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Riforma del Senato, i giorni del confronto

redazione

Riforma del Senato, i giorni del confronto

martedì 01 Luglio 2014

Ieri pomeriggio partita la “maratona” in Commissione Affari costituzionali

ROMA – La maratona delle riforme ha avuto inizio ieri pomeriggio in commissione Affari Costituzionali al Senato. Sfiorano i 600 gli emendamenti e i subemendamenti presentati al ddl del Governo sulle riforme istituzionali. Le modifiche su cui c’è l’accordo di maggioranza sono contenute nei 20 emendamenti presentati dai relatori Anna Finocchiaro (Pd) e Roberto Calderoli (Lega), ma non è detto che non ci saranno sorprese o che quei contenuti vadano considerati scolpiti nella pietra.
 
I punti più delicati e contrastati del pacchetto sono l’immunità da assegnare ai componenti del nuovo Senato e, soprattutto, l’elettività o meno di questi, con una minoranza trasversale che agita e divide sia Pd che Fi. Ed è probabile che questi nodi non verranno subito al pettine, momentaneamente accantonati in attesa degli incontri, attesi in settimana, del premier Matteo Renzi con Forza Italia, Movimento5Stelle e parlamentari Pd. Incontri che nelle intenzioni del governo dovrebbero servire a sbloccare quella che tra i democratici si definisce “riforma epocale”, a trovare una sintesi con le opposizioni e a richiamare all’ordine i senatori dissidenti di casa Pd.
Oltre a Renzi, anche Silvio Berlusconi si prepara a riunire i suoi parlamentari. Giovedì è infatti previsto un incontro dell’ex premier con i deputati e i senatori di Forza Italia. Incontro dove Berlusconi spiegherà a tutti i parlamentari che non vogliono votare il testo Boschi, che a questo punto non ci sono alternative ad un voto favorevole. Anche perché, per dirla con le parole di Denis Verdini, “la verità è che Renzi le riforme le può fare anche senza di noi. Ho calcolato che gliele possono votare 180-190 senatori…”.
Sull’elezione diretta o meno dei senatori si concentrano i malumori più forti, sia all’interno del Pd che di Forza Italia. Un emendamento in tal senso, presentato tra gli altri dal democratico Vannino Chiti, ha raccolto le firme di 35 senatori, tra cui una ventina della maggioranza. “Il patto del Nazareno prevede una elezione di secondo grado – dice il capogruppo azzurro Paolo Romani – ma molti senatori, anche di Forza Italia, vedrebbero meglio l’elezione diretta e io stesso ho presentato un emendamento in questo senso perché è giusto rappresentare tutte le posizioni. Sarà l’Aula a decidere, ma è dalla maggioranza che dovrà partire la richiesta di elezione diretta”.
Altro punto caldo è quello dell’immunità sul quale pare, però, che le acque si siano un po’ calmate, almeno dopo l’incontro tra Forza Italia e il ministro Boschi. Lo scudo al Senato resta, ma di certo non uguale a quello dei deputati, come previsto nell’emendamento dei relatori Calderoli e Finocchiaro.
Buona parte delle modifiche proposte riguarda poi i numeri del nuovo Parlamento. Con una serie di emendamenti che mirano a “sforbiciare” anche Montecitorio, i cui numeri non erano stati toccati dal ddl del governo: si va dai 250 proposti degli ex grillini e da Sel, ai 400 suggeriti dal forzista Augusto Minzolini e dal popolare Mario Mauro, passando per i 315 (la metà di quelli attuali) indicati dal democratico Chiti.  Quanto al Senato – che secondo il testo base dell’esecutivo dovrebbe avere 100 membri – c’è chi suggerisce di eleggerne 150 (M5S), chi 200 (Mario Mauro), e chi vorrebbe aggiungere dieci eletti all’estero (l’alfaniano Azzollini). Ma in discussione non è solo il numero dei componenti del nuovo Senato, ma anche la composizione di questo con una moltitudine di soluzioni avanzate. Rimanendo nell’alveo della bozza governativa i nuovi senatori arriveranno dalle fila dei consiglieri regionali e dei sindaci, ma pur escludendo chi vorrebbe modificare questo punto, anche sulla ripartizione di questi sono diversi gli emendamenti presentati con chi vorrebbe più sindaci e meno consiglieri o viceversa.
Numerose anche le modifiche che riguardano l’elezione del Presidente della Repubblica, con alcune che riguardano la possibilità di alzare la maggioranza qualificata per l’elezione, in modo da evitare che sia appannaggio di chi ha vinto le elezioni.

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