Senza il Commissario la Regione sarebbe già fallita - QdS

Senza il Commissario la Regione sarebbe già fallita

Lucia Russo

Senza il Commissario la Regione sarebbe già fallita

venerdì 23 Maggio 2014

Se il controllo preventivo viene meno. Delegittimando il Commissario, le leggi verrebbero esaminate dal Consiglio dei ministri, come nelle altre Regioni, solo dopo la loro pubblicazione. Ha bocciato deroghe al concorso pubblico, violazioni di direttive Ue, sanatorie, appalti senza gare

A contare le voci del buco delle casse della Regione di 22 miliardi – pubblicato a fianco -, di cui un miliardo dall’ultimo mutuo deliberato con legge regionale 11/2014, viene il freddo a pensare come dovrebbero fare i siciliani senza il Commissario dello Stato che in questi anni ha impedito miliardi di spesa clientelare e in violazione dei fondamentali principi costituzionali, tra cui in particolare quelli del buon andamento e impazialità della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e della copertura delle uscite (art. 81 Cost.).
Il “Quotidiano di Sicilia” ha contato 59 punti bocciati della legge di stabilità 2014 del governo Crocetta, così come trenta bocciature della legge di stabilità 2013, per parlare del governo in carica. Clamoroso il governo Lombardo che arrivò a 84 bocciature della finanziaria 2012. I motivi più o meno sempre gli stessi: proroga di contratti a tempo determinato, arbitrarie esenzioni di imposte o regimi preferenziali, violazione di direttive comunitarie tanto da mettere l’Italia a rischio di procedura d’infrazione, affidamenti di appalti senza gare, sanatorie, deroghe ingiustificate alla regola del concorso pubblico, per fare un esempio.
Il Commissario dello Stato esercita il controllo di legittimità dei disegni di legge approvati dall’Assemblea Regionale Siciliana, in applicazione dell’art.28 dello Statuto Speciale.
Nell’esercizio di tale competenza:
– analizza i disegni di legge depositati all’Assemblea regionale siciliana e ne segue l’iter parlamentare sino alla avvenuta approvazione definitiva;
– propone ricorso alla Corte Costituzionale avverso le leggi che vengono approvate dall’Assemblea:
a) nelle materie di competenza legislativa esclusiva della Regione, in caso di violazione di norme costituzionali e statutarie e di principi generali dell’ordinamento giuridico e di leggi nazionali di riforma economico-sociale;
b) nelle materie di competenza legislativa concorrente con quella dello Stato, anche per contrasto con i principi contenuti nelle "leggi quadro" statali;
– informa l’Amministrazione centrale dello Stato sui provvedimenti legislativi adottati dalla Regione e dà notizia dell’avvenuta pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana.
E’ giusto che i cittadini sappiano che con l’ordinanza della Corte Costituzionale n. 114/2014 (relatore il palermitano Mattarella) si è, di fatto, intrapreso un percorso che va ad erodere i poteri del Commissariato dello Stato per la Regione Siciliana determinando, di conseguenza, un controllo diretto del Governo centrale a discapito dell’Autonomia e soprattutto dopo che è stata pubblicata la legge regionale. Ciò significa che nel momento in cui la legge dovesse essere impugnata successivamente (e sappiamo quanto sono lunghi gli iter burocratici) si dovrebbero poi magari dopo vari mesi, annullare gli effetti giuridici prodotti annullando contratti e togliendo le mensilità già percepite con effetti devastanti a livello sociale sulle persone a cui si è dato il “contentino” per fini elettorali e devastanti a livello economico per la Regione Siciliana già indebitata fino al collo.
E’ da sottolineare, altresì, che, come facilmente dimostrabile, vi è sempre stato, specie negli ultimi anni, un confronto costruttivo tra Ars/Regione ed Ufficio del Commissariato dello Stato, comportamento che va a tutela e nel pieno rispetto delle prerogative dello Statuto Speciale.
Il Commissario dello Stato ha rappresentato e rappresenta un baluardo della legalità in Sicilia, un avamposto dello Stato che svolge una funzione utile al fine di vigilare e garantire la stessa Assemblea Regionale Siciliana che, come da proprio ordine del giorno del novembre 2001, si era espressa favorevolmente in merito all’applicazione dell’art. 28 dello Statuto Speciale e pertanto al mantenimento del sistema di controllo preventivo delle leggi regionali fortemente caratterizzante dell’Autonomia della Regione, anche dopo la riforma del Titolo V della Costituzione.
Chi è che vuole che, dietro una paventata maggiore autonomia della Regione Siciliana, si impedisca il controllo preventivo di legittimità in una terra che, per cambiare e garantire il lavoro ai giovani dovrebbe impostare ogni azione ed ogni comportamento proprio sulla legalità e sul merito? In una terra in cui le imprese chiudono perchè la Regione non paga i debiti con i fornitori.
L’abolizione della figura ma soprattutto delle funzioni del Commissario dello Stato comporterebbe danni devastanti sia a livello economico sia a livello sociale; infatti se dopo l’ordinanza della Consulta, dovesse essere emessa una sentenza che la confermasse, il futuro della Sicilia sarebbe un indebitamento maggiore o il default. Evidentemente bisogna eliminare in Sicilia chi può garantire la legalità. Evidentemente è questa la Sicilia che vogliamo lasciare ai nostri figli.

