Per il 62 per cento dei meridionali stipendio da 12 mila euro l’anno - QdS

Per il 62 per cento dei meridionali stipendio da 12 mila euro l’anno

Antonia Cosentino

Per il 62 per cento dei meridionali stipendio da 12 mila euro l’anno

martedì 18 Agosto 2015

Secondo i dati dell’ultimo rapporto Svimez si accentua il divario sulla povertà tra Nord e Sud. Carenza di strategie e politiche di sviluppo alla base del gap col Settentrione

PALERMO – Disuguaglianza, arretramento e povertà. Sono purtroppo i tre elementi principali che emergono dalle anticipazioni del Rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno 2015, pubblicato lo scorso 30 luglio. Il quadro che ne affiora mette in evidenza un’economia sempre più in ginocchio con una crisi che marca ancora di più il divario tra Nord e Sud. Ed è sulla povertà che questa volta vogliamo concentrarci. I nuovi dati sulla povertà assoluta recentemente diffusi dall’Istat mostrano per il 2014 una sostanziale stabilità dell’incidenza di povertà nel Centro-Nord e una moderata riduzione nel Mezzogiorno.
 
Tuttavia, persiste ancora il netto divario tra le due macroaree che si è ulteriormente aggravato durante la crisi: negli ultimi tre anni, dal 2011 al 2014, le famiglie assolutamente povere sono cresciute a livello nazionale di 390mila nuclei, con un incremento del 37,8% al Sud e del 34,4% al Centro-Nord. Nel 2013 in Italia il 18% della popolazione era esposto a rischio povertà seppur con forti differenze territoriali: 1 su 10 al Centro-Nord, 1 su 3 al Sud. Tra tutte le regioni, quella maggiormente esposta al rischio è la Sicilia (41,8%), seguita dalla Campania (37,7%).
La disuguaglianza mette in evidenza lo stretto nesso tra dualismo territoriale e disuguaglianze di reddito: quasi il 62% dei meridionali guadagna meno di 12mila euro annui, contro il 28,5% del Centro-Nord. Particolarmente pesante la situazione in Campania (quasi il 66% dei nuclei guadagna meno di 12mila euro annui), Molise (70%) e Sicilia (72%).
La crisi economica e la conseguente povertà sta generando un cambiamento demografico dell’Italia con nascite poste ai minimi storici (registrando il valore più basso dai tempi dell’Unità d’Italia: 174 mila) ed una ripresa dei flussi di emigrazione. Tra il 2001 e il 2014 sono emigrati dal Sud verso il Centro-Nord oltre 1.667 mila meridionali, a fronte di un rientro di 923 mila persone, con un saldo migratorio netto di 744 mila unità. Di questa perdita di popolazione il 70%, 526 mila unità, ha riguardato la componente giovanile, di cui poco meno del 40% (205 mila) laureati.
A questo viene aggiunta la carenza di opportunità di lavoro, specialmente qualificato, frutto non soltanto di una mancata risposta a un’emergenza troppo a lungo rimandata ma di una carenza di strategie e politiche di sviluppo per un’area che ora presenta i tassi di occupazione peggiori d’Europa, ma che già partiva da valori eccezionalmente bassi prima della crisi.
“Si inizia a credere che studiare non paghi più, alimentando così una spirale di impoverimento del capitale umano, determinata da emigrazione, lunga permanenza in uno stato di disoccupazione e scoraggiamento a investire nella formazione avanzata”, sottolinea lo Svimez.
Intanto per la nostra Isola  non resta che sperare ed aspettare il prossimo mese di settembre, quando dall’Ars verrà esaminata la proposta di legge di iniziativa popolare formata da uno schieramento di associazioni, principali sindacati e Confindustria riusciti a raccogliere oltre 15 mila firme in meno di due mesi con lo scopo di ottenere l’integrazione al reddito delle famiglie in povertà assoluta.

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