che cerca vantaggi per sé a danno della collettività.
Perché vi raccontiamo della Polonia? Perché non c’è bisogno di andare a guardare i soliti partner europei come esempio, esso ci può venire anche da un partner minore che funziona bene e fa crescere la propria collettività.
In Italia, l’irresponsabilità del ceto politico di questi vent’anni, per non richiamare il passato, e del ceto burocratico, con la massima responsabilità della dirigenza, ha peggiorato fortemente la recessione, con la conseguenza che l’obbligo di rimettere in equilibrio i conti pubblici ha soffocato l’economia, perché governi e maggioranze non hanno fatto il loro dovere.

 
Qual era questo dovere? Tagliare la spesa pubblica senza riguardo per alcuno: quella parte improduttiva che negli anni ha avvantaggiato le categorie privilegiate e che avrebbe dovuto essere redistribuita sotto forma di investimenti a coloro capaci di farli fruttare.
La responsabilità dei ceti politico e burocratico non ha avuto limiti. Tanto che ormai, l’Unione europea apre, o minaccia di aprire, procedure d’infrazione una dopo l’altra. Dalle carceri alla concorrenza, dalle frodi ai debiti verso le imprese.
Proprio sui debiti delle Pa, il vice presidente della Commissione Antonio Tajani, anche se ormai in scadenza, sta facendo aprire l’ennesima procedura d’infrazione contro l’Italia perché non ha ottemperato alla direttiva 7/11, recepita con il Decreto legislativo 192/2012, in vigore dal primo gennaio 2013, di pagare le fatture per forniture entro trenta giorni, termine estensibile al massimo a sessanta.
I debiti di tutte le Pubbliche amministrazioni, non ancora pagati, sono stimati in quasi 100 miliardi, ammontare che manca nelle casse delle imprese, che si sono dovute indebitare con il sistema bancario per sopperire alla mancanza di liquidità.

Ma i piccoli imprenditori, che non avevano capacità di credito, sono stati costretti a ricorrere agli usurai e in qualche caso, non avendo alcuna via d’uscita, si sono suicidati.
Se la procedura d’infrazione Ue sarà aperta, cosa che dovrebbe avvenire entro febbraio, sull’Italia pioverà una multa di 600/700 mila euro al giorno, un’ulteriore mazzata sui conti pubblici e una responsabilità ancora più evidente dei dirigenti che non pagano e delle amministrazioni statale, regionali e comunali, che continuano a privilegiare la spesa improduttiva, lo stipendificio, il consulentificio e altri canali di favori, piuttosto che fare il proprio dovere, che è quello di saldare le fatture.
In questo quadro, vi è iniquità fra i dipendenti pubblici, pagati regolarmente qualunque cosa accada, e quelli privati delle imprese che, non ricevendo gli incassi previsti, non possono pagare gli stipendi.
Finché vi sarà tale iniquità questo non potrà essere chiamato un Paese civile.
 

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