Prestiti, tre Pmi su cinque al Sud ne fanno richiesta per "sopravvivere" - QdS

Prestiti, tre Pmi su cinque al Sud ne fanno richiesta per “sopravvivere”

Serena Giovanna Grasso

Prestiti, tre Pmi su cinque al Sud ne fanno richiesta per “sopravvivere”

martedì 11 Novembre 2014

“Quinto osservatorio sul credito alla piccola impresa” di Fondazione impresa: solo al Nord la liquidità anche per nuovi investimenti. Il 59,1% dei richiedenti denuncia difficoltà, al 12,4% di questi l’accesso è stato negato

PALERMO – Perdurano i tempi duri per le imprese. La crisi continua a far sentire il suo peso insopportabile, specie alle entità più piccole, quelle aziende con meno di 20 addetti. E la situazione si complica sempre più man mano che ci si spinge verso il Sud.
È proprio nel Mezzogiorno, infatti, secondo i dati del “Quinto osservatorio sul credito alla piccola impresa” di Fondazione impresa, che le aziende sono costrette a rivolgersi agli istituti bancari per richiedere prestiti volti a sostenere l’attività economica intaccata profondamente dalla crisi ed integrare la mancanza di liquidità. La situazione predetta nel semestre aprile-settembre 2014 ha interessato mediamente 3 imprese su 5 (65,8%). Dunque, è evidente che le imprese del Sud e delle Isole non guardano al futuro, al contrario mirano a garantirsi la sopravvivenza e sussistenza quotidiana.
Al contrario, le realtà economiche settentrionali, quasi già con un piede fuori dalla crisi, sono maggiormente propense a richiedere prestiti il cui fine è la promozione di nuovi investimenti che permettano di cogliere per primi i prossimi segnali di ripresa: nel Nord-Ovest proprio il 28,7% dei finanziamenti è mosso da questa motivazione, nel Nord-Est il 26,2%, nel Mezzogiorno tale percentuale scende drasticamente al 19,7%. Affine a questa causale risulta essere la richiesta di prestiti per ampliare la propria attività ed acquisire nuovi immobili ed anche in questo caso è il Settentrione a ricercare l’innovazione (13,5% per il Nord-Est e 13,3% per il Nord-Ovest).
A complicare ulteriormente la situazione si aggiunge la variabile “difficoltà di accesso al credito” che nel Mezzogiorno appare quasi paralizzante. Infatti, rispetto a quella già esigua percentuale di aziende che richiedono un prestito (36,5%), risicata proprio perché l’idea del rifiuto scoraggia al punto tale da indurre l’azienda a non inoltrare richiesta, quasi il 60% delle unità imprenditoriali ha riscontrato difficoltà (59,1%). Con grande stupore rileviamo maggiori difficoltà nel Nord-Est (60,3%), ma questo primato riguarda solo degli intoppi procedimentali (richieste di garanzie eccessive, tempi lunghi) e non il tasso di rifiuti effettivi che proprio in quest’area si rileva più basso (7,3%). Al contrario, nel Sud e nelle Isole le difficoltà si compongono di un 12,4% di imprese il cui accesso al credito è nettamente precluso e di un 17,5% che ha riscontrato molte difficoltà, entrambi i valori più alti a livello nazionale. Le maggiori difficoltà ineriscono il settore del commercio (61,4%) che paradossalmente rappresenta anche il settore in cui le richieste sono più basse (34,3%).
Ma per quale motivo nel Mezzogiorno le richieste incontrano così tante difficoltà? Sicuramente perché gli istituti di credito, con l’intenzione di svolgere autotutela, richiedono un numero esorbitante di garanzie, molte più di quelle che le stesse imprese sono capaci di offrire (47,2% dei casi). Da non trascurare neppure i tempi troppo lunghi (25,7%) e gli elevati tassi di interesse (20,4%), ragioni queste che molto spesso inibiscono la richiesta da parte delle imprese.
Non ci rendiamo conto che così facendo si viene a costituire un sistema assai simile ad un circolo vizioso in cui le imprese non ricevono il finanziamento richiesto e di conseguenza sono destinate a soccombere (nel Mezzogiorno) o nel “migliore” dei casi a rinunciare allo sviluppo (nel Settentrione). A conferma di quanto finora affermato, concludiamo ricordando i dati recentemente diffusi da Unioncamere relativi al terzo trimestre dell’anno secondo cui in Sicilia si sono contati ben 157 fallimenti che si vanno a sommare ai 250 del trimestre precedente, con un’incidenza superiore al 15% rispetto alla media nazionale.

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