Rendere inappetibile il pubblico impiego - QdS

Rendere inappetibile il pubblico impiego

Carlo Alberto Tregua

Rendere inappetibile il pubblico impiego

giovedì 03 Luglio 2014

I politici hanno fregato i precari

Non appena si mette a concorso un posto di qualunque tipo, in una qualunque Pubblica amministrazione, si presentano in migliaia. Si tratta di un’anomalia tutta italiana, perfettamente spiegabile.
Come sempre, le persone si muovono in base alla convenienza. Evidentemente, il posto pubblico ha una forte attrattiva perché conviene. Vediamo di individuarne le ragioni.
Chi entra in una Pubblica amministrazione ne esce solo da pensionato o con i piedi in avanti, perché mai nessuno lo licenzierà. La seconda ragione è che lo stipendio è un vitalizio, il lavoro si paga a parte. La terza riguarda l’appiattimento meritocratico, per cui chi lavora o non lavora, chi lavora bene o chi lavora male riceve lo stesso stipendio e lo riceve puntualmente ogni 27 del mese accreditato sul suo conto bancario o postale.
Poi vi sono altri benefici: il distacco sindacale, una media di trenta giorni l’anno di malattia – spesso inesistente – in addizione alle rituali ferie, un orario formale di 36 ore settimanali contro le 40 di ogni altro tipo di contratto, la concentrazione delle 6 ore giornaliere in un’unica sessione (per cui il pomeriggio si è liberi), l’usuale facoltà di entrare più tardi compensata da un’uscita anticipata. E così via elencando.

I dirigenti costituiscono il vertice delle Pubbliche amministrazioni. Dovrebbero sentire l’intera e gravosa responsabilità di far funzionare i servizi loro affidati, a qualunque livello. Ma questo non accade, salvo per quelli bravi e coscienziosi che lo fanno indipendentemente dall’osservanza delle regole.
Questo è il nocciolo della questione: le regole. Ci devono essere, devono essere efficienti, cioè capaci di produrre risultati che misurino il merito di chi dirige e di chi esegue.
La nazionale di calcio, dopo il clamoroso flop brasiliano, è tornata all’ovile bastonata. L’unico aspetto positivo è che Abete, presidente della Figc, e Prandelli, responsabile tecnico, hanno avuto la dignità di dimettersi irrevocabilmente.
Ecco, necessiterebbe nella Pubblica amministrazione, l’estensione e l’utilizzo continuo dell’istituto delle dimissioni. Ma quando cattivi dirigenti e dipendenti pubblici non avessero questa dignità, bisognerebbe che organismi indipendenti di valutazione li cacciassero fuori dai loro posti.
 

Tutti i privilegi del pubblico impiego costituiscono una forte attrattiva, come prima si scriveva. Bisognerebbe agire, per conseguenza, nel tagliare quest’attrattiva, rendendo inappetibile il pubblico impiego. Quasi che i bravi cittadini dovrebbero essere pregati di occupare quei posti.
Tutto ciò può avvenire solo se i servizi pubblici vengono messi in concorrenza con quelli privati, in modo che i cittadini possano preferire la parte che li soddisfi meglio.
Applicando questi meccanismi finirebbero i precari, che sono stati fregati dai politici con promesse di essere incardinati stabilmente, quando invece le Pubbliche amministrazioni scoppiavano di personale. è stimato che se 400/500 mila dipendenti pubblici venissero messi in cassa integrazione, sulla base dei Piani aziendali, i servizi non ne soffrirebbero.
I tagli dovrebbero riguardare gli apparati e non i servizi, togliendo dal lessico dei politicanti un argomento inutile: macelleria sociale.

Se tutte le Pubbliche amministrazioni si ponessero gli obiettivi da raggiungere e, in base all’efficienza e alla capacità di raggiungerli, si stabilisse quali dovrebbero essere i premi, si inserirebbe un criterio meritocratico in base a cui coloro che non dovessero raggiungere risultati sarebbero automaticamente cacciati via.
Ci possiamo girare attorno fino alla fine del secolo. Da questa situazione di stallo non si esce se non si ribalta il modo di funzionare nelle Pubbliche amministrazioni. Fino a quando in esse si annidano corruzione, privilegi, vantaggi impropri, non solo non funzioneranno, ma non funzionerà l’intero Paese, con la conseguenza che ne soffriranno i 10 milioni di cittadini poveri e quelli deboli. Questo è il dramma di una Pa inefficiente, egoista e strafottente.
La Classe dirigente, in un modo o nell’altro, trova come fare. Mentre la middle class e le fasce meno abbienti possono vivere in modo dignitoso se i servizi pubblici funzionano e, in primis, quello sanitario. Qui non si discute sulla professionalità di medici e infermieri, ma sulla vergogna che alcuni pessimi soggetti si trovino in posti di comando, con quello che ne consegue.

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