Blue Economy, almeno qui la Sicilia non teme nessuna crisi - QdS

Blue Economy, almeno qui la Sicilia non teme nessuna crisi

Rosario Battiato

Blue Economy, almeno qui la Sicilia non teme nessuna crisi

giovedì 08 Maggio 2014

L’Isola è la terza regione d’Italia per valore aggiunto: 3,9 miliardi che derivano dall’economia del mare. La sorpresa positiva dai numeri di Unioncamere, anche se non mancano problemi

PALERMO – Il mare è una grande risorsa di Sicilia. Lo rivela l’ultimo rapporto di Uniocamere sulla blue economy, cioè le attività economiche legate al mondo del mare e al suo sfruttamento sostenibile. Per l’Isola, che detiene una delle più vaste superfici costiere d’Italia, si tratta di un comparto in continua crescita e che, in prospettiva, offre grandi potenzialità.
Il 30 aprile scorso, nell’ambito degli Stati generali delle Camere di commercio dedicati al settore, Unioncamere ha presentato il terzo rapporto sul volto blu dell’economia nazionale. “L’economia del mare – ha spiegato il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello – è una risorsa che genera ricchezza, occupazione e innovazione secondo un modello collaborativo e sostenibile. Il mare unisce settori e tradizioni diverse in un tessuto imprenditoriale diffuso che può essere una leva straordinaria per il rilancio dell’Italia”.
I numeri dicono che nel periodo 2009-2013, quindi in piena crisi, l’economia del mare ha dato segni importanti di tenuta, sia sotto il profilo occupazionale sia sotto quello imprenditoriale. “Sul fronte del lavoro, – si legge in una nota – il comparto si è addirittura mosso in controtendenza rispetto al resto dell’economia: a fronte della perdita totale nel periodo di 691.200 posti di lavoro (-2,9%), l’economia del mare ha fatto segnare un incremento stimato di 24.300 unità (+3,1%), con un notevole impulso derivante dalle attività di ricerca e tutela ambientale assieme alla componente turistica”.
 
Tra il 2011 e il 2013 il tessuto imprenditoriale è cresciuto di 3.500 unità (+2% contro il -0,9% del resto dell’economia) producendo un valore aggiunto pari a 41,5 miliardi di euro, un dato che si triplica se si considera anche l’indotto. La distribuzione delle quote per settore assegna una parte significativa (il 31% del totale, corrispondente a quasi 13 miliardi), alla cantieristica e ai trasporti di merci e persone (incidenza tra il 14 e il 17% ciascuno, tra i 6 e i 7 miliardi), seguiti dalla filiera ittica e dell’industria estrattiva marina (intorno al 6-7% ciascuno, pari a 2-3 miliardi). Più di un terzo (oltre 15 miliardi di euro), si riferisce alle attività legate al turismo marino, mentre l’ultima porzione si assegna al cosiddetto “terziario avanzato” – rappresentato dalla ricerca, regolamentazione e tutela ambientale – che contribuisce a quasi un quinto della ricchezza prodotta complessivamente dal sistema economico legato al mare (18%, più di 7 miliardi di euro).
La distribuzione regionale premia la Sicilia: la forte connotazione marina delle regioni meridionali concentra l’economia del mare prevalentemente nel Centro-Sud (60% del valore aggiunto e 64% in termini di occupati), grazie soprattutto alla centralità che assume in alcune regioni come il Lazio, la Sicilia, la Campania e la Puglia che insieme coprono circa il 40% del valore aggiunto dell’economia marina nazionale e il 43% degli occupati generati dal comparto. L’Isola è la terza regione d’Italia per valore aggiunto, 3,8 miliardi, pari al 9,4% del totale nazionale con 96 mila occupati, e oltre 20 mila aziende del settore (4,4% sul totale delle imprese regionali) con un fatturato complessivo da 10,2 miliardi. Tra le città più attive per occupazione spicca Trapani, al sesto posto nazionale con oltre 13 mila occupati.

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