O i bimbi o la carriera, il diritto al lavoro negato alle mamme - QdS

O i bimbi o la carriera, il diritto al lavoro negato alle mamme

Serena Giovanna Grasso

O i bimbi o la carriera, il diritto al lavoro negato alle mamme

venerdì 17 Aprile 2015

Save the children: pesa la mancanza di asili nido, in Sicilia il servizio è garantito solo al 5,6% dei richiedenti. Nel Mezzogiorno una donna sue tre è insoddisfatta a causa della rinuncia “obbligata”

PALERMO – Talvolta diventare mamma rappresenta una vera e propria professione, al punto da arrivare a cancellare la donna dal mercato del lavoro. Crisi economica, inconciliabilità degli impegni familiari e lavorativi unita all’inefficienza dei servizi per l’infanzia sono i principali fattori che in tutta Italia determinano l’esclusione della figura femminile dalla possibilità di trovare un’occupazione. Naturalmente le cose vanno molto peggio nel Mezzogiorno.
Grazie all’ausilio offerto dal rapporto “Mamme in arrivo” di Save the children, ci occuperemo in questa sede di descrivere la situazione vissuta dalla donna subito dopo esser diventata mamma, tenendo debitamente conto dei fattori sopra enunciati. Iniziamo col dire che la progressiva segregazione occupazionale vissuta dalla donna ha origine nella vita di coppia, subisce un incremento con il matrimonio e trova il suo culmine nella maternità: infatti, mentre tra i single il divario occupazione è minimo (91,5% il tasso di occupazione per gli uomini e 89,6% per le donne), cresce di quindici punti percentuali nel momento in cui si crea una coppia, di venticinque dopo la nascita del primo figlio, fino al divario culmine di cinquanta punti percentuali per i successivi figli. Rispetto alla classificazione dei quarantadue Paesi Ocse, l’Italia si colloca trentasettesima per tasso di occupazione femminile nella fascia di età compresa tra i 25 e i 54 anni (la classe demografica a maggior incidenza maternità), a seguire troviamo solo Ungheria, Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna.
Nel Mezzogiorno rinunciare alla carriera professionale, poiché involontario e determinato dalle condizioni del mercato e del welfare, viene visto come un maggiore sacrificio rispetto al Settentrione: infatti, al Sud e nelle Isole ammonta al 31% il tasso di donne insoddisfatte tra quelle che si dedicano esclusivamente al lavoro familiare, percentuale che si riduce al 19,5% al Centro e al 15% al Nord.
Assai spesso, la decisione di abbandonare la carriera è determinata dall’esigua presenza di strutture che ospitano il bambino nei suoi primi anni di vita, liberando così per un paio di ore la donna e consentendole l’esercizio della professione. Nel 2013, a livello nazionale è stato raggiunto l’obiettivo prefisso nel 2009 dal ministero dello Sviluppo economico e contenuto all’interno del rapporto “Quadro strategico nazionale”, ovvero quello di portare almeno al 12% la copertura di accesso dei bambini negli asili nido. Nonostante questo traguardo, molteplici sono le criticità che continuano a contraddistinguere lo scenario meridionale: la Sicilia garantisce l’accesso solo al 5,6% dei richiedenti, quindi una percentuale inferiore alla metà rispetto all’obiettivo prefisso dal Mise. Ma non si tratta certamente dell’unica realtà.
 
Al contrario, ad accompagnare l’Isola troviamo Calabria (2,1%), Basilicata (7%), Puglia (4,4%) e Campania (2,6%). Due eccellenze per il Mezzogiorno sono rappresentate dal Molise (10,4%) e ancor di più dalla Sardegna (13%). Mentre a livello nazionale la vera e propria punta di diamante è costituita dall’Emilia Romagna (27,3%).
Del resto, anche la distribuzione di incarichi e tempo di cura all’interno della vita familiare minano fortemente la possibilità di accesso della donna al mondo del lavoro. Infatti, nel 2013 la Società italiana delle storiche ha calcolato che queste mansioni impiegano il 33% delle 24 ore della mamma, contro il 6% del papà, quantificabile in quattro ore in più di lavoro domestico praticato dalla donna.
In relazione a quest’ultimo elemento trattato, evidenziamo come il molti casi si tratta di un deficit culturale che impone alla donna e mai all’uomo di lasciare il proprio lavoro per occuparsi della famiglia e della casa. A sostegno di questa tesi rileviamo quanto sia poco diffuso il congedo parentale tra i papà: infatti, a livello nazionale la composizione vuole l’uso di tale strumento dall’89,1% delle neomamme e dal restante 10,9% dai papà.
Infine, concludiamo informando i lettori dell’esistenza del voucher di maternità, sostegno economico che consente ai genitori di acquistare servizi di baby sitting o di pagare la retta dell’asilo nido, incrementando la possibilità di inserimento lavorativo femminile. Per l’anno corrente la misura è stata inserita all’interno della Legge di Stabilità e prevede l’erogazione di 600 euro mensili, ulteriormente integrati al bonus bebè corrispondente a 80 euro al mese, per le famiglie con redditi complessivamente inferiori al 25 mila euro annui. Inoltre, esiste la possibilità di raddoppio per le famiglie con redditi al di sotto dei 7 mila euro annui.

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