SAN PIERO PATTI (ME) – Al tempo dei Greci si chiamava “Petra”, per la presenza in loco di una grande roccia di granito rosso. L’antica città intratteneva rapporti commerciali con le vicine comunità di Abacena e Tindari, che qui si recavano per ricavarne marmo, legna e carbone. Dopo la dominazione dei Romani, nell’827 il borgo fu occupato dagli Arabi, che svilupparono l’attività agricola del territorio. Nel medioevo la cittadina, che sorge ai piedi dei Nebrodi, venne cristianizzata e fu denominata “Sanctus Petrus” e poi “Sanctus Petrus Super Pactas”, prima di assumere dell’attuale toponimo San Piero Patti.
Furono i Normanni, guidati dal Conte Ruggero nell’XI secolo, a liberare San Piero Patti dai Saraceni, lasciando una traccia indelebile del loro passaggio. E infatti la lingua dei cittadini locali si fuse con quella dei soldati stranieri liberatori, di origine piemontese e provenzale, dando vita al dialetto gallo-italico, ancora oggi parlato anche a Novara di Sicilia, San Fratello e altre località dell’Isola. Una testimonianza della loro presenza a San Piero Patti la lasciarono anche i Saraceni, che vi fondarono quel caratteristico quartiere che oggi prende il nome di Arabite, caratterizzato da un continuo alternarsi di sottopassaggi ad archi, scalinate, viuzze strette e di case in pietra, addossate le une alle altre, e che costituisce uno dei siti arabi più importanti dell’isola.
Alla fine del XIV secolo risale invece la realizzazione della chiesa Madre, intitolata a San Pancrazio, che tuttavia fu ricostruita e ingrandita nei primi anni del Settecento. Al suo interno custodisce numerose opere d’arte, tra cui pregevoli statue in marmo, alcune delle quali attribuite alla scuola del Gagini. Di notevole interesse artistico è anche il sarcofago in marmo dove riposano le spoglie del nobile Domenico Natoli, sposo di Caterina Scaglione, a spese della quale fu costruita l’opera che porta la data del 1608.
Poco più tarda è la chiesa di Santa Maria Assunta, il cui impianto originario risale, secondo alcuni documenti, alla prima metà del Quattrocento. L’edificio religioso è un vero e proprio gioiello architettonico, una delle chiese più belle della provincia di Messina. Col suo prospetto di fattura tardo rinascimentale, si affaccia in una delle piazze principali del paese, e vi si accede tramite un elegante portale ornato di nicchie e statue di santi. Internamente la chiesa è divisa in tre navate e sormontata da uno splendido soffitto ligneo a cassettoni con al centro una statua della Madonna Assunta, ricoperta in oro e raffigurata nell’atto di essere incoronata da due angeli.
Altrettanto bella è la chiesa del Carmine, fondata assieme all’annesso convento, nel 1566, che presenta gli interni abbelliti da affreschi, tra cui quello posto a decoro della volta del soffitto, che rappresenta la Madonna del Carmine, circondata da una miriade di Angeli e da una schiera di anime purganti. L’antico monastero, che ebbe vita fino al 1866, data in cui furono soppressi numerosi conventi, un tempo era famoso poiché vi erano conservati numerosi volumi e manoscritti di gran pregio, opere letterarie e di scienze filosofiche e teologiche, alcune delle quali, dopo la chiusura del luogo sacro, andarono perdute, mentre altre furono donate alle biblioteche delle più grandi città siciliane.