No all’immunità, tagliare i privilegi - QdS

No all’immunità, tagliare i privilegi

Carlo Alberto Tregua

No all’immunità, tagliare i privilegi

venerdì 16 Ottobre 2009

Deleterio il ritorno all’antico

Chissà perché in occasione della bocciatura del Lodo Alfano, dopo che era stato bocciato il Lodo Schifani nel 2004, si ritorna a parlare dell’immunità parlamentare, prevista dall’art. 68 della Costituzione e abrogata con la legge costituzionale n. 3 del 1993.
Nel periodo di Tangentopoli, l’art. 68 fu abrogato a furor di popolo perché dietro alla guarentigia costituzionale si erano nascoste schiere di parlamentari corrotti. È vero che anche oggi per arresto, perquisizioni e intercettazioni occorre l’autorizzazione del competente ramo del Parlamento, ma quantomeno le indagini possono andare avanti. Un freno alle tentazioni di chi dovesse aderire a corruzione.
Non è proprio il tempo di riparlare di immunità parlamentare, anche se vi sono rigurgiti interni trasversali per tentare il ripristino dell’articolo abrogato.

Piuttosto si pone il problema di tagliare altri privilegi dei massimi livelli istituzionali, come quelli di tutti gli ex, i quali continuano a usare aerei e treni della Repubblica, in qualche caso hanno auto di servizio anche sotto forma di scorta, personale dipendente, uffici, spese di elettricità e telefoniche, buvette, barbieri, parrucchieri e manicure. Il lungo elenco non si ferma qui.
Non si capisce perché debbano essere pagate indennità per il collaboratore del parlamentare (chiamato portaborse) senza che questi sia stato incardinato nel sistema amministrativo della Camera di appartenenza. O perché non vi sia il divieto che il collaboratore sia un parente del parlamentare.
Quando i cittadini leggono sui quotidiani e vedono nelle televisioni e nei libri inchieste sui privilegi dei parlamentari e in genere dei vertici istituzionali, politici e burocratici, non possono sopportare i duri sacrifici sotto forma di intollerabili imposte di ogni genere e soprattutto di totale insufficienza dei servizi pubblici per pagare i quali sono riscosse le imposte.

 
Come si sa, le risorse per alimentare il sistema pubblico diminuiscono sempre di più, per cui tutti gli amministratori a livello statale, regionale e locale sono costretti a potare la spesa corrente e, in primis, quella clientelare e l’altra per il personale eccedente.
Fra la spesa clientelare, nei primi posti, si trova quella relativa al pagamento di gettoni di presenza, emolumenti e compensi di comitati di ogni genere, anche se del tutto inutili, e di componenti di cda delle partecipate, pletorici e formati di norma da persone incompetenti, sol che siano stati fedeli a questo o a quell’uomo politico.
L’esercito dei componenti di comitati e di cda a tutti i livelli è un privilegio che va tagliato con l’accetta. Ora e non domani. Quegli amministratori che volessero proseguire in questa linea di sperperi, costringendo poi i cittadini a fare sacrifici, saranno spazzati via alle prossime elezioni, perché chi vota sente i morsi della restrizione o della diminuzione delle risorse.

Per andare in questa direzione è necessario un forte atto di resipiscenza da parte del ceto politico, perché è da esso che deve partire l’impulso di ripristinare all’interno di ogni branca amministrativa, in ogni ente, un processo virtuoso secondo il quale si può spendere solo ciò che occorre e neanche un euro di più.
Che cosa occorre? La risposta è semplice. Occorrono i costi per personale e gestione indicati inderogabilmente nel Piano industriale di ogni ente, di cui il bilancio preventivo è lo strumento tecnico di realizzazione. Senza il Piano industriale (o Pops, Piano organizzativo per la produzione dei servizi) e una pianta organica subordinata a esso – nella quale siano indicate tassativamente le figure professionali occorrenti alla realizzazione del Piano – non si può determinare il fabbisogno finanziario. 
Se ognuno dei 390 Comuni della Sicilia e la stessa Regione redigessero e adottassero il proprio Piano industriale, si verificherebbero enormi risparmi conseguenti al riequilibrio del loro conto finanziario.
Da questa responsabilità né sindaci né Presidente della Regione possono esimersi, sapendo che il consenso prossimo venturo è subordinato alla loro capacità di invertire a U l’attuale pernicioso percorso vizioso per imboccare quello virtuoso dell’efficienza e della produttività della spesa.

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