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Documentario sulla mafia, produttore cambia regista: il motivo sembra un film

redazione

Documentario sulla mafia, produttore cambia regista: il motivo sembra un film

martedì 25 Febbraio 2014

La pellicola "Trent'anni di mafia ad Agrigento", dedicato al pm Nino Di Matteo, non sarà ultimato da Mario Musotto. Il produttore ha deciso di cambiarlo dopo aver appreso della sua condanna a sei anni in primo grado per "sequestro di persona"

Il film “Trent’anni di mafia ad Agrigento”, dedicato al pm Nino Di Matteo e ai magistrati della Dda di Palermo, sarà ultimato da un altro regista. Filippo Alessi, dell’associazione ”Campo di note”, produttore della pellicola, infatti, apprendendo "con rammarico la notizia della condanna inflitta in primo grado dal Tribunale di Palermo al regista Mario Musotto che ha collaborato alla realizzazione del documentario", ha deciso di affidarlo a un’altra persona ancora da individuare.
 
Un thriller.
 
Quando la realtà supera la fantasia, alcune storie sembrano film. Quella ideata dal regista cinematografico Mario Musotto è una trama a tinte fosche, ancora più inquietante perché vera. Ha messo in scena la più imponente delle sue finzioni: un programma di protezione che doveva "coprire" dalle insidie e dalle ritorsioni mafiose un’intera famiglia, finita suo malgrado in questa fiction reale.
 
Come ogni giallo che si rispetti, il finale è tragico. Musotto è stato condannato dal giudice monocratico a sei anni per sequestro di persona. Assieme a lui anche Alfredo Silvano, condannato a quattro anni, e la moglie Daniela Todaro, a cui sono stati inflitti tre anni. Musotto è autore di documentari sui temi della lotta a Cosa Nostra, e l’ultimo film dedicato al pm Nino Di Matteo, "Trent’anni di mafia ad Agrigento", sarà presentato a maggio in Canada e a New York e Los Angeles.
 
Per ragioni ancora ignote, per due anni, dal 2004 al 2006, Musotto, socio di Vincenzo Balli in una società di vendita on line di spettacoli, la Word Ticket, ha fatto credere a Balli e alla moglie, Patrizia Trovato di essere finiti, insieme alla figlia di tre anni, nel mirino della mafia. Un’esistenza sotto scacco dovuta al precedente lavoro di Musotto.
 
Il regista ha detto al socio che tutto risaliva al periodo in cui era carabiniere e catturava latitanti. I Balli sarebbero stati coinvolti nelle minacce di morte da parte di Cosa nostra perché avevano più volte ospitato e aiutato Musotto. Con la complicità di Silvano e della Todaro, Musotto, secondo il giudice, ha messo in scena un vero e proprio thriller scandito dalle mail, quotidiane e puntuali, di sedicenti carabinieri che impartivano ordini ai Balli sui movimenti da poter effettuare, imponendo anche trasferte in località "top secret".
 
Dopo circa due anni di intimidazioni (croci davanti casa, incendio dell’auto), di macchine che passavano vicino casa con il lampeggiante acceso, rumori che li svegliavano durante la notte, Balli si insospettisce e cerca il maresciallo Quarta (così si firmava il falso carabiniere nelle mail) e trova quello vero che mette a verbale le dichiarazioni dei due coniugi e incastra Musotto.
 
Alla fine il regista ha ammesso di avere organizzato la messinscena ma ha detto che era d’accordo con Balli (anche se all’insaputa della moglie) per sfuggire ai creditori in seguito a una serie di difficoltà finanziarie della società. Ma dei presunti debiti sono stati trovati solo 15 mila euro, prestati a Musotto da un impresario.
 
"E’ stato un vero incubo – ha raccontato Balli – So che può sembrare assurdo, ma in quel momento il pericolo ci sembrava reale. Ogni nostro movimento era pianificato e le nostre conversazioni in casa venivano intercettate. Per fortuna ora tutto e finito e la verità è venuta a galla".

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