VII comandamento, non rubare scritto in italiano - QdS

VII comandamento, non rubare scritto in italiano

Carlo Alberto Tregua

VII comandamento, non rubare scritto in italiano

sabato 20 Dicembre 2014

Roberto Benigni, il dito nella piaga
 

Benigni ha illustrato in modo semplice, efficace e comprensibile il profondo senso dei Dieci Comandamenti, in due serate che hanno fatto il pieno di telespettatori: una dimostrazione chiarissima che gran parte degli italiani ha sensibilità e cultura.
Quando le spiegazioni sono esaurienti e semplici, c’è tanta gente disposta ad ascoltarle. E questo aiuta la crescita culturale di ogni cittadino e quindi il tasso di civiltà dell’intera Comunità.
Gli italiani sono un popolo perbene, anche se c’è una frangia non indifferente di furbi, di ladri e di delinquenti.
Però, la responsabilità oggettiva delle persone perbene è di non emarginare e isolare le persone permale. La conseguenza è che gli onesti, quando tacciono, diventano conniventi dei disonesti. In presenza di un reato penale o morale, ogni cittadino perbene ha il dovere di denunciarlo in modo forte e chiaro.

Il presidente dell’Anac (Autorità nazionale anticorruzione), Raffaele Cantone, in un convegno a Palermo, ha lanciato una proposta elementare, una terza forma di anticorpi che dovrebbe essere creata all’interno degli enti in modo da contrastare la corruzione compiuta da ogni singolo pubblico dipendente.
Dice Cantone che dovrebbe essere attivata una procedura che consenta a qualunque dipendente pubblico onesto di segnalare all’Anac casi di supposta corruzione, in modo da consentire un ampio monitoraggio che può essere attivato solo dal basso.
Insomma, un sistema analogo a quello dei collaboratori di giustizia, che ha consentito di assestare colpi mortali alle criminalità organizzate.
Per contrastare le stesse sono state costituite moltissime associazioni antiracket. Per contrastare la corruzione dentro gli Enti pubblici occorrerebbe che i sindacati si facessero  promotori della costituzione di associazioni anticorruzione. Dirigenti e dipendenti pubblici, che non firmassero il Codice etico delle stesse, dimostrerebbero due cose: essere corrotti o essere menefreghisti.
Dice Cantone che bisognerebbe premiare chi fa le denunce da un canto e, dall’altro, mantenere una rigorosa protezione e riservatezza sui loro nomi. Chi denuncia non è delatore, ma un cittadino che fa il proprio dovere.
 

Settimo, non rubare. Dice Benigni, scherzando ma non troppo, che il Padreterno ha detto a Mosé di scriverlo in italiano, quasi prevedesse che dopo decine di secoli il Comandamento fosse appropriato al nostro Paese.
L’Italia, in materia di trasparenza, è relegata al 69° posto nell’apposita classifica di Trasparency international. è proprio questa opacità alla base della corruzione.
Ancora non è stata attuata da tutti gli Enti pubblici italiani, statali, regionali, locali e loro partecipate, la legge Monti (n. 190/2012) come punto finale di altre leggi, a cominciare dalla numero 241 del 1990, succeduta dalla Legge regionale 10/1991.
Il guaio è che tutte le leggi sulla trasparenza non sono mai state attivate perché il ceto politico e quello burocratico non ne avevano la convenienza. Com’è noto, l’opacità tutela gli interessi privati a scapito di quelli generali e consente la circolazione di mazzette a go go.
Come corruzione può essere tranquillamente annoverato il voto di scambio, cioè la richiesta del voto politico in cambio della concessione di un favore. 

Settimo, non rubare. Benigni lo ha illustrato in lungo e in largo. Il rubare non è solo quando un delinquente punta il coltello alla gola di un cittadino per sottrargli il portafoglio, ma anche quando indegni dipendenti pubblici, imprenditori e professionisti, si mettono d’accordo per togliere risorse alla Cosa pubblica, provenienti da gravosissime imposte, che gli onesti pagano tutto l’anno. Proprio in queste settimane ben 44 mld passano dalle tasche dei contribuenti alle onnivore tesorerie di Stato, Regioni e Comuni.
La corruzione si contrasta anche, lo abbiamo scritto più volte, creando Nuclei investigativi interni, formati da dirigenti integerrimi, a caccia di tutte le anomalie che precedono gli atti disonesti.
Occorre creare conflitti di interessi fra chi corrompe o è corrotto e gli onesti. Questi ultimi debbono avere dei vantaggi morali nel denunziare i primi. E questi vantaggi devono consistere in riconoscimenti non materiali, ma pubblici. Insomma, gli onesti vanno indicati come esempio di vera civiltà, perché altri li emulino.

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