Deposito delle scorie nucleari, il rischio che fa anche profitto - QdS

Deposito delle scorie nucleari, il rischio che fa anche profitto

Rosario Battiato

Deposito delle scorie nucleari, il rischio che fa anche profitto

venerdì 05 Giugno 2015

Anticipazione de Il Sole 24 Ore: probabile l’inserimento di siti siciliani e sardi tra le aree idonee. Investimento complessivo da 1,5 miliardi e 1.500 occupati l’anno per quattro anni

PALERMO – Passata la tornata elettorale, adesso è tempo di fare sul serio. Tra il 15 e il 18 giugno sarà resa nota la mappa dei luoghi tecnicamente idonei ad ospitare il famigerato deposito nazionale delle scorie atomiche. E questa volta, a differenza dell’ultima mappa che aveva escluso le isole dalle possibili destinazioni per le difficoltà legate al trasporto del materiale, potrebbero esserci pure Sicilia e Sardegna. Lo rivela Il Sole 24 Ore in un articolo di Jacopo Giliberto del 3 giugno scorso.
La presenza di qualche sito siciliano nella mappa nazionale in via di definizione, passaggio ancora tutto da verificare, non significherebbe comunque niente di definitivo, dal momento che si tratta soltanto di un censimento. In ballo restano ancora le difficoltà – spiega Giliberto nel servizio – “ legate al costo proibitivo del trasporto via nave”. Tuttavia se in Sardegna l’allarme è abbastanza diffuso, al punto che lo stesso ministro Galletti aveva inviato una lettera rassicurante alla Regione per calmare gli animi, non può dirsi lo stesso della Sicilia, dove nessuno pare preoccuparsi dell’eventualità. Già qualche mese fa, altro indizio interessante, il sottosegretario all’Ambiente Silvia Velo aveva precisato che “nessuna regione può ritenersi esclusa”. Eppure dalle nostre parti i comitati Nimby (Not In My Back Yard, “Non nel mio cortile”), dall’elettrodotto Rizziconi al Ponte fino agli impianti di valorizzazione energetica del rifiuto, sono particolarmente fiorenti.
Di cosa si tratta? Il Deposito nazionale è “un’infrastruttura ambientale di superficie dove mettere in totale sicurezza i rifiuti radioattivi e la sua realizzazione consentirà di completare il decommissioning degli impianti nucleari italiani e di gestire tutti i rifiuti radioattivi, compresi quelli provenienti dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca”. Senza avere certezza dei siti idonei, possiamo almeno fare una caccia al contrario, escludendo quelli che di certo non ci saranno.
La guida tecnica redatta dall’Ispra, nella quale si specificano tutti i criteri di esclusione, seleziona le aree vulcaniche attive o quiescenti (tra cui vengono nominati Etna, Stromboli, Lipari, Vulcano, Panarea, Pantelleria), quelle con sismicità elevata e interessate da fenomeni di fagliazione, e poi ancora “con pericolosità idraulica o geomorfologica, ubicate ad altitudine maggiore di 700 metri slm, fino alla distanza di 5 km dalla linea di costa attuale, naturali protette con la normativa vigente, a distanza non adeguata dai centri abitati o a distanza inferiore a 1 km da autostrade e strade extraurbane e da linee ferroviarie fondamentali e complementari, interessate da estrazioni del sottosuolo oppure caratterizzate dalla presenza di attività industriali a rischio di incidente rilevante o con dighe, sbarramenti idraulici artificiali, aeroporti”. Dei circa 90 mila metri cubi di rifiuti radioattivi, il 60% deriverà dalle operazioni di smantellamento degli impianti nucleari, mentre il restante 40% dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca, che continueranno a generare rifiuti anche in futuro.
L’operazione non farà certamente piacere ai cittadini che dovranno ospitare la struttura, ma in termini economici si tratta di un rientro davvero notevole. Si stima un investimento complessivo di circa 1,5 miliardi di euro per la realizzazione, circa 1.500 occupati l’anno per quattro anni e 700 posti di lavoro per la gestione.

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