La Corte costituzionale contraddice se stessa sollevando la questione di legittimità costituzionale

L’otto maggio scorso la Corte Costituzionale ha notificato al Commissariato dello Stato per la Regione Siciliana la propria Ordinanza n.114/2014 relativa ad un ricorso dello scorso dicembre, con il quale il Commissario dello Stato impugnava un articolo della delibera approvata dall’Assemblea regionale siciliana recante “Disposizioni finanziarie urgenti per l’anno 2013. Disposizioni varie”, in tema di proroga di contratti di lavoro a tempo determinato.

Al riguardo la Corte ha deciso di sospendere il giudizio “fino alla definizione della questione di legittimità costituzionale” che riguarda proprio il potere di impugnativa.
L’ordinanza in questione, infatti, rimanda ad una successiva sentenza che potrebbe stravolgere il sistema di controllo sui disegni di legge approvati dall’Assemblea regionale. Il controllo preventivo esercitato sulle leggi regionali ai sensi dell’art.28 dello Statuto Speciale verrebbe infatti meno e la Regione siciliana potrebbe doversi adeguare al sistema in vigore nelle altre Regioni dopo la riforma del Titolo V operata dalla L. Cost 3/2001 che prevede che le leggi vengano esaminate dal Consiglio dei ministri soltanto dopo la loro pubblicazione.
La questione di legittimità, infatti, è stata sollevata sull’art.31, c.2 della L.87/1953, come modificato dall’art.9 della L. 131/2003, che esclude dalla riforma del Titolo V sopra menzionata "la particolare forma di controllo delle leggi prevista dallo Statuto speciale della Regione Siciliana".
Con l’emananda sentenza, pertanto, i giudici si pronunceranno sulla questione di costituzionalità di una legge dello Stato non impugnata dalla Regione Siciliana in quanto confermava e faceva propria la volontà espressa dall’Assemblea Regionale che, all’indomani della citata riforma del Titolo V, con Ordine del giorno del novembre 2001, si era espressa favorevolmente in merito all’applicazione dell’art. 28 dello Statuto speciale e quindi al mantenimento del sistema di controllo preventivo delle leggi regionali, fortemente caratterizzante dell’autonomia della Regione.
Tale volontà era stata successivamente reiterata dall’Assemblea con l’approvazione di una Legge voto relativa alla modifica dello Statuto Speciale della Regione (ddl 580/03 recante “Disegno di Legge voto per la revisione dello Statuto Speciale della Regione Siciliana”) che aveva stabilito di conservare la figura del Commissario dello Stato ed il meccanismo di sindacato vigente sottolineando il ruolo di terzietà e di garanzia del sistema svolto dal suddetto istituto.
Il provvedimento, approvato dall’Ars nel marzo 2005 e trasmesso al Senato della Repubblica, pur avendo superato positivamente il vaglio della I Commissione Affari Costituzionali, non ha concluso il proprio iter in considerazione del parere contrario espresso dalla Commissione Bilancio relativamente ad alcuni profili di carattere finanziario riguardanti aspetti che nulla hanno a che vedere con l’argomento “Commissario dello Stato”.
La stessa Corte Costituzionale, invero, con sentenza 314/03, aveva già sancito la validità dei criteri dettati dalla suddetta legge 131/03, relativamente alla particolare forma di controllo delle leggi, riconoscendo che le condizioni di autonomia che caratterizzano la Regione Siciliana configurano un sistema essenzialmente diverso e non confrontabile rispetto a quello previsto per le altre Regioni. Oggi, con l’Ordinanza “de quo”, la Corte opera tale confronto in assenza di qualsiasi mutamento nel quadro costituzionale, reputando il regime generale e quindi il controllo successivo delle leggi maggiormente favorevole all’autonomia stessa.
Il mutamento di indirizzo, infatti, giunge in occasione del giudizio su un provvedimento legislativo, successivamente promulgato dal Presidente della Regione con omissione delle disposizioni censurate (L.R. n.21/2013), prassi questa che, secondo consolidata giurisprudenza, estingue il giudizio per cessata materia del contendere.
La questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte non apparirebbe, pertanto, a ben guardare, pregiudiziale per la decisione della controversia, posto che la controversia risulterebbe estinta.
Ci troviamo, quindi, di fronte ad uno stravolgimento della certezza del diritto costituzionale dove la riscrittura delle regole è operata dallo stesso arbitro istituzionalmente preposto a farle osservare. Peraltro, l’attuale orientamento dottrinario, non generalmente condiviso, si configura differentemente rispetto a quello espresso dalla Consulta relativamente alle competenze dell’Alta Corte, assorbite dalla stessa Corte Costituzionale in forza del principio generale dell’unità della giurisprudenza costituzionale.
Nel caso in oggetto, invece, la futura sentenza si sostituisce, di fatto, al legislatore che dovrebbe pronunciarsi sull’argomento nell’ambito dell’eventuale nuova revisione del Titolo V della Costituzione e non dà corso alla procedura collaborativa (coinvolgimento della Regione) prevista con legge costituzionale (L.Cost. 1/1999) per la revisione delle norme statutarie comportando, altresì, il superamento della natura intrinseca pattizia degli Statuti Speciali. La modifica di una legge costituzionale necessita, infatti, di una procedura democratica tra le parti politiche e non di una imposizione giurisprudenziale che soffoca la volontà popolare rappresentata dal Parlamento nazionale.
Talune osservazioni rappresentate nel presente appunto trovano riscontro anche nel dibattito costituzionale avviato sul sito www.giurcost.org (articolo del Prof. Antonio Ruggieri).

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