Corruzione e frodi, in Sicilia trend negativo - QdS

Corruzione e frodi, in Sicilia trend negativo

Paola Giordano

Corruzione e frodi, in Sicilia trend negativo

mercoledì 17 Giugno 2015

Unioncamere e Istituto Tagliacarne: su 2.000 aziende, in Lombardia e in Lazio maggiore criminalità, la Sicilia al settimo posto. Trend negativo siciliano: intimidazioni e minacce pari al 6,4% rispetto al totale nazionale

La criminalità economica frena il fatturato di due imprese su cinque. Corruzione (65%), frodi finanziarie (28,7%), lavoro sommerso (19,6%) sono, a giudizio delle aziende, gli ambiti di attività illegale maggiormente presenti nel proprio contesto economico.
È quanto emerge dall’indagine realizzata da Unioncamere e dall’Istituto Tagliacarne sulla percezione da parte delle imprese dell’illegalità economica e della criminalità in Italia. Secondo lo studio, che ha coinvolto 2000 aziende, Lombardia e Lazio sono le regioni nelle quali le organizzazioni criminali stanno investendo maggiormente: a sostenerlo è rispettivamente il 59,2% e il 16,4% degli intervistati. La Campania, la Calabria e la Sicilia – ovvero le regioni nella quali si insediano tradizionalmente le mafie – sono, rispettivamente, terza, quinta e settima.
Da tali dati si coglie con chiarezza una realtà già comprovata a livello processuale, ovvero l’estensione delle mafie meridionali verso i territori del Centro Nord che stanno diventando, per le associazioni criminali tradizionali, nuove terre di conquista.
Si tratta di un quadro allarmante perché – come si legge nel Rapporto – la diffusione della criminalità all’interno di un sistema economico genera nel lungo termine un depauperamento competitivo del sistema produttivo e, di conseguenza, una minore capacità di creazione di ricchezza aggiuntiva del territorio considerato.
Il processo di diffusione dell’illegalità non risparmia alcun territorio ma è in particolare nel Mezzogiorno che i numeri evidenziano la presenza di una criminalità connessa al ritardo di sviluppo: il tasso di irregolarità del lavoro, fra il 2010 ed il 2012, tende ad aumentare, a fronte alla sostanziale staticità del fenomeno su base nazionale.
Crescono anche i furti, le rapine denunciate e gli omicidi, i cui aumenti rimangono inferiori alle medie nazionali.

Il tasso di criminalità organizzata e di tipo mafioso
, pur restando elevato, si mostra invece in significativa riduzione. La Sicilia conferma tale trend negativo e si piazza addirittura al secondo posto per le infrazioni ambientali accertate nel 2013 con un’incidenza del 12,2% sul totale nazionale.
Per quanto riguarda poi gli atti di intimidazione e minaccia nei confronti di amministratori locali e funzionari pubblici la posizione siciliana non migliora: ad eccezione di Enna, che secondo i dati riportati ha un tasso pari a zero, le altre province siciliane registrano tra le maggiori concentrazioni del fenomeno e il capoluogo siciliano conquista persino il terzo gradino del podio con un’incidenza del 6,4% sul totale nazionale.
Altro tasto dolente per la Sicilia è infine la presenza di denaro contante quale mezzo di pagamento preferito poiché essa, assicurando l’anonimato e la non tracciabilità dei flussi, risulta il principale indicatore dell’immissione di denaro di provenienza illecita all’interno del circuito economico: tra le aree ad alto rischio utilizzo di denaro contante ci sono infatti due ben province siciliane (Messina e Catania); Agrigento e Siracusa si classificano tra le aree a rischio medio-alto mentre Caltanissetta, Enna, Palermo e Trapani sono tra quelle a rischio medio. Solo Ragusa rileva un basso rischio per utilizzo eccessivo di contante.



Crisi e vulnerabilità. Catania 66esima per appetibilità agenti infiltranti
 
Obiettivo del Rapporto era anche esaminare la vulnerabilità economica delle province italiane. In tale ambito le province siciliane mostrano indici bassi, a dimostrazione del fatto che le asperità economiche ascrivibili alla crisi hanno reso i sistemi produttivi del Nord e del Centro potenzialmente più appetibili rispetto ad agenti infiltranti: se Milano con un indice di 149,1 si colloca al primo posto, Palermo si piazza sessantunesima con un “modesto” 82,2 e Catania è sessantaseiesima con 80,5. Con punteggi molto vicini tra loro, Ragusa (74,9), Siracusa (74,8) e Messina (74,5) occupano rispettivamente le posizioni settantuno, settantadue e settantatré; seguono, più distaccate, Trapani (68,8), Caltanissetta (66,5), Enna (56,9) e Agrigento (44,6), tutte collocate al di sotto dell’ottantesima posizione.
 
Opposta la situazione della vulnerabilità sociale poiché a manifestare i livelli più elevati sono le province con il capoluogo meno virtuoso nella riscossione dei tributi e le aree rurali e montane. Siracusa (180,7) è al primo posto, Catania (160,6) al terzo, Ragusa (156,4) al quarto, Palermo e Trapani rispettivamente sesta e settima con una differenza di pochi decimi (152,7 contro 152,4), Caltanissetta (140,7) al nono. Più in basso nella graduatoria ma pur sempre tra le prime trenta si piazzano Enna (122,7) e Agrigento (112,7).

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