Ricerca, no ad ammortizzatori sociali per dottorandi e borsisti - QdS

Ricerca, no ad ammortizzatori sociali per dottorandi e borsisti

Chiara Borzi

Ricerca, no ad ammortizzatori sociali per dottorandi e borsisti

sabato 23 Gennaio 2016

Mancata approvazione dell’estensione del sussidio Dis-Coll, centinaia di ricercatori siciliani coinvolti. Per il ministro del Lavoro Poletti sono da considerare in fase di formazione

CATANIA – “Perché noi no?” Lo slogan di dottorandi e assegnisti italiani è chiaro, perché la categoria non può godere di ammortizzatori sociali come i ricercatori assunti a tempo indeterminato. La differenza non può essere solo contrattuale, ma sostanziale, per un ruolo che non è più da studente ma vicino all’insegnamento.
La risposta data prima di Natale dal Ministro del Lavoro Giuliano Poletti suona come una beffa: dottori di ricerca e assegnisti “sono in formazione”, quindi uguali ad ogni altro studente universitario. Eppure i ricercatori universitari versano contributi Inps, quindi lavorano per vedere corrisposto in futuro un regime pensionistico, proprio come i colleghi che non hanno un contratto a progetto, con la differenza di rimanere fuori da ogni protezione una volta terminata la borsa o terminato l’assegno di ricerca. Con la mancata approvazione dell’estensione del sussidio Dis-Coll (avvenuta durante la votazione della Legge di Stabilita) il Governo ha deciso il non rifinanziamento di 54 milioni per il 2016 e 24 milioni per il 2017 da destinare a dottorandi di ricerca, assegnisti e borsisti universitari, tutti inquadrati come collaboratori continuativi.
La sensazione è il Governo abbia danneggiato così tutto il mondo della ricerca, e lo ha fatto sia a livello nazionale che regionale, rendendo instabile e incerto un settore dove è già complesso destreggiarsi perché in scacco a regole tutte tipiche del mondo accademico.
Sono centinaia i dottori di ricerca e gli assegnisti siciliani che subiranno la scelta di Roma. Molti sono in protesta, altri sembrano rassegnati, altri sconoscono addirittura la notizia. I sindacati promettono battaglia, ma si trovano nella condizione di rivendicare diritti a nome di una categoria che in Sicilia non sembra compatta. “L’attività di ricerca non è un hobby, è un lavoro, ma è pur vero che in pochi si stanno rivolgono a noi dopo la mancata approvazione della Dis-Coll. Di fatto – ha spiegato il segretario provinciale Flc-Cgil Michele Vivaldi – è anche difficile capire a quante persone numericamente si dovrebbe rivolgere la nostra azione, perché, divisi tra pubblico e privato, non è facile quantificare esattamente il numero di dottorandi e assegnisti”. Come anticipato questa scelta governativa, che non permette ai dottori di ricerca e gli assegnisti di godere di ammortizzatori sociali, pone l’Italia in una posizione scomoda in fatto di garanzie concesse alla ricerca universitaria. “In Italia e in Sicilia questo settore non è evidentemente preso in considerazione, mentre in Europa è volano dell’economia. Siamo miopi – afferma Vivaldi – non investiamo sul sapere perdendo questa risorsa strada facendo”. Servirebbe un cambio di passo e di mentalità che, a quanto sembra, deve partire anche dagli stessi occupati nelle università.
“Manca una rivoluzione culturale perché sembra che queste stesse figure non abbiano ancora maturato la consapevolezza di essere lavoratori. Questo succede perché chi viene scelto per svolgere il ruolo di assegnista o dottore di ricerca spesso passa da un sistema di reclutamento interno, che non gradisce opposizioni. In realtà il sindacato è vicino a chi ha bisogno di fare una vertenza e sostiene ogni battaglia del genere: non è solo una questione sindacale ma di civiltà”.
 

 
La dichiarazione. Dottorato, non è tutto oro quello che luccica
 
Riuscire ad ottenere un dottorato è per molti l’occasione della vita. Gli ex studenti che sperano oggi in un posto che dia il via ad una possibile carriera universitaria sono la maggioranza, ma il rovescio della medaglia è fatto anche da ragazzi e ragazze che vedono questo momento come un semplice passaggio, come un’ulteriore momento di formazione utile a svolgere al meglio la professione per cui hanno già ottenuto una qualifica. La pensa così Chiara Buda, dottoranda dell’Università di Catania, al suo secondo anno all’interno del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali. Per lei non esiste solo il problema della Dis-Coll. “Il punto di vista che deve essere osservato è anche quello dei miei colleghi che svolgono il mio stesso compito senza borsa – mette subito in evidenza Buda – per loro non esiste davvero alcun tipo di sostegno. Vivo il mio dottorato come un momento in cui ho la possibilità di approfondire, studiando ancora, materie che aiuteranno la mia professione, cioè l’assistente sociale e per questo mio punto di vista ricevo le critiche di molti amici: mi chiedono perché non voglio rimanere dentro il mondo accademico, una realtà che – vivendo ormai da vicino – credo non dia più stimoli importanti. Siamo divisi tra la partecipazione ai seminari e la didattica condivisa con i nostri tutor di dottorato, una volta entrati tutto diventa più complesso e diventa difficile lavorare per il nostro stesso progetto di ricerca”.

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