Blue economy Sicilia, un mare di opportunità sprecate - QdS

Blue economy Sicilia, un mare di opportunità sprecate

Serena Giovanna Grasso

Blue economy Sicilia, un mare di opportunità sprecate

giovedì 14 Maggio 2015

Unioncamere: nel 2014 le imprese “blu” dell’Isola hanno avuto miglioramenti molto contenuti (1%), pari alle perdite nel resto dell’economia. Roma da sola produce 6 mld di valore aggiunto, due mld in più di tutta la nostra regione

PALERMO – Dopo anni ed anni di stagnazione, l’economia siciliana stenta ancora a ripartire, complici certamente la congiuntura economica negativa e forse soprattutto le carenti politiche regionali di sostegno. Uno dei pochi comparti a registrare dei valori positivi, se non addirittura l’unico, è costituito dalla cosiddetta “economia del mare”: ovvero, tutti quegli ambiti che traggono il proprio profitto dalla valorizzazione del mare, quali filiera ittica, industria delle estrazioni marine, filiera della cantieristica, trasporto via mare di merci e passeggeri, servizi di alloggio e ristorazione, attività di ricerca e tutela ambientale ed infine attività sportive e ricreative.
Proprio la Sicilia conta il terzo numero più alto di “imprese blu”: esattamente 20.427 (circa il 12% rispetto al totale nazionale), sorpassata però dalle 21.751 della Campania e dalle 31.808 del Lazio. Questi solo alcuni dei dati che emergono dal “Quarto rapporto sull’economia del mare” pubblicato da Unioncamere lo scorso 30 aprile. Come nel resto d’Italia, anche in Sicilia la composizione inerisce prevalentemente il settore dei servizi di alloggio e ristorazione (36,6%), ma anche la filiera ittica (24,4%).
Si tratta certamente di importanti traguardi da non sottovalutare. Nonostante ciò, specifichiamo i notevoli potenziali della nostra regione per molti versi non sfruttati. Infatti, poiché si tratta di un’isola, dunque circondata solamente dal mare, avrebbe di certo  avuto tutte le carte in regola per balzare al primo posto della classica con il maggior numero di imprese blu. Ma così non è, si accontenta di sostare solo al terzo posto, neppure provando a sanare le arretratezze che contraddistinguono gli altri ambiti dell’economia siciliana. Si pensi che le aziende dell’economia del mare rappresentano solo il 4,5% delle imprese siciliane, mentre in Liguria l’incidenza è quasi doppia (8,8%).
Stesso ritornello si applica anche se ci spostiamo sotto un profilo strettamente economico. Infatti, se da una parte dobbiamo elogiare tutte le regioni meridionali per aver registrato delle performance positive nella blue economy, nonostante le rilevanti perdite subite nel resto dell’economia; d’altra parte non possiamo far a meno di dare una tirata d’orecchie alla Sicilia per la ridotta capacità di crescita esercitata nel 2014. Infatti, la nostra regione tra il 2013 e il 2014 ha rilevato un incremento pari solo all’1%, mentre il resto dell’economia siciliana perdeva altrettanto. Rilevano un incremento più basso solo per Liguria (+0,4%) e Campania (+0,8%), oltre naturalmente alle regioni che nei dodici mesi presi in considerazione hanno subito perdite (Piemonte -0,4%, Friuli Venezia Giulia -0,5% ed Emilia Romagna -0,4%). Tanto potenziale sprecato per questa Sicilia che continua a prendere acqua da tutte le parti.
Infine, una modestissima consolazione giunge dal valore aggiunto derivante dalla blue economy. Infatti, proviene proprio dalla Sicilia il 9,3% del valore aggiunto prodotto a livello nazionale, per un importo corrispondente ad oltre 4 miliardi di euro. Ma a  precedere la nostra regione troviamo ancora una volta il Lazio (6,6 miliardi di euro) e la Liguria (oltre 5 miliardi di euro). Addirittura dalla sola Capitale proviene un valore aggiunto superiore di due miliardi di euro rispetto a quanto prodotto dall’intera Isola. Mentre in Sicilia spiccano per valore aggiunto il Capoluogo (1,2 miliardi di euro) e Messina (745 milioni di euro).

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